Per evitare la diffusione del contagio, la soluzione migliore è sempre l’accoglienza diffusa. I migranti arrivati in Italia dal primo gennaio all’8 agosto sono in tutto 14.832, uno ogni 80 di loro è risultato positivo al test. Non si tratta certo di un’emergenza ingestibile, tanto più che si tratta di persone che restano comunque sotto il controllo del servizio sanitario. Tuttavia, insistere sulle politiche di isolamento di massa sulle navi della quarantena significa rischiare di alimentare l’allarme cercando di contrastare così la propaganda razzista che ha preso a scatenarsi in vista delle elezioni regionali di settembre sul suo terreno. Ancora una volta. Non è affatto una buona soluzione, né dal punto di vista dei diritti né da quello sanitario. Nel sistema d’accoglienza pubblico, ricorda Filippo Miraglia in questo articolo uscito sul manifesto, ci sono migliaia di posti liberi. Siamo passati da 180 mila persone ospitate a poco più di 80 mila
Navi quarantena e grandi centri, pieni ben al di sopra la loro capienza: Udine, Lampedusa, Porto Empedocle, Messina, . . Per la gestione dell’accoglienza di stranieri, potenziali richiedenti asilo, il governo sembra intenzionato a mettere in campo soluzioni sbagliate dal punto di vista della gestione, e politicamente contro producenti. Se si trasferiscono in una nave centinaia di persone e alcune risultano positive al covid 19, il rischio di moltiplicare il contagio è enorme. Lo abbiamo visto nei mesi della pandemia. La soluzione è sempre distanziare, non concentrare.
«Il rischio è di creare focolai anziché evitarli», ha detto il virologo Massimo Galli.
Invece, per rassicurare gli italiani e le italiane, in realtà alimentando l’allarme e i sentimenti anti immigrati, che tanto comodo fanno alla destra razzista, il governo ha deciso di concentrare, ricorrendo alle navi quarantena che sono il simbolo dell’isolamento di massa, della separazione forzata, della logica concentrazionaria. Richiamano vecchie ma sempre verdi soluzioni contro le minoranze, in questo modo moltiplicando, nel dibattito pubblico, i numeri reali e quindi anche la percezione di essere di fronte ad una emergenza.
In realtà non sta accadendo nulla di straordinario o imprevedibile. I governi sanno cosa succede in Libia e quante sono le persone in mano alle milizie, da noi finanziate e sostenute. Poche migliaia, rinchiuse nei centri di detenzione governativi o “privati” che basterebbe evacuare, come ha chiesto l’Unhcr. Ma si preferisce puntare su respingimenti delegati alla cosiddetta guardia costiera e alla retorica vittimistica dell’Italia lasciata sola dall’Europa.
D’altra parte sulla Tunisia grava una crisi economica pesantissima e i giovani, come nel 2011, vogliono sottrarsi ad un destino senza prospettive. Si tratta di poche migliaia di ragazzi che, se potessero partire per l’ Europa legalmente e in sicurezza, non rischierebbero la loro vita pagando per una soluzione incerta e pericolosa, come quella via mare.
Se il governo, rompendo con l’ideologia proibizionista che impedisce agli stranieri di rivolgersi agli Stati per emigrare, emanasse un decreto flussi con una quota d’ingressi dalla Tunisia, si ridurrebbe al minimo il flusso irregolare, dando ai trafficanti un colpo mortale.
Si tenta invece di replicare il modello libico, investendo sulla guardia costiera tunisina, alla quale delegare i respingimenti di massa, proibiti dalle norme nazionali e internazionali.
Tutto in nome di una presunta emergenza rafforzata dal rischio del contagio.
I numeri dicono che siamo davvero di fronte ad una emergenza mondiale – più di 80 milioni di persone nel 2019 obbligati a lasciare le proprie case. Un’emergenza che non pesa né sull’Europa né sull’Italia, ultima da anni nell’Ue in tema d’accoglienza.
Pensiamo al Libano, un Paese con grandi difficoltà, colpito in questi giorni da una tragedia senza precedenti, che ospita 1,2 milioni di profughi a fronte di una popolazione di 4,5 milioni di abitanti. Da solo fa più dell’intera Europa.
Ma come garantire sicurezza sanitaria e accoglienza? La risposta è semplice. Nel sistema d’accoglienza pubblico ci sono migliaia di posti liberi. Siamo passati da 180 mila persone ospitate a poco più di 80 mila. Soltanto nelle strutture, quasi tutti appartamenti, che gestisce l’Arci per conto dei comuni, ci sono centinaia di posti liberi. Luoghi con personale competente, collegati con il territorio e i suoi servizi, anche con il Ssn. Se le persone che arrivano fossero distribuite per piccoli gruppi, la gestione delle quarantene e delle emergenze sanitarie sarebbe molto più facile e meno costosa. La procedura asilo verrebbe avviata per chi vuole presentare richiesta. I richiedenti asilo verrebbero presi in carico in maniera adeguata. Non sappiamo invece cosa avviene sulle navi quarantena.
Il governo è di fronte ad una scelta tutta politica: continuare a sostenere che deve fronteggiare un’emergenza, alimentando le paure e favorendo la campagna razzista delle destre, o scegliere la strada dell’accoglienza diffusa e integrata sul territorio, intervenendo con le procedure sanitarie usate per tutti i cittadini. Temiamo però che si sceglierà la strada di alimentare la paura, come sta già avvenendo, amplificando con essa anche i problemi.
* Responsabile immigrazione dell’Arci
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