Come evitare di trasformare le scuole in reclusori? Come offrire non solo aule ma anche laboratori? Cosa accade ai bambini e ragazzi più fragili? Come smontare l’ossessione dei voti?… Con il post lockdown e il rischio di un acutizzarsi dei contagi ci sono alcuni nodi che riguardano la scuola che, come la polvere, finiscono sotto il tappeto. Secondo il tavolo Saltamuri è il momento di affrontarli insieme a tanti
Non si vuole negare l’importanza della tutela della salute di tutti coloro che intervengono a scuola. Né l’urgenza dei genitori di “affidare” i figli in luoghi sicuri. Ma ci sono anche ragioni pedagogiche, relazionali, psicologiche, umane. Freinet definiva acqua stagnante quella di un certo modo di fare scuola di contro allo sgorgare e scorrere libero di un ruscello. Noi vorremmo una scuola talmente sicura di se stessa, resiliente, che sappia decentrarsi, flessibilizzarsi, aprirsi all’esterno, farne oggetto di continua esplorazione e ricerca, andare a cercare chi non si fa raggiungere. Andare e tornare a piedi da casa a scuola in compagnia è già qualcosa, ma non basta. Con il post lockdown e la minaccia pendente di un acutizzarsi dei contagi ci sono alcuni nodi di cui si preferisce non parlare, nascondendoli come la polvere sotto il tappeto. Ma prima o poi rispuntano e dobbiamo imparare a farci i conti.
1. Apertura
Non si può tenere tutto e tutti sotto controllo e al chiuso per lungo tempo. Non è scuola ma reclusorio. Bisogna trovare i modi e le ragioni per uscire. L’incontro (con chi e cosa sta fuori) è una delle occasioni più favorevoli per l’apprendimento. Solo il fare esperienza ambientale, culturale, ludica, motoria può salvare dalla saturazione psicologica che contrassegnerà i mesi di immobilità. Ma bisogna bussare forte alle porte della scuola. Tanti sono i problemi, dai nidi alla secondaria, che caratterizzano un’apertura così spoglia di varietà percettive, spaziali, cromatiche, multimodali, che vanno affrontati e risolti cercando soluzioni meno dannose possibili.
2. Tempi
Una scuola di tempi brevi non può che approfondire distanze e divaricazioni, non stimola pensiero e non problematizza, assuefà alla ricezione passiva. È scuola? Quando si potrà quanto meno pensare e progettare una scuola aperta lungo tutta la giornata nonostante tutti i condizionamenti si potrà fuoriuscire da ragionamenti angusti e limitativi.
3. Spazi
Si è spesa parecchia retorica, nei mesi del lockdown, sulla mancanza dell’aula, di uno spazio strutturato consacrato alla lezione, cattedra inclusa. Ma l’aula può consentire solo determinate azioni dei soggetti, tutte prevedibili. Servono laboratori, spazi dove fare altre esperienze, dove rielaborare quanto si è visto e fatto fuori. Pensare solo a sistemare/ingrandire le aule è stato un grande errore pedagogico. Gli arredi non educano, ma possono avere funzione educativa se non sono prigioni. Con buona pace di chi si preoccupa della cattedra. Ma una scuola senza possibilità di educazione sensoriale, di manipolazione, di compiere trasformazioni, di sussidi per l’apprendimento, di strumenti per l’osservazione, che scuola è? Occorrono soluzioni creative, sostituzioni di attività con altre più “sicure”, ma garantendo l’apprendimento attivo. Ogni limite sfida a superarlo. Lewin analizzava lo spazio fisico e sociale in termini di valenze positive o negative, di barriere o facilitazioni. Che percezione della realtà ambientale potremo offrire se sarà ridotta a pochi metri, piena di controindicazioni e allarmi? Quale valenza positiva potrà assumere lo spazio scolastico?
4. Cooperazione
A vivere insieme si impara vivendo insieme. Non chiusi in tante bolle, non misurando i passi. È dallo sguardo dell’altro che acquisto maggior conoscenza di me stesso. È facendo insieme che si strutturano procedure, si stabiliscono connessioni, si assumono responsabilità. La cooperazione è un abito che ci si porterà dietro tutta la vita. Se avrà avuto modo di crescere, svilupparsi, arricchirsi, mettersi alla prova. Comprendendo che ognuno ha con gli altri debiti di ri-conoscenza e crediti di reciproca collaborazione. Bisogna sperimentare l’interdipendenza attraverso il gioco, la scrittura, le discussioni, per capire che non si può fare a meno degli altri, che non si è autoreferenziali senza che questo si traduca in un limite all’espansione della personalità. Oggi questo è in discussione seriamente. Troppo tempo senza gli altri non può non avere conseguenze. Tutti devono potersi ri-conoscere. Costruire insieme qualcosa di nuovo, di diverso.
5. Partecipazione
Non prevedere la consultazione dei ragazzi rispetto al loro vissuto scolastico è un grave errore e non potrà non avere conseguenze in una scuola in cui l’educazione alla cittadinanza attiva è spesso tutta da costruire. Tutte le forme di coinvolgimento in ragionamenti collettivi, di discussione, di assemblea, di consigli dei ragazzi sono quanto mai necessarie per istituire modalità che conducano al civismo attivo e al senso dell’etica pubblica. Una scuola con misure unicamente di prevenzione, di contenimento, di sospensione di diritti (previsti dalla Convenzione e dalla legge 176) è un danno per la comunità nel suo insieme.
6. I “diversi”
Franco Lorenzoni sottolinea giustamente il rischio di una reazione allarmata o penalizzante della scuola a fronte di comportamenti che non rientrino nelle procedure previste per il distanziamento, la sanificazione, la stanzialità sui banchi: il “disturbo”. Ma il problema riguarda anche i casi “silenti”, le forme di disagio inespresso, le tante piccole difficoltà che a volte vengono ingigantite e categorizzate come stigmi, e, come ha evidenziato drammaticamente il periodo del lockdown, riguarda i casi di disabilità, di disturbi della personalità, di handicap neurofisiologico, cui il lockdown ha sottratto tempo di esperienza, contatto, presenza preziosi. L’inclusione deve partire da una ripresa reale di contatto di e fra tutti i soggetti, da una volontà di tenere tutti dentro, di essere con loro prima di tutti per poter stare costituzionalmente con tutti.
7. I lontani
Una particolare attenzione va rivolta a chi non è stato raggiunto e non ha avuto e ancora non ha possibilità di connessione. I bambini stranieri in primis, i sinti e i rom, alcune zone del paese. Chi è rimasto, nell’accezione espressione di una mentalità obsoleta, “indietro”. Nessuno va lasciato “indietro” ma nello stesso tempo occorre tener presente che spesso la scuola è funzionale a coloro ai quali non è necessaria. Piuttosto che a una pedagogia della compensazione espressa dal termine “recupero” occorre pensare a una riconversione pedagogica complessiva che riequilibri le condizioni e le opportunità per tutti. Perché è la scuola che ha un groppo debito verso molti e serve un risarcimento che sia complessivo.
8. Conoscenza
Una conoscenza asettica e in pillole non può rispondere alle tante domande, alle emozioni vissute, alle esigenze formative del post lockdown. La conoscenza necessaria deve radicarsi nella realtà, affrontare i problemi del mondo, della povertà, dell’ambiente, dell’economia, della salute e della felicità. Partendo da esperienze condivise e rielaborate collettivamente. Non “situazioni reali” artificiosamente costruite. L’interconnessione mentale indispensabile per comprendere cause effetti degli eventi che ci circondano si crea sulla simbolizzazione e rielaborazione dei vissuti attraverso la metodologia dalla ricerca, la discussione, l’elaborazione di ipotesi.
9. Voti
Il nostro ministero è riuscito a produrre un “mostro pedagogico”: metà anno con verifiche e voti su registro elettronico, l’altra metà (?) con profili e giudizi. In un anno che inizia in modo così confuso e con tanti punti interrogativi, accompagnato da ansie, disorientamento, annunciare la sostituzione dei voti con un documento alternativo e due mesi dopo reintrodurli in forma così pesante e prescrittiva risulta un ulteriore elemento di disgregazione e disaffezione. Non si può non invitare i collegi a cercare soluzioni diverse e più coerenti sul piano educativo.
10. Patti
Tutte le ragioni suddette inducono a ribadire l’esigenza di accordi e progettazioni reciproche a livello di territori per una città come scuola, costruendo reti collaborative che si costituiscano come buone proposte a disposizione delle scuole. Per sostenere la coesione sociale di cui il distanziamento ha ulteriormente allentato i legami. Con tutti gli accorgimenti del caso, lavorare con volontari, enti del terzo settore, associazioni professionali costituisce una risorsa ineludibile per dare spazio e respiro alla scuola. Visite a istituzioni culturali e strutture produttive, ricerche ambientali e passeggiate ecologiche, animazioni, frequentazione di biblioteche e ludoteche, di fattorie didattiche, di laboratori artigianali possono integrare un curricolo che per reagire all’isolamento e alla chiusura non può essere affidato a lezioni e verifiche.
Su questi punti vorremmo confrontarci con associazioni, scuole, enti locali, genitori, organizzazioni sindacali.
Giancarlo Cavinato, tavolo SaltaMuri
DUE APPUNTAMENTI Sabato 26 settembre: Priorità alla scuola; Venerdì 9 ottobre: Sciopero per il clima
Diego dice
Nel punto 7 “…nello stesso tempo occorre tener presente che spesso la scuola è funzionale a coloro ai quali non è necessaria.”
Non esistono bambini/ragazzi per cui la scuola non è necessaria. La scuola è necessaria ed è un diritto di tutti, anche di coloro che avrebbero la possibilità di fare educazione parentale.