Dove state guardando? Mandateci una foto, un selfie (o un disegno) di ciò che vedete. Facciamo nascere un racconto comune dai luoghi del Ribellarsi facendo. Scrivete a oppure su facebook in questa pagina. Tutte le informazioni su come aderire alla campagna di sostegno di Comune-info “Ribellarsi facendo” sono alla fine di questo articolo e in questa pagina
“Il primo passo verso la costruzione di un mondo alternativo dev’essere il rifiuto dell’immagine del mondo impiantata nelle nostre menti e di tutte le false promesse usate ovunque per giustificare e idealizzare il bisogno criminale e insaziabile di vendere”
(John Berger, “Modi di vedere”)
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Per risponderci non serve il navigatore satellitare, tanto meno Google Maps. Basta una fotografia: ci farebbe piacere sapere dove siete.
La campagna Ribellarsi facendo è arrivata al quarto mese, un terzo del suo percorso. Ci avviciniamo alle duecento adesioni, spesso appassionate, belle. I messaggi arrivati sono un segnale straordinario di uno degli attrezzi più rari nella cassetta di chi vuole cambiare il mondo: la speranza. Lo dicono, piacevolmente sorpresi, diversi nostri lettori che vivono al di là dell’oceano. A noi sembra plausibile. Comune-info cresce a ritmi sostenuti, forse impensabili. Eppure molte, moltissime persone che sappiamo da tempo vicine non ci hanno ancora manifestato una “comune” ribellione. Non hanno fatto quel piccolo, essenziale gesto che significa: eccomi, ci sono anch’io. Che Comune-info esista è importante, mi riguarda, m’interessa, mi fa piacere.
Parliamo di persone (e ancor più di gruppi di persone associate in vario modo) che conosciamo bene, perché leggono questo sito con una certa frequenza ed esprimono consenso, senza ipocrisie né reticenza, per quel che mettiamo in pagina. Capita, così, di parlarne con chi si affretta a riconoscere una più che legittima distrazione: “No, mi spiace. Davvero, la campagna non l’avevo proprio vista. Eppure leggo sempre la newsletter: è molto ben fatta”. Altri ci prendono troppo sul serio: “Ci penso da settimane ma non so cosa scrivervi”. E scrivi solo: vi voglio bene, no? Baggiano che non sei altro. Oppure scrivi: andate a cuocere le uova in fricassea altrove. Di roba come la vostra ce n’è troppa! E’ davvero difficile? Sarà perché siamo timidi, o forse perché non abbiamo neanche un euro da investire in “visibilità” ma è possibile non si colga la condizione essenziale di un segnale di ritorno sì vivace, fantasioso, intenso ma anche forte e chiaro? Eppure, ce l’avevamo messa tutta per vincere la maledetta ritrosia che spunta, inesorabile, quando si tratta di chiedere qualcosa a chi legge.
Vabbè, abbiamo esagerato. Ci perdonerete, forse, anche stavolta. Lo sapete bene, non ci spinge quello che un grande maestro del guardare, John Berger, chiama il bisogno criminale e insaziabile di vendere. E poi la nostra campagna continua. C’è tempo. E’ bello, quando c’è tempo. Per partecipare, cioè per far Comune con noi, resta valido l’invito a mandare, non appena si può, almeno 12 euro. Qualcosa in più, se potete. Serve a sostituire chi sta con noi ma non ce la fa a mandare nemmeno 12 euro. Da noi è il benvenuto lo stesso, naturalmente. Provate, però, insistiamo, anche a scrivere qualcosa che racconti quel che fate (con altri o da soli) per ribellarvi e costruire adesso il mondo che vi piacerebbe. Quelli che ci avete spedito fin qui sono eccellenti frammenti di storie, in apparenza disparate, ma che, a saper guardare, si rivelano presto parti di un tutto. Con la primavera, però, c’è venuta voglia di guardare meglio, di capire dove stanno scavalcando gli argini le vostre ribellioni. Dove siete? Dove state guardando? Mandateci una foto, un selfie (o un disegno) di ciò che vedete (a ): un golfo, le rotaie del tram, la torre di Pisa, l’orto, la Majella, il Parco del Valentino, il Rio de la Plata, via di Val Melaina… Fateci vedere con il vostro guardare. Mettiamolo in Comune.
Le prime due adesioni arrivate a Ribellarsi facendo hanno cominciato, in gennaio, a disegnare una mappa ambiziosa. Erano di Raúl Zibechi da Montevideo e Federico Demaria da Barcellona. I primi fotogrammi di un ponte tra città e continenti diversi ma anche tra scelte e lingue simili: “los de abajo” di un Sudamerica che ha illuso solo chi insiste a puntare sulla conquista dello Stato e un angolo di campagna europea della Catalogna dove si fa insieme l’olio. Poi sono venute le città, grandi e piccole, di un’Italia poco visibile: la preside degli orti di San Giovanni a Piro (Salerno), Francesca e la Radio Roarr di Pisa, Gianni dell’ex liceo Socrate di Bari (autorecuperato con i migranti), Anna, ciclista urbana tra i vicoli romani, Massimo pensionato a Napoli, Barbara e le sue api di Oriolo romano. E via via tutti gli altri. C’è stato il momento in cui il luogo da cui partivano i vostri messaggi è diventato uno spazio sociale. Sono arrivate adesioni collettive, a volte comunitarie: il centro sociale La Talpa e l’Orologio di Imperia e il Municipio dei Beni Comuni a Pisa, la bottega Ponte solidale di Perugia e la coop Garabombo di Fidenza. E poi la fabbrica recuperata Ri-Maflow di Trezzano sul Naviglio, l’Ex Lavanderia del Santa Maria della Pietà a Roma, il giardino sociale degli Amici del Nidiaci a Firenze, il Gas No Dal Molin di Vicenza. Non solo paesi e città, naturalmente: c’è il casolare ai piedi del monte Velino e poi il fantastico borgo delle mamme di Bettona. Un’insalata straricca di biodiversità e di rebeldia ma quante delle realtà che andiamo raccontando giorno per giorno non hanno sentito (non il dovere o la necessità ma) la voglia di farsi vive? Dove siete?
Non è facile trovare un mosaico geografico, nel senso nobile e rimosso dell’aggettivo, con una tale varietà di tinte e sfumature come quello che si affaccia dalle nostre pagine. Eppure, l’impressione è che i cantieri e le forme sociali con le quali le persone cessano di delegare il cambiamento e di rassegnarsi alle sole relazioni di dominio siano quasi infiniti. Ecco, ci piacerebbe saper leggere e studiare un po’ meglio quella geografia: vogliamo provarci insieme? Per cominciare, bastano un clic e una mail, oppure un disegno e un francobollo, per chi vorrà ancora stupirci.
Un luogo si differenzia da un non-luogo, ha spiegato Marc Augé in un volume importante uscito per Elèuthera, perché il primo è uno spazio nel quale non solo si ricompongono le relazioni sociali ma si possono anche decifrare. Un non-luogo, invece, è uno spazio dove quest’opera di decodifica è impossibile: le logiche della mercificazione svuotano, etichettano e omologano tutto. Per questo ci pare adesso quasi indispensabile non solo raccontare ma mostrare i luoghi del nostro ribellarsi facendo. Adesso, mentre i movimenti territoriali ripensano o inventano il cambiamento. L’orto sinergico comunitario, il Gas, il percorso ciclabile o il giardino strappati al cemento, la valle che resiste, la fabbrica recuperata e autogestita dai lavoratori. Sono le relazioni sociali che nascono tra le persone che abitano quei luoghi a rappresentare la geografia sovversiva che andiamo cercando, il vero pericolo per chi si nutre del potere del dominio.
Con la geografia, certo, bisogna fare un po’ d’attenzione: può capitare che il tentativo di reinventare territori e costruire relazioni sociali a livello locale si presti a scivoloni sull’insidioso pendìo del neo-comunitarismo. A chiudere concetti, a separare luoghi, presunte identità ci si fa sempre male. Esistono, per fortuna, semplici anticorpi. Ha scritto Serge Latouche in un articolo su Comune: “Quando si parla di localismo scatta sempre il timore che il locale sia un luogo chiuso. Ma con internet e la tv viviamo in un villaggio globale, l’identità come era intesa un tempo non esiste più. Io, ad esempio, sono bretone, ma al tempo stesso francese, italiano d’adozione, un po’ africano, cittadino del mondo. I bretoni per altro sono probabilmente celtici, ma la mia cultura è più latina, mediterranea. Abbiamo tutti delle identità plurali e mai definitive. Bisogna pensare alla sostituzione del sogno «universalistico», con un «pluriversalismo», come lo chiama Raimon Pannikkar”.
Ci piacerebbe, dunque, condividere l’avvio di un nuovo racconto geografico e sociale. Un racconto, fatto questa volta per immagini. Un racconto che nasce nei luoghi del Ribellarsi facendo, quelli di cui si nutre il cambiamento che avviene in basso, in profondità e in modo mai definitivo. Vogliamo provare a metterlo in Comune, insieme, magari con un pizzico di creatività e ironia? La domanda (risposte ne abbiamo sempre poche) è: dove? Ma può anche essere da dove? Oppure verso dove? Perché siamo anche in movimento, non lo dimentichiamo. “Viaggiare è per me una vera dipendenza – ha scritto nella sua adesione Elisabetta Colautti di Udine – Ogni volta che parto so che si tratterà per me di una piccola grande rivoluzione: in ogni luogo c’è qualcuno o qualcosa che ti insegnerà tantissimo. Abbiamo bisogno di nuovi punti di vista… ”.
Sì, perché tutto, ma proprio tutto, dipende sempre dai punti di vista. Dal punto di vista degli indigeni delle isole caraibiche, racconta Eduardo Galeano, Cristoforo Colombo, con quel copricapo di piume e il mantello di velluto rosso, era un pappagallo di dimensioni mai viste. Allora, qual è il vostro, di punto di vista? Cosa state guardando? E cosa ci vedete, dentro quel guardare? Un angolo di nuovi mondi in città? Uno spazio sociale di lotta e allegria? Un parco aggredito dalla speculazione scoperto nel week-end? Una spiaggia difesa da scogli e mareggiate? Bastano uno scatto, e qualche parola che ce lo descriva, lo racconti. Il nostro Ribellarsi facendo, la campagna 2014 di Comune-info, riprende il cammino con una domanda semplice. E curiosa: dove siete?
Le foto del vostro “ribellarsi facendo” inviatele a
oppure su facebook in questa pagina
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Versamenti sul: c/c bancario dell’associazione Persone Comuni
IBAN IT58X0501803200000000164164; Banca Pop. Etica, Roma;
causale Campagna 2014
E’ possibile inviare le quote anche con PAYPAL
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I LUOGHI DEL RIBELLARSI FACENDO
Collettivo Utopia, Napoli
Gli alberi, la luce e la giustizia
Maria Grazia
Giuliano Pizzoni
Alessia Barbagli
Alessandra Vecchi
Filippo Mondini
Mamma in coma dopo nottata col bebè
Giorgia Celli
Ass. Amici del Nidiaci in Oltrarno Onlus, Firenze
Flora Colacurcio
La Palestina che non ti aspetti
Patrizia Cecconi
Girare e rigirare per capire… il Giappone
Alessandro Di Ciommo
La quotidianità del ribellarsi facendo
Marilena Franchina
DA LEGGERE
LA STAZIONE COMUNE DEI MONDI NUOVI [GENNAIO 2014]
Accade spesso ma non sempre che la speranza di cambiare sia un privilegio riservato a chi ha la possibilità di poterlo comprare. Non è il nostro caso. Facciamoci un regalo: mettiamo insieme almeno un euro al mese perché chiunque ne abbia voglia possa leggere liberamente Comune-info per un altro anno. Sono dodici euro, tre per ogni stagione del 2014. Se qualcuno può mettere di più, lo faccia. Servirà a sostituire chi vorrebbe partecipare e non ce la fa. Potete versare come volete e quando potrete. …. [segue qui].
DA SCARICARE
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Paolo Tonon dice
Ve lo scrivo qui e poi vi manderó qualcosa, siete una delle testate di informazione piú belle e ispiranti per il mondo di domani, quello che sogno e sto cercando di costruire. Avanti cosi! Insistete!
(via facebook)
Bruno dice
Cari amici, finalmente, ho deciso di scrivervi, perché… mi avete rotto (come volgarmente si dice)! Sono un vecchio (86) prof emerito di Roma 3, che vi leggo ogni settimana, vi ringrazio per le informazioni corrette e “indipendenti”, ma, purtroppo, non sono in grado di aiutarvi (almeno per alcuni mesi ancora), a causa di processi… di lunga durata (10 anni!) e di spese inconsulte di mia moglie (assai più giovane: brasiliana), che ci ha sotterrato di debiti…
Scusatemi quindi, complimenti e auguri per il vostro lavoro, degno di lode e ammirazione, nonché cordialissimi saluti.
(via e-mail)
Marina Falcinelli dice
Progetto interessante vi seguirò.
(via facebook)
Giancarlo Zulato dice
Come va, ragazzi?
Vi seguo e vi apprezzo da oltre un anno.
In questo momento, non ho nulla da inviarvi: non ho un telefono che faccia foto decenti, e la digitale la porto con me raramente.
Ma voglio dirvi che si, vi apprezzo, condivido i vostri contenuti (spesso anzi mi stimolano a riflettere e a cambiare) e VI-VOGLIO-BENE davvero.
Buon lavoro!
Giancarlo Sante, 62enne esodato (sigh!) da Vimercate MB
spacciatore di lievito madre, panificatore naturale, pastaio, poliglotta (ma non abbastanza ahimé) e amante dei cittadini del mondo
Sergio Revello dice
Sabato eravamo sulle orme di Don Gallo al CEP, quartiere periferico di residenza popolare nel ponente di Genova, con Maurizio Landini, la Comunità di San Benedetto, Emergency e Banca Etica a parlare di pratiche di Prossimità come antidoto alla frammentazione nella società, nei luoghi di lavoro, nei diritti, e della possibilità di recuperare potere di autodeterminarsi unendo le forze … ce la possiamo fare!
Maria Donata dice
Sono a casa mia, nella campagna toscana a venti chilometri da Firenze, mattina presto. Dalle ampie vetrate vedo le vigne e gli olivi, un boschetto di quercioli, i vasi da fiori con le rose rosa e rosse, le piante di basilica, salvia, timo, menta, nipitella e rosmarino e la gatta che dorme in mezzo ai vasi, mentre i cani dormono nell a cuccia o abbaiano improvvisamente ai passerotti. Stamattina mi hanno svegliata alle 5 perché nella vigna sotto casa passeggiava una famigliia di cinghiali, una presenza quotidiana in questo periodo di nuove cucciolate. Buona giornata!
maomao comune dice
Ribellioni collettive, ribellioni individuali…
Buona notte a te, Maria Donata.
Grazie per aver risposto cogliendo a pieno il senso e lo spirito di quel che chiedevamo con l’articolo (un’articolazione della campagna 2014, Ribellarsi facendo) intitolato “Dove siete?”. Leggendo le tue parole, abbiamo provato a guardare con i tuoi occhi. È proprio un bel vedere! Chiudendoli, gli occhi, poi, si riesce quasi sentire il profumo dell’erba fresca. La rugiada. Poi uno si domanda: ma siamo certi che sia proprio una ribellione star lì a guardare le vigne e gli olivi, i vasi, la salvia, i cani i cinghiali…Ma non è che stiamo facendo una gran confusione tra l’ozio e la rivoluzione, tra il relax bucolico e l’anticapitalismo, anche perché la sola ribellione possibile, come sappiamo, è quella collettiva? Beh, la risposta è semplice e molto zapatista (scusate l’insistenza ma sono giorni di forti emozioni su quel versante): non lo sappiamo.
La risposta continueremo a cercarla, naturalmente. Sapendo di non sapere, sapendo che quel che conta sono le domande giuste. Di certo, tuttavia, cercare di precisare in modo ossessivo, alzare steccati, circoscrivere i contorni di un gesto, definire, classificare è uno sport che non abbiamo mai amato. Non ci pare, comunque, che questi siano tempi in cui si possa regalare alcuna ribellione “individuale” a quel che ci opprime, al capitalismo. Non ci pare né giusto né vantaggioso lasciar seccare al sole, inaridire e intristire alcuna ribellione con il segno di quella di Maria Donata, un segno straordinario, senza darle risonanza. E poi il capitalismo (parola il cui utilizzo richiama negli allocchi una temuta dimensione “ideologica”), nella vita quotidiana, cioè nella realtà, non è quella macchina che trasforma le relazioni tra le persone in cose e le persone in merci sibilando furiosamente che dobbiamo fare più in fretta, che dobbiamo correre e non abbiamo certo tempo per guardare gli olivi o fare una carezza alla gatta. Dobbiamo lavorare, di più e sempre più in fretta, più in fretta. Dobbiamo mangiare più in fretta, portare i bambini a scuola più in fretta, dobbiamo camminare e forse perfino dormire più in fretta. Solo così potremo essere all’altezza della produttività necessaria, potremo cioè produrre più profitto per il capitale. Potremo competere.
Possiamo ribellarci. Possiamo (e dobbiamo) fermare l’alta velocità, possiamo opporci all’aggressione dello stato asservito al denaro in Chiapas o in Guatemala, possiamo gridare all’Azienda comunale elettricità e acque del Comune di Roma che non deve rendersi complice di chi ruba l’acqua ai Palestinesi. Possiamo occupare mille e uno spazio pubblico da sottrarre alla speculazione o all’estrattivismo metropolitano. Sono cose di vitale importanza. Ma lo è anche cercare di vivere in un altro modo, ribellarci alla vita che non abbiamo scelto, ai risvegli disumani in luoghi avvelenati dalle polveri o dall’amianto, a un tempo di vita asservito all’orologio e al profitto. Buona notte, Maria Donata, anche alla gatta, ai grilli, alla nipitella e alla famiglia di cinghiali.
Ps. Quando hai tempo, per favore, mandaci una foto della tua bella adesione, vorremmo metterla in Comune qui sopra.
FRANCESCO dice
Sono nel Regno Unito. Vivo da Febbraio 2013
nel Devon, Sud Ovest dell’Inghilterra ai confini con la Cornovaglia. Non sono venuto qui solo per lavorare ma per una mia scelta di vita. Vivo ad Exeter a pochi km da Totnes, città dove è nato il movimento delle Transition Town e a pochi km dallo Schumacher College. Ero interessato ad approfondire praticamente le tematiche legate alla permacultura e imparare le tecniche per l’autosostentamento e la resilienza. Ho fatto un’esperienza da woofer (wwoof: World Wide Opportunities on Organic Farms http://www.wwoof.net/), attività di lavoro volontario in aziende agricole ecosostenibili che consiglio a tutti. Ho vissuto in tre aziende bio nella zona est del Devon ai confini con il Dorset. Nonostante ho conseguito un DU in produzioni vegetali, laurea triennale in enologia e master in tecnologia della vinificazione e abbia lavorato per 10 anni come libero professionista( Perito Agrario), in 4 mesi di lavoro in azienda ho imparato di più di tutta una carriera di studio universitario. Ho riacquistato la fiducia in me stesso e ho ridefinito i miei obiettivi. Qui ho conseguito un diploma di II livello Work Based-Environment and Conservation e sebbene ancora non riesco ad inserirmi in questo settore, non mi lamento. Ho imparato a vivere con poco abbassando i miei bisogni (era uno dei miei obiettivi), acquisto prodotti biologici presso il farmer market e quando è stagione li raccolgo presso un community garden in cui svolgo un’attività volontaria. Lavoro part time per scelta perchè il lavoro che faccio mi serve esclusivamente per vivere e per continuare la mia ricerca. Ho dato priorità all’aspetto sociale rispetto a quello economico e sono felice della scelta. Sono diventato vegano per una scelta etica ed ecologica. Il Regno Unito, nonostante le sue contraddizioni mi ha dato molte opportunità di crescere, cosa che in Italia non ho mai trovato. Ho anche iniziato a scrivere racconti in inglese sviluppando ancora di più la mia creatività. Credo di essere sulla strada giusta anche se non smetto mai di cercare nuovi percorsi e pormi domande.