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Quell’icona ‘carrello’ in una ipotetica classifica di immagini top che ci stanno cambiando la vita finirebbe certamente tra le prime 10. La pratica è nota: accendi il computer o apri le app dello smartphone e ti colleghi ad Amazon – non è l’unico ma è solo il simbolo delle nostre nuove dipendenze – e lì comincia il gran tour tra la musica, quel disco che proprio proprio ti mancava o quel cantante nuovo di cui non ti importa ma sei curioso di sentire, le scarpe con quel tacco decorato stiloso visto sui magazine magari una volta le metterai, la coperta tricottata che tanto da sola non farai mai invece e bella è pronta e poi il vino, quell’etichetta di cui hai sentito parlare da amici per un rapporto qualità prezzo da non perdere (per non parlare dei gadget da intenditore come il termometro laser per la temperatura del vino), quella salsa al tartufo prelibata ad un offerta che non teme confronti, quel libro novità già recensito in America e finalmente ora tradotto e pubblicato in Italia.. e giù a riempire il carrello, magari con l’opzione salva coscienza di alert per quando il prezzo scenderà. Metti in cascina tanto prima o poi in quel basket ci finirà. E magari quando arriva a casa neanche ti ricordi più cos’era.
Una piccola storia esemplare della nuova dipendenza, chiamiamola amazonite (che Bezos dall’alto dei suoi miliardi ci comprenda). Non grave quanto il tabagismo o il gioco on line, sia chiaro. Sono lussi innocenti di chi, giovane o neogiovane, è diventato smart e poco importa se tutte queste cose, specie se vivi in una grande città, sono assolutamente alla portata e il gran tour potresti farlo a piedi, che poi camminare fa sempre molto bene. Lì dentro c’è un circo delle meraviglie, con le slide pubblicitarie che scorrono e tu gli corri dietro per acchiappare l’oggetto, non sia mai un altro te le soffi. Il servizio Prime Now poi può essere irresistibile perché come un bambino aspetti che non sia la notte di Natale a riempirti di doni ma proprio quello stretto necessario che passa tra il click e la consegna. L’amazonite impigrisce perché il giorno dopo, bello cartonato, arriva l’acquisto alla porta di casa. Il delivery – la consegna – è un trend mondiale e noi, senza troppo ragionare sulle conseguenze etiche, ci siamo dentro. Quanto pagheranno i deliver? Quanto cartone si usa e quanto si ricicla davvero? Cosa mi serve davvero davvero, quanto alimentiamo l’iperconsumismo mentre per salvarci dovremmo, e neanche basterebbe, riciclare tutto il riciclabile che già possediamo, restano domande che non vogliamo farci.
Non solo il delivery del food – era nato negli anni ’80 con i paninari e le prime consegne a casa di pizza margherita, ora manca poco che arrivi dal Giappone lo chef con i suoi coltelloni di ceramica a farti il sushi davanti avendo optato per una cenetta nippo casalinga – ma il cosiddetto delivery anything, la consegna di qualunque cosa, impazza, fase due dell’amazonite: metto nel carrello, compro con la carta di credito, aspetto la consegna. Niente di drammatico, non ci si muore di acquisti abbastanza improbabili (quelle scarpe con il tacco decorato poi le avrai usate o sono finite ad inzeppare quegli armadi che Marie Kondo, quella del tutto a posto con l’inchino di commiato si rifiuta di sistemare perché sa che quel tacco l’hai solo comprato per impulso ma non lo hai mai veramente amato). Poi certo non tutto è collocabile nella variabile categoria dell’inutile, gli acquisti possono essere oltre che gratificanti, mirati e necessari e la consegna a casa una grande comodità. Non c’è da demonizzare la tendenza ma solo raccontarla come fatto nuovo della società.e ricerche sul tema sono diverse. Il delivery anything colpirebbe maggiormente le donne che dallo smartphone vanno sullo shop virtuale e da lì acquistano di tutto, dai fiori al cibo, persino alle spedizioni urgenti, con una consegna in mezzora circa. Millennials, nonne, mamme, imprenditrici multitasking alle prese con la scarsità di tempo ma soprattutto ragazze. Tra le più giovani, le app di delivery hanno rapidamente conquistato popolarità e vengono utilizzate principalmente per la consegna di cibo a domicilio, conquistate dalle opzioni si scelta, un giorno l’indiano, il giorno dopo l’hamburger e poi il sabato è sushi bar. Dalle spedizioni urgenti al pranzo consegnato direttamente in ufficio, le app di delivery semplificano la quotidianità riducendo i tempi dedicati agli spostamenti e alle lunghe attese, permettendo di fare acquisti in qualsiasi negozio del centro. E c’è da dire che per i commercianti dei centri storici italiani, spesso in difficoltà, sono una occasione di crescita, nonché uno strumento per rimanere al passo con i tempi. Non parliamo solo di supermercati o ristoranti, ma anche di gelaterie, pasticcerie, negozi sportivi, fioristi, farmacie. Si tratta di nuovi canali distributivi che rispondono alle esigenze di chi non può o non vuole uscire (Glovo – una delle più giovani e già popolari – è una rete che attualmente può contare su più di 1000 partner). (…)
* Caposervizio della redazione Spettacoli, Cultura e Media dell’agenzia Ansa. L’articolo di questa pagina è stato scritto per ansa.it (sezione Life style), dove è apparso con il titolo completo Bikeconomy, Londra e Amsterdam in sella per il trasporto urbano, noi lo pubblichiamo con il consenso dell’autrice, che si dice felice di fare Comune insieme a noi.
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