La scuola esiste per dare strumenti con cui interpretare e agire nella vita di ogni giorno. Manzoni, Boccaccio, l’alfabetizzazione scientifica, il confronto tra pareri e il riconoscimento della comunicazione alterata…, quante opportunità in questi giorni. Eppure dove le scuole sono chiuse c’è chi pensa solo ad assegnare compiti a distanza, chi è preoccupato del tempo da recuperare o delle prove Invalsi da preparare. Dove le scuole sono aperte resta per lo più un imbarazzante silenzio
In momenti come quello che stiamo vivendo viene tutto a galla. Come funzioniamo individualmente e collettivamente, che idea abbiamo di comunità, di relazioni, del tempo e dei luoghi, dell’efficienza e dell’efficacia, delle istituzioni e delle parole. Tutto.
Mi sono scelta una posizione un po’ ai margini da cui osservare in questi giorni, dentro ma non troppo; leggo, sono piena di domande, come sempre. Una insiste più di altre, è inevitabile, è la mia: dove si mette la scuola, dove ci mettiamo noi educatori, maestri, professori?
Ora dopo ora la domanda mi pare sempre più pressante perché apre risposte alte: la scuola esiste per dare strumenti per interpretare, comprendere e agire nella vita reale e per farlo dalla vita reale deve saper trarre l’occasione per svolgere il suo compito essenziale, trasformare il sapere in competenza per stare nel mondo.
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Le scuole sono chiuse, penso ai bambini della mia classe a quante cose ci diremmo, e ci diremo, in un interminabile cerchio per capire cosa sta accadendo intorno a noi, per capirlo con gli strumenti che la scuola deve dare e avere. Penso a loro e a tutti gli altri, quelli che stanno ricevendo compiti come se nulla stesse succedendo, come se la scuola fosse chiusa per una qualunque vacanza (e tralascio di ribadire cosa penso dei compiti anche in tempi ordinari). Alla lettera del professor Domenico Squillace di Milano che brilla come Venere nel cielo buio senza stelle (Cari ragazzi…). Una lettera condivisa centinaia o migliaia di volte proprio perché inusuale. La leggiamo e la troviamo straordinaria perché dentro ci sono parole che parlano di una scuola che si prende cura dei ragazzi rispetto al loro presente fatto di grande confusione e paura. Una scuola che trova le parole per dire la propria responsabilità come luogo della cultura e del sapere. Parole di un uomo di scuola e che sanno di pedagogia e che circolano per la loro eccezionalità… non è drammatico o forse grottesco?
Intanto sulle chat del nord Italia senza straordinarietà arrivano le frasi di analisi grammaticale e le divisioni a due cifre con cui esercitarsi. e al rientro tutti a testa bassa per recuperare il tempo “perso” e il programma (?) rimasto indietro.
La peste di Manzoni o le pagine di Boccaccio, il labirinto lessicale con le parole d’ordine che riempiono le bocche di tutti (virus, contagio, epidemia, pandemia, …), una prima alfabetizzazione scientifica sulla trasmissione di malattie virali, le rotte geografiche di questa malattia dal nome favolesco, le ragioni delle buone norme igieniche, il confronto tra pareri diversi e il riconoscimento della comunicazione propagandistica o alterata, il valore stesso della scuola e del tempo senza di essa… quante domande e quanto sapere ci mette a disposizione oggi il nostro tempo e il nostro essere presenti nella storia! Eppure la scuola non c’è, neppure per diffondere testi validi come quelli di Alberto Pellai o di Paola Nicolini (Ha la corona ma non è re né regina). Ma gli esercizi per allenarsi sulle prove INVALSI, quelli vuoi mica saltarli per colpa di un virus di cui si sa troppo poco?
Sempre, sempre questo silenzio imbarazzante e imbarazzato di fronte a ciò che sta fuori dalle aule e dai libri ministeriali, dimenticando che quelli che verranno scritti tra cinquant’anni anni parleranno di questo tempo, dei porti chiusi e del grande cimitero in fondo al Mediterraneo, degli alberi in fiore a febbraio, degli incendi senza sosta in mezzo mondo, delle guerre che sterminano bambini viste da facebook e dei supermercati svuotati una domenica di non inverno e della stolta, arrogante e assoluta inconsapevolezza di grandi masse di persone.
Dove eravamo noi, dove siamo noi insegnanti, in questi giorni della Storia?
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*Sonia Coluccelli è un’insegnante di scuola primaria, coordinatrice della Rete scuole Montessori dell’alto Piemonte e Responsabile formazione della Fondazione Montessori Italia. È autrice di Un’altra scuola è possibile? (Ed. LeoneVerde), Il metodo Montessori oggi e Montessori incontra…. (Ed. Erickson). Fa parte del consiglio direttivo della Rete di cooperazione educativa. Ha aderito alla campagna di Comune “Ricominciamo da tre“.
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enrica briccola dice
sono un rx insegnante di scuola elementare, da qualche anno in pensione. CONDIVIDO IN TOTO LO SCRITTO.
” friggo” e mi cucio la bocca quando il mio nipotino, classe seconda, la mattina fa storie xche non vuole andare a scuola…..
non e un genio, e um bambino curioso, onteressato a molti argomenti, con un linguaggio ricco e
specifico, ma xche continua a dire che si annoia??
visitando citta e musei non si lamenta , anzi! allora, dove sta l errore??
Luciano dice
Finchè le scuole saranno chiuse al terrirorio, finchè gli adulti non torneranno a scuola per imparare, insegnanti compresi, e a prescindere dalle questioni contingenti, non si può immaginare un percorso di cambiamento.
Claudia Carloni dice
Sono più tranquilla ora che una collega sia riuscita con profonda sensibilità ad esplicitare un mio pensiero condiviso sul ruolo che occuperemo in questo momento della Storia, noi insegnanti che ci occupiamo dei processi di apprendimento, della salvaguardia dei saperi essenziali da rendere espliciti e utili, delle relazioni umane con i genitori talvolta eccessivamente particolari e della crescita armonica dei loro bambini. Accolgo con sollievo il suo punto di vista così interessante e necessario, per questo la ringrazio.