Priorità alla scuola non rinuncia a fare proprio lo sguardo sul mondo di bambini e ragazzi tornati a scuola. Per loro il 14 settembre è accompagnato prima di tutto da un sentimento festoso: “200 di questi giorni”. Da domani, suggerisce Priorità alla scuola, occorre però ricordare quello che non diventa più notizia: la condizione di precarietà infinita di migliaia di insegnanti, i bambini che hanno ricominciato ma in pigiama davanti un pc, quelli che vedono le lezioni in video con metà classe e sorvegliati da un bidello, le scuole dove i bambini e le bambine hanno tenuto la mascherina anche seduti al banco, quel bambino tornato a casa perché manca la maestra di sostegno… Verso il 26 settembre
Oggi primo giorno di scuola. Per molti ma non per tutti, s’intende. Al di là delle cifre del ministero, c’è la realtà non solo delle regioni che sfilacceranno il rito almeno fino al 24 settembre, ma anche delle città e delle scuole che – pur essendo nel mazzetto del “regioni del 14” – oggi non hanno ancora aperto.
La nostra solidarietà e gratitudine a chi ha organizzato presidi davanti a scuole e sedi regionali: se oggi, tra quanto abbiamo visto con i nostri occhi di genitori e le notizie che ci sono arrivate, prevale un sentimento festoso, quel che si addice alla ricorrenza, lo dobbiamo a loro. Persino l’orario provvisorio è accolto come un ritorno alla normalità: del resto quale anno scolastico che abbiamo conosciuto da student* o da genitori non è cominciato così? Ai cancelli saluti e sorrisi. Qualche battuta rivolta dai genitori a insegnanti e ATA “adesso vi tocca di nuovo anche a voi, eh?!”, ma con una certa bonarietà. Insegnanti e ATA delle scuole dei più piccoli possono replicare che almeno per quest’anno i genitori di figlio unico potevano astenersi dal presentarsi in due all’ingresso e all’uscita: ci sono forme di disobbedienza più creative. In alcune scuole dei bei manifesti segnalano che si apre “nonostante” il ministero, grazie alla mobilitazione di una comunità educante solidale e collaborativa.
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Dove è andato tutto bene ci si è salutati all’uscita pensando “speriamo in duecento di questi giorni”… magari giusto con l’orario pieno, con i lavori di “edilizia leggera” finiti, con insegnati e ATA entrati in servizio nel numero necessario per garantire continuità, le migliaia e migliaia di precari-e ripassati dalla condizione di disoccupati-e a quella di persone che lavorano. Ai protocolli sanitari farraginosi e alla minaccia della scuola a singhiozzo causa quarantene ci penseremo in un giorno più brutto, quando arriveranno le prime piogge e i primi nasi che colano, oggi è “il primo giorno” e tanto basta.
Purtroppo fin troppi hanno ripreso la via di casa con molta più amarezza: quelli che da casa proprio non sono usciti perché il loro primo giorno li ha riportati ai tempi del lockdown, in pigiama davanti al pc; quelli che un pezzo della classe vedrà le lezioni in video, sorvegliati da un bidello in un’aula diversa da quella dove ci sono gli altri compagni e il docente; quelli che un pezzo della classe si accomoda in corridoio e l’insegnante fa lezione a cavallo della soglia; quelli che la rete non regge, i nuovi tablet non dialogano con le nuove lim, il cavo della lim non è compatibile con i portatili; quelli che sono intervenuti i vigili minacciando di chiudere la scuola se continuava l’assembramento; quelli che il sabato sera gli dicono “i bambini dovranno tenere la mascherina al banco”, ma poi la domenica rettificano rassicurando “tutto a posto, gli spazi ci sono” e poi il lunedì vanno a prendere i figli che hanno tenuto sempre la mascherina anche seduti al banco; quelli che erano a fare un presidio sotto un ufficio scolastico regionale; quelli che siccome sei l’unico della classe a fare alternativa, per te non c’è alternativa perché non si attiva, se vuoi però puoi uscire prima.
E la famiglia che non può prenderlo all’uscita anticipata, per non creare ulteriori turbamenti in segreteria già oberata di lavoro, si rassegna e accetta che il figlio frequenti l’ora di religione: “La mia fede è troppo scossa ormai / Ma prego e penso fra di me / Proviamo anche con dio, non si sa mai”.
La violazione della legge e della Costituzione è ancora più grave per quel bambino di nove anni rispedito a casa perché manca la maestra di sostegno. È accaduto in una scuola di Roma, l’istituto Pio La Torre, in via di Torrevecchia. Ci teniamo a dirlo: questo riferimento è a un fatto realmente accaduto, e lo stesso vale per tutte le circostanze evocate sopra.
Con la nostra mobilitazione, proviamo a fare che tutte queste bambine-i ragazze-i, genitori, lavoratori e lavoratrici non abbiano altri duecento di queste giornate amare. Anche per questo ci vediamo il 26 settembre a Roma.
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