Alla vigilia delle elezioni del 2011 la conquista del diritto di voto all’indomani della rivoluzione era il segno della nuova dignità acquisita e della speranza di ulteriori avanzamenti in campo sociale. Oggi gli elettori sanno di aver ceduto una parte della sovranità popolare a degli eletti che non hanno mai rispettato gli impegni assunti. La democrazia delegata e formale ha mostrato così, ancora una volta, tutti i suoi limiti. È come se in Tunisia, in un arco di tempo brevissimo, si fosse sviluppata la stessa diffidenza e sfiducia nei confronti dei partiti che altrove, per esempio in Italia, ha richiesto decenni per arrivare a maturazione. Non c’è solo delusione, però. Molti si rivolgono verso altre forme di attivismo, certi ormai che la sola via elettorale non potrà portare cambiamenti significativi. Altri preferiscono dedicarsi ad attività culturali o pedagogiche partendo dall’assunto che cultura, educazione e formazione siano strumenti altrettanto utili a creare i cambiamenti necessari a “rivoluzionare” la società attraverso piccoli passi
di Patrizia Mancini
Il 4 ottobre è partita la campagna elettorale per le elezioni legislative. Iniziata in sordina a causa della coincidenza con le festività legate alla celebrazione dell’Eid-al- Adha (Festa del Sacrificio), è entrata nel vivo la scorsa settimana, animata da vecchie e nuove polemiche e infrazioni ai regolamenti da parte di alcuni partiti. Cittadini e cittadine non avranno il tempo di riprendere fiato all’indomani dei risultati perché già il 23 novembre dovranno ripresentarsi alle urne per scegliere direttamente il nuovo presidente della Repubblica. Ed eventualmente partecipare al secondo turno a dicembre.
Si voterà per la prima volta in base a quanto stabilito dalla nuova Costituzione, entrata in vigore nel febbraio di quest’anno. A quasi quattro anni dalla rivoluzione, si spera verranno elette istituzioni democratiche stabili che prenderanno il posto dell’Assemblea Nazionale Costituente che finora, oltre ad aver varato la nuova Carta costituzionale, ha svolto a tutti gli effetti il ruolo di Parlamento.
Qualche numero
Su oltre 8 milioni di potenziali elettori, in 5.285.136 si sono iscritti nelle apposite liste, di questi circa 360.000 sono i tunisini che vivono all’estero: dovranno scegliere fra circa 1327 liste di partito e indipendenti, di cui 97 nelle circoscrizioni estere per eleggere 217 deputati che formeranno quella che si chiamerà l’”Assemblea dei rappresentanti del popolo”. Le liste che sono state accettate dall’Isie (Instance supérieure indépendante pour les élections) ricevono un finanziamento pubblico che viene consegnato in due tranches: la prima, erogata immediatamente a tutte le liste partecipanti, rappresenta il 50% del totale e dovrà essere restituita dopo le elezioni da chi avrà raccolto meno del 3% dei suffragi, mentre la seconda verrà versata a chi avrà superato tale percentuale, ma solo all’indomani della pubblicazione dei rendiconto da parte dei tesorieri di partito o delle liste.
Modalità di attribuzione dei seggi
Come già nel caso delle elezioni per l’Assemblea Costituente, il metodo d’attribuzione dei seggi della prossima compagine parlamentare è quello denominato “au plus fort reste”. Dapprima si calcola il “quoziente elettorale” dividendo il numero totale dei voti per il numero dei seggi. Tale quoziente si applica al numero ottenuto da ciascun partito o lista che ha ottenuto più voti rispetto al quoziente. Il resto, cioè i seggi non attribuiti, vengono distribuiti fra i candidati che hanno ottenuto un numero di voti pari o inferiore al quoziente elettorale. Grazie a questo metodo, i partiti minori sono piuttosto favoriti.
Il contesto
A differenza del clima festoso ed emozionante che precedette le elezioni del 23 ottobre 2011, che comunque furono caratterizzate da un tasso di astensione molto elevato (48%), è piuttosto la disillusione a prevalere, specialmente negli ambienti di coloro che furono in prima fila durante le giornate della rivoluzione. Grande è il disincanto di coloro che parteciparono ai sit in della Kasbah, che furono decisivi per strappare al governo provvisorio post-dittatoriale l’impegno a indire le elezioni dell’Assemblea Costituente.
Il probabile testa a testa fra il partito islamico Ennahdha, liberista, ma che ha tinto il suo nuovo programma di sfumature socialdemocratiche (1) e il soi-disant “modernista” (ultra liberista) Nidaa Tounes non appassiona più di tanto il tunisino medio, che invece nel 2011 seguiva con passione i dibattiti televisivi e si infiammava in interminabili discussioni, ad esempio, con il tassista di turno.
E’ come se in Tunisia, nell’arco di un tempo brevissimo, si fosse sviluppata la stessa diffidenza e sfiducia nei confronti dei partiti che altrove, come in Italia, ha richiesto dei decenni per arrivare a maturazione.
Non possiamo biasimare questo atteggiamento liquidandolo banalmente come mero disfattismo o nichilismo, dato che purtroppo nessun partito finora ha dimostrato di essere esente da critiche, chi per la gestione nepotistica dell’apparato partitico, chi per le posizioni opportuniste assunte in varie occasioni.
Se alla vigilia delle elezioni del 2011 la conquista del diritto di voto all’indomani della rivoluzione era il segno della nuova dignità acquisita e della speranza di ulteriori avanzamenti in campo sociale, ora gli elettori spesso hanno la certezza di aver ceduto una parte della sovranità popolare inutilmente, cioè a degli eletti che non hanno mai rispettato gli impegni assunti, perdendo quindi interesse non per la politica in sé, ma per quegli aspetti della democrazia che hanno mostrato tutti i loro limiti. Molti si rivolgono verso altre forme di attivismo, certi ormai che la sola via elettorale non potrà portare cambiamenti significativi, altri preferiscono dedicarsi ad attività culturali o pedagogiche partendo dall’assunto, peraltro condivisibile, che cultura, educazione e formazione siano strumenti altrettanto utili a creare le mutazioni necessarie per “rivoluzionare” la società a piccoli passi.
Una buona parte di questi militanti delusi simpatizzava per la coalizione di sinistra del Fronte Popolare che ha disperso l’enorme consenso che aveva accumulato all’indomani dell’uccisione dei suoi leaders Belaid e Brahmi, con alleanze spurie con quanti volevano riprodurre in Tunisia uno scenario all’egiziana, chiedendo nel luglio 2013 lo scioglimento dell’unica istanza eletta, l’Assemblea Nazionale Costituente. Inoltre, ancorati a una visione imbalsamata della società tunisina e a un panarabismo obsoleto, hanno cessato ben presto di parlare di giustizia rivoluzionaria, di transizione e sociale, argomenti che, a loro parere, si potranno affrontare in seguito, una volta sconfitto il “nemico islamista”. A pietrificare ulteriormente lo scenario politico hanno contribuito inoltre i partiti del centro sinistra e il governo dei tecnocrati che, difensori della sicurezza e della stabilità, hanno criminalizzato i conflitti sociali. Inoltre, agitando lo spauracchio del terrorismo e del caos, molti appartenenti ai partiti “laici” e “modernisti”, ma anche della sinistra, non hanno esitato a scendere in piazza accanto alle “forze dell’ordine repubblicane e patriottiche”, le stesse che a tutt’oggi torturano o violentano nei commissariati in perfetta impunità oppure minacciano di morte gli avvocati nei processi si tengono contro i giovani rivoluzionari(2).
Nel frattempo, per la responsabilità anche di Ennahdha che ha sempre contrattato in segreto con i rappresentanti del vecchio regime e fatto mancare la maggioranza all’interno dell’ANC, per votare la legge di esclusione dei membri del partito di Ben Alì dalla scena politica (3), i fantasmi del passato si ripresentano sulla scena tunisina, anche elettorale, con rinnovata arroganza. Pioniere nello sdoganamento di questi personaggi è stato il partito Nidaa Tounes che ha loro spalancato le porte da subito, provocando una serie di defezioni all’interno del partito da parte dell’ala cosiddetta di “sinistra”. L’ultimo acquisto è Mohamed Ghariani, segretario dell’RCD (il partito unico di Ben Alì) allo scoppio della rivoluzione. Ma esistono anche partiti, come El Moubadara (l’Iniziativa) che dietro la facciata bourghibista nasconde un ex ministro della Difesa e degli Affari Esteri di Ben Alì, Kamel Morjane, candidato alle presidenziali.
Vi è poi il Mouvement Destorien, creato da Hamed Karoui, che fu Primo Ministro durante la dittatura. Il candidato alle presidenziali di questo partito non è altri che Abderrahim Zouari, un altro ex ministro benalista .
Infine, Mondher Zenaidi, rientrato dall’esilio in Francia il 4 agosto scorso, scagionato come gli altri da ogni accusa, a più riprese ministro dei governi del dittatore, si presenterà anch’egli alle presidenziali, ma come indipendente.
Questi figuri dell’ancien régime hanno in comune un discorso pericoloso che purtroppo, sembra fare breccia nel cuore di molti tunisini e che può essere riassunto in una recente dichiarazione di Abderrahim Zouari al giornale francese Le Monde: “Si possono rimproverare molte cose a Ben Alì, ma sotto il suo regime esistevano delle vere competenze”.
In questo quadro piuttosto negativo e sotto la pressione degli organismi economici internazionali che richiedono i fatidici aggiustamenti strutturali che hanno portato alla bancarotta altri paesi in Europa, la Tunisia si accinge al voto del 26 ottobre. Il vero cambiamento, però, potrà avvenire solo attraverso la ricomposizione e l’organizzazione delle varie frange disperse dei movimenti all’origine della rivoluzione, dalla loro capacità di esprimere conflitto e nuove forme di democrazia, con l’esercizio costante della memoria in opposizione ai tentativi di falsificare la storia della Tunisia, anche la più recente.
Note
(1)http://www.lecourrierdelatlas.com/793224092014Ennahdha-presente-son-programme-socio-economique-un-pas-de-plus-vers-l-AKPisation.html
2)Il 27 maggio 2014, a Kasserine durante il processo ad alcuni militanti accusati di aver assalito un commissariato di polizia durante la rivoluzione, il nostro Hamadi Zribi ha assistito alle minacce di un poliziotto sindacalista (sic!) nei confronti di uno degli avvocati della difesa: “Non uscirai vivo da Kasserine”
3) A momento del voto degli articoli della legge 167 riguardanti l’esclusione degli ex membri dell’RCD dalla partecipazione alle elezioni, un deputato di Ennahdha fece mancare il suo voto favorevole, necessario per poter far passare la legge.
Patrizia Mancini ci ha inviato questo articolo, che è è uscito naturalmente anche su Tunisia in Red, il sito di informazione, analisi e riflessione che ha fondato con altri compagni tunisini e non per interpretare in modo critico quel che avviene in medio oriente e, in particolare, una situazione complessa come quella della Tunisia del dopo Ben Alì. Un mezzo indispensabile per rompere il silenzio calato su un paese che non fa più notizia in modo spettacolare e quindi sembra non esistere nelle agende delle pochissime fonti che controllano l’informazione mondiale.
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