Chissà che imbarazzo per grandi media, partiti e forze dell’ordine: prima un documento della presidenza del Consiglio dei ministri riconosce quello che i No Tav dicono da trent’anni (il progetto della linea Torino–Lione è basato su stime a dir poco sbagliate) poi, nella stessa giornata, la Cassazione annulla la sentenza per 38 imputati delle proteste dell’estate 2011 organizzate in Val di Susa mentre nel Salento sequestrano il nuovo cantiere Tap (purtroppo dopo l’espianto di molti ulivi) per diverse violazioni, sollevate da mesi dal movimento No Tap. Tre notizie impreviste quanto devastanti per i signori del profitto a tutti i costi che avrebbero dovuto essere al centro dei notiziari, ma così non è. Insomma nel giro di poche settimane la macchina schiaccia sassi delle Grandi opere, contro la quale resistono movimenti determinati che sperimentano ogni giorno modi diversi di vivere i territori trascinando dietro di loro perfino alcuni giudici, si ritrova con molta sabbia negli ingranaggi. Per fortuna, avranno pensato i signori del profitto, la campagna elettorale e le trattative per il governo distraggono… Di certo, chi ha lavorato per costruire il mito delle imprese invincibili riservando agli oppositori il ruolo di brutti e cattivi rischia di ritrovarsi tra le mani soltanto un vergognoso e odioso castello di sabbia…. “In certi giorni – scrive Claudio Giorno dalla Val di Susa – non si può restare soli: si parte e si torna assieme…”
di Claudio Giorno
I titoli sono un po’ imbarazzati, ma la necessità di sintesi impedisce che siano masticati come le brevi e disordinate note che dovrebbero spiegare anche alla opinione pubblica più distratta su cosa e soprattutto come si è pronunciata la VI sezione della Corte di Cassazione: “No Tav, scontri di Chiomonte: a Torino processo d’appello da rifare” (Corriere della sera); “No Tav, la Cassazione annulla la sentenza per 38 imputati negli scontri dell’estate 2011. Processo da rifare” (Repubblica); “No Tav a processo per gli scontri del 2011: appello bis a Torino per gli attivisti. Annullata la sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Torino nel novembre 2016”, La Stampa. È come se oltre che bocciare (“massacrare” ha commentato un legale) la sentenza e chi l’ha scritta, la “suprema corte” avesse anche bacchettato la narrazione cupa che i giornali – (in particolare quelli dei titoli segnalati) – hanno fatto in questi anni di maxiprocessi, aule-bunker, attivisti violenti contrapposti a eroici poliziotti.
La sentenza – i legali leggeranno attentamente le motivazioni anche per essere ancora più incisivi nel rifacimento processuale imposto al tribunale subalpino – “fa giustizia” soprattutto del clima. Un clima in larga parte costruito da forze dell’ordine e pm “schierati a prescindere” dalla parte dei proponenti la Grandeopaera, e dalla politica (una classe politica sempre più corrotta e mediocre e disposta a prestarsi alla ratifica di quanto deciso dalle lobby finanziarie multinazionali); e che ha da anni rinunciato definitivamente a fare il suo mestiere più alto: risolvere i conflitti sociali. Anzi, è stata in larga maggioranza attiva nell’esasperarli.
Ma un clima incupito dallo storytelling su cui i media mainstream hanno campato per anni tra improbabile cronaca nera, pseudo-inchieste senza né qualità, né coraggio, interviste più impossibili di quelle di Umberto Eco e “certificazioni” quotidiane di qualunque affermazione – anche la più smaccatamente falsa – diramata dalle agenzie di pubbliche relazioni degli “uffici-studi”.
Così tra agiografie di capitani coraggiosi che perforano personalmente le viscere delle montagne, foto notturne di pm con l’elmetto giallo in missione per conto di un dio-muratore e trenini-cantiere decorati da giovani artisti “alternativi” si è lavorato a costruire il mito della invincibile impresa. Riservando agli oppositori il ruolo di cattivi; raccontando per tutto il tempo infinito delle udienze-maratona di prove più granitiche delle pietre lanciate tra sgombero della Maddalena e successiva manifestazione (ma guardandosi bene dallo scrivere che volarono da entrambe le parti e in misura ridicola rispetto alle migliaia di lacrimogeni).
Oggi è difficile per quegli stessi giornalisti commentare una sentenza che nell’imporre il rifacimento del processo indica fin da subito l’innocenza piena di uno dei condannati, irregolarità anche molto gravi in quasi tutte le condanne, sproporzione (vendicativa?) di pene e risarcimenti, arbitrari accoglimenti di parti civili e altro ancora. Oggi lo diventa ancor di più per una coincidenza davvero singolare: perché …in luoghi dove le Procure provano almeno a prevenire le devastazioni all’ambiente, al territorio e i danni alla salute (invece che “curare” coattamente e vendicativamente coloro che li denunciano), succede quanto riferito in scarna ma perentoria sintesi di una “fonte di stato”: Televideo Rai:
27/04/2018 – 10:09: Lecce, sequestrato nuovo cantiere Tap
La procura di Lecce ha sottoposto a sequestro probatorio il nuovo cantiere Tap (chiamato Cluster 5) per violazione della prescrizione contenuta nella valutazione di impatto ambientale (Via). Dal sito sono stati appena espiantati 448 ulivi per consentire la costruzione del microtunnel del gasdotto. Il sequestro è stato eseguito dai carabinieri del Noe e forestali che hanno svolto accertamenti sulla base di un esposto presentato nei giorni scorsi da alcuni parlamentari.
Ora per chi se lo fosse scordato il Tap è il “gasdotto sismico” (la Grandeopera privata imposta dalla oligarchia multinazionale del gas (e con contratti di fornitura capestro!) a tutti i paesi attraversati tra cui il nostro con una scelta dettata da ragioni “geopolitiche” (termine con cui ormai giustifichiamo tutto: dalle sanzioni autolesioniste alla Russia ai missili in Siria…). Ma che oltre a rappresentare un episodio di guerra commerciale (con possibili future escalation belliche tout-court) rappresenta anche una scelta progettuale davvero raccapricciante visto che il suo percorso pare essere stato scelto con cura per non tralasciare neanche una delle faglie di devastante attività sismica al di la e al di qua dell’Adriatico!
Ecco perché in certi giorni (ancor più che in certe notti di Ligabue) non si può restare soli: si parte e si torna assieme.
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