Dietro il “dibattito” che cerca di capire se è arrivato il momento di intervenire sui decreti Salvini, ci sono le vite sospese di migliaia di migranti, progetti di micro accoglienza diffusa saltati, bandi che vanno deserti, attori della cooperazione e dell’associazionismo trasformati in gestori del nulla, prefetture nel caos. La seconda parte del rapporto pubblicato nei giorni scorsi da ActionAid e Openpolis dal titolo La sicurezza dell’esclusione
La seconda parte del rapporto pubblicato nei giorni scorsi da ActionAid e Openpolis dal titolo La sicurezza dell’esclusione è un’impietosa analisi degli effetti dei decreti sicurezza nell’accoglienza in Italia.
Nella prima parte si erano analizzate le ricadute interne dell’approvazione del decreto, in particolare sulle conseguenze prodotte dall’abolizione della protezione umanitaria sulla crescita del numero degli irregolari. È bene ricordare che già con il decreto Minniti-Orlando era iniziato un cambio di prospettiva ma è con il primo governo Conte che questo disegno trova la sua strutturazione, stravolgendo tutto il sistema di accoglienza. Lo Sprar (Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati) diventa Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) ed esclude i richiedenti asilo, nonché i rimanenti titolari di protezione umanitaria.
Ora, dati alla mano, l’indagine si focalizza sul funzionamento della macchina dell’accoglienza che con i nuovi decreti, di fatto snatura il senso e il ruolo del sistema, trasformando i Centri di accoglienza straordinaria (Cas) in luoghi di parcheggio, senza alcuna forma di coinvolgimento dei migranti alla costruzione di comunità. Al taglio dei servizi, previsto dal nuovo capitolato di gara, si associa una drastica riduzione degli importi messi a disposizione per la gestione dei centri: dalle 35 euro al giorno si passa a 21, rendendo così impossibile garantire, anche volendo, qualsiasi forma di supporto se non la semplice sussistenza. Sono stati tagliati fondi per gli insegnanti di italiano, gli psicologi, i consulenti legali e i mediatori, producendo oltre 5.000 disoccupati e molti altri operatori ancora in bilico. I Cas sono diventati strutture dove i migranti devono attendere la decisione sulle richieste di asilo, trasformando di conseguenza gli operatori sociali in semplici controllori dei soggetti “accolti”, che non hanno alcuna speranza di potersi inserire nel tessuto sociale, studiare, trovare lavoro, curarsi. Inoltre, l’esclusione dall’iscrizione anagrafica li rende clandestini a vita.
Per di più, tra i tre tipi di centro ora previsti (singole unità abitative, centri collettivi fino a 50 posti e centri fino a 300 posti) i tagli più consistenti riguardano quelli che prevedono l’accoglienza diffusa in piccoli appartamenti. Gli effetti sono immediati e devastanti: bandi che vanno deserti, piccole realtà locali capaci di promuovere esperienze importanti annientate, migranti costretti a trasferirsi in altre città o destinati all’accattonaggio. Sulle ragioni del perché le realtà del Terzo settore hanno disertato largamente i bandi, Stefano Trovato , del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) risponde così: “C’è una ragione di tipo economico, per cui i servizi che vengono richiesti, secondo la gran parte delle organizzazioni, non possono essere coperti da quel tipo di tariffa e ci sono ragioni di tipo ideale. Molta parte degli attori della cooperazione e dell’associazionismo, non si considerano soggetti che fanno “albergaggio”, non intendono cioè gestire strutture alberghiere. Si ritengono invece soggetti che svolgono un ruolo preciso nella società, che non è solo di tipo economico ma anche sussidiario rispetto ad alcuni servizi che lo stato dovrebbe offrire, fornendo prestazioni che si inseriscono all’interno di un percorso di emancipazione e di inserimento nel tessuto sociale”.
Prefetture nel caos quindi che si vedono costrette a riproporre i bandi per l’assegnazione dei posti oppure a ridurre i posti a disposizione. Si naviga a vista, senza programmazione e per fortuna che dal 2017 il numero degli ingressi si sia ridotto in maniera considerevole. Il quadro che ne emerge, vedendo le statistiche, è quello di un sistema alla deriva a cui le prefetture in primis non sanno dare alcuna risposta se non quella di incoraggiare l’accoglienza in centri sempre più grandi, alberghi dismessi, edifici chiusi da tempo e possibilmente lontani dalle comunità. Dietro questa impostazione ci sono migliaia di storie di vita che oggi sono diventate “illegali”. Gli operatori non sanno rispondere a intere famiglie accolte e oggi costrette ad andarsene oppure a rimanere come emarginati sociali, senza diritti.
Ma qualcosa si muove nonostante tutto. La Toscana è una delle regioni in cui il fenomeno dei bandi deserti si è manifestato in maniera più evidente. In questo territorio il problema è diventato così urgente che a giugno la regione ha approvato una delibera per mettere a bando 4 milioni di euro da destinare come cofinanziamento a favore di enti pubblici o del terzo settore per progetti destinati alle persone straniere rimaste prive di reti di inserimento sociale. Lo sforzo va nella direzione di fornire nuove risorse a quelle organizzazioni che hanno partecipato ai bandi ma non hanno la possibilità di fornire i servizi che il nuovo capitolato non prevede e non finanzia. Una strada che è stata percorsa anche da altre regioni, come il Lazio o la Calabria, seppur con risorse più limitate.
Ecco quello che resta dell’accoglienza a poca distanza dall’entrata in vigore dei decreti sicurezza fortemente voluti dal governo giallo-verde e su cui l’attuale maggioranza ancora non sembra intervenire.
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