Non ci sono molti dubbi sul fatto che, da quando imperversa la pandemia, di scienza si parli troppo e, soprattutto, male. Da una parte chi ascolta distrattamente le affermazioni di un qualche virologo per poi ripeterle fuori contesto o a sproposito ma “in nome della scienza”; dall’altra chi guarda alla ricerca scientifica come a un’ideologia o una religione da cui trarre non domande ma dogmi. Di tutt’altra natura sono i progetti e le azioni che tendono invece a democratizzare la scienza, non isolandola nei mausolei o nelle accademie ma avvicinandola ai cittadini, in particolare quelli interessati a partecipare alle attività di ricerca che la riguardano. In questo articolo si racconta così proprio del lavoro formativo sulla scienza dei (e per i) cittadini, promosso dall’associazione A Sud e dal Centro di documentazione sui conflitti ambientali, per costruire strumenti e iniziative che mirano alla costruzione di coscienza comunitaria, a partire dai gruppi impegnati a contrastare criticità ambientali e loro conseguenze sanitarie, economiche e sociali sui territori. Quattro interessanti progetti – dalla costruzione di comunità nella Terra dei Fuochi alla qualità dell’aria a Colleferro, dall’esperienza pilota di monitoraggio sul Tevere (che mette al lavoro insieme diversi comitati romani ed è sostenuta dal Programma periferiacapitale della Fondazione Charlemagne), fino a Walk Up Aniene, che vuole sistematizzare proposte dal basso per la gestione della riserva naturale – mostrano il profilo di un’idea precisa della ricerca scientifica quando si apre alla partecipazione, quella dell’azione che nasce per recuperare e restituire i saperi al bene comune e per rendere giustizia all’ambiente
Il termine Citizen Science (CS, letteralmente, scienza dei cittadini) indica quel complesso di attività collegate ad una ricerca scientifica a cui partecipano i cittadini. Gli strumenti della CS cosiddetta “estrema” vengono utilizzati per raccogliere dati sullo stato ambientale, comprenderli e condividerli utilizzando questa conoscenza per potenziare i gruppi locali e sostenere la loro attivazione. Una scienza dei e per i cittadini, costruita sulla base della partecipazione proattiva di volontari che assieme agli scienziati si fanno costruttori di saperi.
Nelle diverse accezioni che nel panorama scientifico vi sono, le nostre organizzazioni hanno scelto appunto di lavorare nell’ambito della CS radicale (o extreme CS), civica e di comunità: un’interpretazione che trasforma il cittadino da semplice raccoglitore passivo di dati, a protagonista che indirizza tutte le fasi di produzione del sapere: dall’identificazione del problema, all’individuazione delle metodologie per analizzarlo, alla costruzione efficace di strategie di comunicazione e advocacy che guardano alla pianificazione delle politiche in ottica di cambiamento, fino ad arrivare alla possibilità che i saperi generati rappresentino ad esempio la base di processi legali orientati a ristabilire un principio di giustizia sociale ed ambientale.
Il lavoro dell’associazione A Sud e del Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali (CDCA) in questi anni si è mosso da questo assunto, cercando di costruire strumenti e iniziative volte alla costruzione di coscienza comunitaria, a partire dai gruppi impegnati a contrastare criticità ambientali e conseguenze sanitarie, economiche e sociali a esse associate sui territori.
Il potenziale trasformativo che le iniziative di CS o di monitoraggio civico e partecipato hanno, rappresenta un fenomeno dirompente per la capacità di sostenere le dinamiche vertenziali ed allo stesso tempo di costruire visione e soluzioni.
La produzione di conoscenza ha in sé un potenziale generativo essenziale nella ridefinizione del futuro delle comunità a partire dalle istanze locali, e la raccolta di evidenze scientifiche legata a problemi sanitari ed ambientali, rafforza i processi democratici e il protagonismo dei cittadini, oltre a sedimentare un senso di appartenenza ai territori e a rafforzarne l’identità e le vocazioni. Da semplici progetti di monitoraggio ambientale, i processi di CS possono trasformarsi in fenomeni popolari che ribaltano le dinamiche di potere.
Rafforzare le comunità locali, fornendo loro strumenti di attivazione, advocacy e competenze per attivare campagne legali e azioni per difendere il territorio e i propri diritti, è da sempre la mission delle nostre organizzazioni. Attraverso il CDCA, A Sud ha voluto sin dal 2007 costruire uno spazio che raccogliesse la contronarrazione dei comitati e offrisse punti di vista differenti dalla lettura mainstream dei conflitti ambientali. Le comunità coinvolte nei conflitti ambientali sono nei decenni divenute protagoniste ed attori di cambiamento sociale, culturale ed economico, partendo dalle istanze ambientali che ne hanno caratterizzato l’identità e le hanno spinte e disegnare un nuovo orizzonte e un nuovo rapporto con la natura, fuori dalle dinamiche estrattiviste e capitaliste. Riorganizzare la società secondo una visione inclusiva, in armonia con gli ecosistemi determinando dal basso le pratiche di convivenza con la natura, è la nuova frontiera delle comunità che dal conflitto hanno generato proposta.
Con questa premessa ed attraverso questa analisi. A Sud e il CDCA hanno colto nei tanti soggetti intercettati negli anni di lavoro sui e nei conflitti ambientali la necessità di attivare alleanze con il mondo tecnico e scientifico, per costruire una lettura differente ma altrettanto rigorosa e credibile, da opporre a quella ufficiale. Nasce così l’esigenza di guardare alle discipline scientifiche e sociali e al mondo accademico e della ricerca con il bisogno di cercare quelle evidenze scientifiche che dimostrino la tesi secondo la quale solo un cambiamento radicale di prospettiva, che opponga democrazia e beni comuni all’accumulazione del capitale, risulta vincente nel ridisegnare un futuro giusto e sostenibile per le comunità territoriali. Questo scardinando l’immaginario collettivo nel quale il mondo scientifico è considerato impenetrabile, chiuso nelle sue convinzioni, geloso dei propri saperi.
Negli ultimi anni, la parte illuminata di questo mondo ha visto nella collaborazione con le comunità e con i cittadini, l’unica soluzione per mettere i saperi a servizio del bene comune, mostrando grande responsabilità: mediare correttamente, garantire credibilità e rigore, disciplinare ogni passaggio di produzione di sapere al fine di renderlo inattaccabile mettendo le comunità nelle condizioni migliori per sedersi allo stesso tavolo dei decisori politici. I fenomeni di ibridazione tra mondo della ricerca e dell’attivismo (si veda la diffusione dell’Ecologia Politica anche nel nostro Paese) dimostrano come ciò si debba fare e come questo porti a degli importanti risultati: si pensi alle ricerche che hanno sostenuto i movimenti NO TAP e NO TAV e alla quantità e qualità della letteratura scientifica prodotta a difesa delle tante vertenze territoriali nel nostro paese.
A partire da queste considerazioni, sono nati alcuni progetti mirati a mettere in pratica questa modalità di intervento ed attivazione, che ci hanno viste o ci vedono tuttora impegnate.
Il primo, concluso alla fine del 2019, è il progetto Veritas, Costruire Comunità in Terra dei Fuochi; un progetto di biomonitoraggio ha avuto lo scopo di indagare e identificare la presenza di metalli pesanti e altri elementi contaminanti nel sangue dei pazienti oncologici residenti in Terra dei Fuochi. Con questa progettualità abbiamo raccolto la sfida della Rete dei tanti comitati attivi sui territori, che dopo anni di mobilitazioni e rivendicazioni hanno messo a punto una richiesta puntuale: essere gli attori che producono quella conoscenza che definisce in maniera chiara e inconfutabile il nesso tra qualità della salute della popolazione e devastazione ambientale.
I rapporti scientifici pubblicati sulla Terra dei fuochi non risultano sempre accessibili alla popolazione o riguardano solo alcune aree specifiche. Troppo spesso le informazioni sullo stato di salute dei territori e delle popolazioni che vi risiedono rimangono nelle stanze dei tecnici. Inoltre, nei territori interessati da forti contaminazioni legate a mala gestione amministrativa e politica, esiste una forte diffidenza generale in relazione alla documentazione prodotta da enti scientifici la cui indipendenza è spesso messa in discussione dall’ingerenza degli interessi della politica e delle lobbies economiche. Le comunità organizzate nelle aree di conflittualità ambientale esprimono quindi la necessità di produrre conoscenza a partire dalle loro necessità.
Obiettivo del progetto è stato quello, quindi, di restituire ai cittadini la capacità di decidere sul futuro dei propri territori, attraverso la produzione di saperi, dati e conoscenza diretta e non mediata, strumento estremamente potente nell’acquisizione di consapevolezza per agire il cambiamento. Gli aspetti procedurali e le metodologie di sviluppo ed esecuzione del progetto si sono rifatti alla citizen science, come prerequisito che garantisce partecipazione e protagonismo delle comunità.
Sono stati i cittadini dunque ad essere gli stessi reclutatori dei pazienti volontari, a definire e sottoporre i questionari anamnestici e ad accompagnare i volontari ad eseguire i test. Sono stati i comitati ad aver deciso quale ente scientifico avrebbe dovuto analizzare i risultati, sono stati i pazienti volontari ad aver capito che sottoporsi all’ennesimo esame aveva in sé l’opportunità di svelare la verità. in un contesto di forte criticità ambientale locale e di crisi climatica globale.
Tutto ciò ha generato un’opportunità per la comunità avvelenata per uscire dalla solitudine, ritrovare uno spazio pubblico, aumentare la sua capacità di difesa del tessuto sociale. Alla conclusione di Veritas ha fatto seguito la pubblicazione di uno studio sul Journal of Cellular Physiologyle cui conclusioni erano in linea con quanto denunciato per molti anni dai comitati.
Vi sono altri progetti che la nostra Associazione sta portando avanti concentrandosi questa volta non sull’indagine di matrici biologiche, ma sullo studio di matrici ambientali la cui compromissione è causa del deterioramento della salute dei cittadini.
ComunitAria è un progetto di CDCA sostenuto dal Programma ottopermille della Chiesa Valdese, che attraverso un’attività di monitoraggio partecipativo della qualità dell’aria a Colleferro (Roma), vuole sviluppare le conoscenze relative alla contaminazione atmosferica locale e incentivare la cittadinanza attiva offrendo concrete opportunità di partecipazione utili alla comunità e alla portata di tutti. Diventeranno Citizen Scientists circa 50 cittadini, che dopo un percorso formativo raccoglieranno – tramite piccoli deposimetri – dati sulla qualità dell’aria. I risultati aiuteranno i cittadini a costruire un’azione di advocacy verso gli enti competenti (comuni limitrofi, Regione Lazio, ARPA, ASL, Ministeri dell’Ambiente e della Salute) orientata alla mitigazione delle emissioni, fonti di contaminazione atmosferica.
RomaUp progetto sostenuto dal Programma periferiacapitale della Fondazione Charlemagne mira ad aumentare la capacità di incidenza comunicativa e politica delle realtà attive per la difesa dell’ambiente e degli spazi pubblici nella città di Roma attraverso l’acquisizione di competenze e strumenti per il monitoraggio ambientale partecipato delle matrici acqua, suolo e aria.
RomaUp vuole implementare un’esperienza pilota di monitoraggio del fiume Tevere cui seguirà un’articolata e complessa azione di comunicazione e advocacy.
Walk Up Aniene è un’iniziativa sostenuta all’interno di un Progetto europeo ACTION e realizzato da una rete di organizzazioni internazionali e università esperte nel campo della CS.
L’iniziativa interviene nella riserva naturale dell’Aniene, nella città di Roma, estesa su 630 ettari per 15 km lungo il fiume Aniene a monte della sua confluenza con il fiume Tevere. La riserva rappresenta un corridoio ecologico essenziale per la città di Roma in un’area altamente urbanizzata e soggetta ad una forte pressione antropica. Implementando un’azione di monitoraggio ambientale partecipativo, Walk Up Aniene vuole canalizzare l’attenzione sugli impatti prodotti dall’urbanizzazione e dalla contaminazione dell’aria e dell’acqua monitorando la qualità della biodiversità e la funzionalità fluviale dell’Aniene lungo il basso tratto del fiume. Il progetto coinvolgerà circa 80 visitatori della riserva e permetterà di raccogliere i dati utili a realizzare una mappa dello stato ambientale della fascia fluviale e di sistematizzare proposte dal basso per la gestione della riserva naturale.
Queste iniziative, per lo più realizzate nel nostro territorio di riferimento, Roma e Lazio, rappresentano una nuova sfida per le nostre realtà. Lo sviluppo di azioni di extreme CS diventano così fondamentali strumenti di advocacy rafforzando le istanze di comitati e associazioni locali nelle azioni di dialogo, confronto e scontro con le Istituzioni.
La sfida è anche quella di contaminare il mondo accademico attraverso azioni di scienza partecipata che contribuiscano alla definizione e aggiornamento dei saperi in campo ambientale. Un altro passo, importante, verso la giustizia ambientale.
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