di Marie Moise e Dario Firenze
Qualche mese fa, durante il nostro anno di studio a Parigi, scrivevamo a proposito della situazione post-attentati, dello stato d’emergenza e del clima di paura e repressione che stava attraversando la Francia. Non ci saremmo mai aspettati di ritrovarci catapultati in questa imponente mobilitazione. Da tempo siamo attivisti nei movimenti sociali ed è con questi occhi, un po’ stupiti e un po’ affascinati, che vogliamo raccontare, attraverso più episodi, quello che stiamo vivendo a Parigi da qualche mese a questa parte. In particolare sentiamo l’esigenza di scrivere nel vuoto d’informazione dei media italiani, sempre pronti a parlar d’altro quando si tratta di movimenti sociali pericolosamente vicini a noi. Questo non è che l’inizio!
Come tutto è cominciato
Tutto ha inizio a fine febbraio quando viene presentata dal governo Hollande, per conto della ministra El-Khomri, una proposta di legge per riformare il codice del lavoro, ribattezzata “Loi Travail”. La traduzione letterale in inglese di questa legge – non a caso – è proprio “Jobs Act”. Effettivamente la Loi Travail assomiglia molto all’omonima riforma approvata dal governo Renzi a fine 2014: in sintesi la Loi Travail vuole facilitare i licenziamenti, rendere più precari i contratti di lavoro, aumentare le ore della giornata lavorativa e diminuirne la retribuzione. Ma a chi dovrebbe interessare la possibilità di lavorare di più per guadagnare di meno? È sulla base di questo semplice ragionamento che le conseguenze di questa legge hanno allarmato tutti i settori del lavoro salariato, così come le giovani generazioni che hanno compreso quanto fosse seriamente minacciato il loro futuro ingresso nel mondo del lavoro.
Dopo la prima presentazione pubblica della Loi El-Khomri si sono organizzate le prime reazioni dal basso e sul web. Per prima è nata una petizione online, #LoiTravailNonMerci, (“Loi Travail, no grazie”) che in poche settimane ha raggiunto più di un milione di firme. Poco dopo, è stato lanciato il sito #OnVautMieuxQueça (“Ci meritiamo di meglio”), che raccoglieva le video-testimonianze e i racconti per iscritto delle vite precarie e sfruttate di chi lavora oggi. In pochissimo tempo l’hashtag è diventato lo slogan principale del movimento. Sempre negli stessi giorni un evento su facebook, creato da alcuni militanti sindacali della Cgt (Confederation Gènerale des Travailleurs, il più grande sindacato francese) ma non ufficialmente dalla confederazione sindacale, ha convocato dal basso un grande sciopero generale per il 9 marzo. L’evento ha raccolto fin dai primi giorni migliaia e migliaia di partecipanti, facendo crescere il dibattito e costruendo consenso e adesione fin da subito nei sindacati studenteschi e in alcuni sindacati di base e conflittuali come Solidaires. Questo fermento ha alimentato una pressione verso la direzione della Cgt e di tutti gli altri sindacati che si sono trovati in qualche modo obbligati a convocare ufficialmente la mobilitazione. Dal virtuale, i partecipanti si sono trasformati in persone in carne ed ossa ed hanno riempito le strade nella prima giornata di sciopero generale.
Un primo obiettivo semplice e chiaro: mobilitarsi fino al ritiro della Loi Travail. Come? Amplificando progressivamente la mobilitazione che dalle prime manifestazioni si estesa alle facoltà universitarie, alle scuole, ai luoghi di lavoro, attraverso occupazioni, blocco degli ingressi e assemblee generali (comunemente chamate AG). Il dibattito nelle AG studentesche ha concretizzato sin da subito alla necessità di dotarsi di strutture autorganizzate: hanno così preso vita dei coordinamenti tra facoltà costruiti su vari livelli (cittadino, regionale, nazionale) con delegati/e eletti/e dalle assemblee generali. Gli studenti e le studentesse hanno dimostrato sin dalle prime settimane di mobilitazione di essere il settore più dinamico del movimento, con azioni e manifestazioni sauvages (“selvagge”) diffuse in tutte le città, e connessioni con i settori del lavoro precario, dando così continuità alla lotta e accelerandone il ritmo.
Un marzo di lotta senza fine: la nascita di Nuit Debout
Il 31 marzo 2016, sotto una pioggia battente, una seconda manifestazione oceanica inondava Parigi e la Francia intera. I boulevards della capitale hanno un’ampiezza davvero considerevole rispetto alle arterie, anche le principali, delle città italiane. Qui i vialoni sono stati appositamente costruiti, a fine Ottocento, per evitare che il popolo in rivolta potesse nuovamente bloccare la città e costruire barricate. Eppure il 31 marzo 2016 quelle strade così ampie sembravano fatte apposta perché ci fosse davvero spazio per tutti, perché quella marea di gente potesse finalmente scorrere.
Proprio qualche giorno prima era uscita nelle sale cinematografiche Merci patron! (“Grazie padrone!”), una pellicola indipendente realizzata da Fakir, un collettivo di giornalisti militanti, impegnati in particolar modo sul fronte delle lotte per il lavoro. Il loro film narra di un’insolita battaglia che due operai hanno portato avanti insieme a Fakir per contrastare il padrone di una grossa azienda pronto a licenziarli. È proprio dal collettivo di Fakir che è nata l’idea di Nuit Debout, letteralmente la “Notte in piedi”.
Il 31 marzo quella mobilitazione, quella giornata, quel mese, non dovevano finire: “Questa sera dopo la manifestazione, non rientriamo a casa”, ha proposto Fakir dal web. “Occupiamo una piazza. cerchiamo di inventare qualcosa, un punto fisso di speranza e di lotta”. E così è stato.
Quella sera, a qualche ora dalla fine della manifestazione, migliaia di persone si sono date appuntamento a Place de la République, una delle piazze maggiormente simboliche di Parigi, per potarvi la mobilitazione con l’intento di non andarsene più da lì. La prima sera è stato proiettato in piazza proprio Merci Patron! e la voglia di lotta e di vittoria è stata proiettata, attraverso quel film, su tutta la piazza. Alle prime luci dell’alba la polizia ha sgomberato la piazza, ma il vuoto a République non è durato che una manciata di ore: la sera successiva la piazza era di nuovo piena, di energia, di proposte, di questioni da dibattere. È questo lo spirito che anima le Nuit Deboutda allora. Una sera dopo l’altra si sono sono susseguite delle assemblee generali sempre più affollate e partecipate: una sera dopo l’altra sono state sgomberate, ed una sera dopo l’altra si sono ricreate. E così dalla notte del 31 marzo Nuit Debout è sinonimo di una nuova pratica di lotta che ripone la sua forza nella riappropriazione di uno spazio collettivo dove migliaia di persone si ritrovano non soltanto per manifestare ma per incontrarsi, discutere, confrontare le esigenze, unire le forze e organizzarsi. Effettivamente quel marzo di lotta non è mai finito: il primo aprile ha ceduto il passo al 32 marzo, il 2 aprile al 33 marzo… e oggi, 62° giorno – anzi notte – di questo tempo stravolto, abbiamo appena sforato un mese di mobilitazione permanente.
Una delle prime necessità che sono emerse nella Nuit Debout di Parigi è stata quella di costruire un luogo di espressione e partecipazione diretta o, come la si definisce da queste parti, la necessità di “liberare la parola”. È a partire da questa esigenza che si è dunque formata l’AG di Nuit Debout, un’assemblea dove il microfono è aperto e tutti/e possono intervenire, coordinati da un facilitatore che appunta l’ordine degli interventi e i tempi di parola (non più di tre minuti) di ognuno. L’AG è il luogo decisionale della Nuit Debout, in cui si usa un misto di diverse pratiche: da una parte si sperimenta il metodo del consenso, con cui più che di arrivare all’unanimità si cerca di prendere decisioni a cui nessuno è contrario; dall’altra, su alcune proposte specifiche, si vota per alzata di mano privilegiando la partecipazione diretta di tutti/e i/le presenti. L’AG non ha risposto però a tutte le necessità della Nuit Debout, in particolare a causa di un dibattito spesso dispersivo e poco approfondito. Giorno dopo giorno si sono formate così delle commissioni su diversi temi e questioni di ordine pratico, con lo scopo di articolare al meglio sia le analisi che la gestione del movimento. Sono nate così le commissioni democrazia nella piazza, sciopero generale, convergenza delle lotte, femminismo, LGBT+, economia, ecologia, islamofobia, ma anche logistica, mensa, Radio e Tv Debout, accoglienza e serenità, infermeria, solo per citarne alcune…
Tra l’AG e le commissioni si è dunque costituita una relazione costante di costruzione e decisione, dove le due dimensioni si intersecano e si rinforzano l’una con l’altra: la discussione nelle commissioni approfondisce il dibattito emerso in AG, e lo riporta nuovamente poi in AG per sottoporlo ad un confronto più ampio, restituire riflessioni più complesse, o avanzare delle proposte da assumere collettivamente. In questa forma sperimentale e autorganizzata nasce una nuova coscienza collettiva. Assemblee generali e commissioni diventano delle occasioni quotidiane per costruire in maniera sempre più ampia un dibattito comune sulla realtà che ci circonda e che stiamo affrontando, e le sue innumerevoli contraddizioni. Ogni giorno persone che magari fino a ieri non hanno mai fatto militanza diventano protagoniste di analisi politiche e discussioni strategiche per far crescere il movimento, e ci si porta reciprocamente a conoscenza di percorsi di lotta esistenti, così come di variegate correnti di pensiero. Ogni giorno quella coscienza collettiva sedimenta e lascia traccia di sé, sul percorso della mobilitazione in ogni suo partecipante, che abbia assistito a tutte le assemblee o solo ad alcune. La Nuit Debout è stata in grado di (ri)aprire il dibattito su annose questioni, come l’uso della violenza, il rapporto con la polizia, il metodo del voto o quello del consenso, facendosene carico nell’intento a lungo termine di allargare e insieme radicare la mobilitazione.
Allo stesso modo l’autogestione della piazza ha dovuto anche affrontare le contraddizioni, le disuguaglianze e le brutture sociali da cui la stessa piazza è attraversata: Place de la République, benché occupata, non è certo immune alle problematiche diffuse in tutta la società, e si trova a dover affrontare il sessismo di cui sono impregnate le relazioni e le discussioni quotidiane fino a gravi casi di molestie e violenza sessuale. Allo stesso modo è sotto agli occhi di tutti/e la ridotta accessibilità del movimento per gli/le abitanti dei quartieri popolari e delle banlieues, che spesso corrispondono qui in Francia alle persone che subiscono il razzismo fattosi sistema. Si tratta allora di far emergere permanentemente queste problematiche ed elaborare strategie e percorsi collettivi per affrontarle.
Convergenza e diffusione delle lotte: da Nuit Debout a Global Debout
Una delle parole d’ordine di Nuit Debout è convergence des luttes (“convergenza delle lotte”), che è andata ben oltre l’essere uno slogan diventando una dinamica straordinaria del movimento. Diverse lotte, collettivi, organizzazioni hanno scelto di partecipare all’autogestione della piazza, con uno stand o direttamente dentro le commissioni tematiche, per portarvi e condividere le proprie questioni, le proprie pratiche, per ricevere e dare sostegno. La Nuit Debout è diventata per molti percorsi di lotta quindi un luogo cruciale da attraversare per avere più forza, amplificare le proprie rivendicazioni e nello stesso tempo dare forza e amplificare quelle altrui. In piazza troviamo stabilmente il DAL (Droit Au Logement – Diritto Alla Casa), associazione di lotta per la casa, diversi coordinamenti dei sans papiers parigini, i lavoratori e le lavoratrici della sanità sotto il nome di Hopital Debout, militanti ambientalisti delle ZAD (Zone A’ Defendre – Zona Da Difendere) contro le opere nocive ed inutili, e molti altri collettivi e vertenze del mondo del lavoro, della formazione, delle lotte antirazziste, femministe e di genere.
Un luogo in cui far convergere le lotte permette anche di dar loro continuità in uno spazio di elaborazione permanente che va oltre i ritmi e i tempi abituali. Per esempio nelle ultime settimane di chiusura delle università e delle scuole a causa delle feste di primavera la piazza occupata è stata fondamentale per gli studenti e le studentesse in mobilitazione, che hanno potuto mantenere attivo il ragionamento e la costruzione della lotta senza disperdere il lavoro fatto. Un altro elemento fondamentale di questa convergenza è il ruolo della piazza come luogo di confronto per una strategia comune. Emblematica, in questo senso, è stata la Nuit Debout del 28 aprile, che ha fatto seguito a una grande giornata di sciopero generale. Con un dibattito partecipato da migliaia di lavoratrici e lavoratori, militanti e dirigenti sindacali, la piazza ha costruito un importante confronto sulle prospettive dello sciopero, aprendo un inedito dialogo anche con Martinez, dirigente della CGT. Questo è un piccolo ma rilevante esempio di come Place de la République sia diventata un luogo obbligatorio da attraversare e da costruire per tutte/i, che sta diventando sempre più il luogo legittimato a determinare le direzioni e le prospettive del movimento contro la Loi Travail.
Eppure ci si è resi conto che aspettare che il mondo raggiunga la piazza non sarà mai sufficiente. È la piazza a dover raggiungere il mondo. In questo senso Nuit Debout lavora per supportare attivamente le altre lotte sul territorio cittadino. Nelle scorse settimane gli attivisti di Place de la République hanno partecipato all’occupazione di uno stabile abbandonato insieme ai rifugiati che da mesi dormivano in giro per la città e, di li a pochi giorni, a quella di due teatri insieme ai lavoratori precari dell’arte. Tutte le sere inoltre da République partono dei cortei spontanei che attraversano la città al grido di Paris Debout, soulève-toi (“Parigi, in piedi, sollevati”) e guadagnano l’attenzione dei passanti diffondendo il clima della mobilitazione.
Ma una piazza Debout nel centro della città non riesce certo a comunicare con le popolate periferie parigine, che spesso sono anche i luoghi di ghettizzazione dei settori più poveri della società, ovvero i/le migranti e le seconde e terze generazioni. È per questo che sotto al nome comune di Banlieues Debout sono state create assemblee generali anche nei principali luoghi di incontro delle periferie, che hanno discusso e affrontato le specifiche problematiche legate al territorio. E il fenomeno non riguarda più soltanto la capitale, ma ormai tutti i centri cittadini e rurali del Paese: da Lille a Marsiglia sono quotidiane o settimanali le assemblee in piazza, coordinate tra loro nella mobilitazione comune. Infine, Nuit Debout ha già valicato i confini statali. Legandosi in particolare all’esperienza spagnola degli Indignados, per il 15 Maggio è stata lanciata la proposta di una Global Debout.
Quella sera in tutta Europa e nel mondo saranno organizzate decine di Nuit Debout a sostegno del movimento francese ma, allo stesso tempo, per portare anche in quelle città le stesse rivendicazioni di giustizia sociale. Da Montreal a Berlino c’è chi si è già organizzato. Dalla Colombia all’Ucraina c’è chi ha già espresso azioni di solidarietà. E qualcosa ribolle e si sta preparando anche in Italia: Messina, Torino, Roma, Napoli e Milano preparano le loro piazze. Sarà un film, una discussione all’aperto, un incontro tra percorsi di lotta, un video-collegamento in diretta con Parigi ad animarle.
Non è semplice prevedere cosa il 15 maggio potrà essere, ma sicuramente è una grande occasione per provare ad aprire connessioni e convergenze europee e internazionali. Ogni luogo ha la sua Loi Travail da sconfiggere, in ogni paese può cadere la goccia che farà traboccare il vaso. E se ad oggi le giornate di lotta non sono bastate, forse è ora di riprendersi la notte.
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