Il fantasma dello Stato Islamico contro cui tutto il mondo civile doveva unirsi senza esitare è ormai lontano. Per trovarne traccia, nell’informazione che consuma fulmineamente guerre, tragedie e orrori del nostro tempo, bisogna quasi fare ricerche d’archivio. Vale per i kurdi, traditi in fretta dalle superpotenze mondiali e offerti all’odio e alle mire espansioniste del nazionalismo turco in cambio dell’argine ai migranti e vale, a maggior ragione, per le donne yazide, stuprate, torturate e regalate come prede di guerra ai miliziani del califfato. Sembra pazzesco ma non è per follia che le immagini dei bambini traumatizzati, che solo sei anni fa campeggiavano nei media di tutto il mondo, oggi non le ricorda quasi più nessuno. La cancellazione di quel che accade è funzionale al sistema che domina il mondo, c’è bisogno di memoria da liberare per nuove offensive mediatiche da recepire. Nei giorni scorsi, Amnesty International ha denunciato l’abbandono di cui sono stati vittime i piccoli yazidi, una volta che i loro sguardi hanno cessato di essere utili allo sfruttamento dell’immagine per fini molto diversi da quelli umanitari. Il circo dell’informazione consuma e rimuove alla velocità della luce, per molti di quei bambini e di quelle donne la barbarie vissuta è un incubo che non si cancellerà perché nessuno li ha aiutati a farlo
Le violenze e uccisioni subite in Iraq da parte del cosiddetto “Stato Islamico” (Is) nel 2014 avevano scioccato il mondo intero al punto che persino i media mainstream e le istituzioni internazionali si occuparono improvvisamente di loro per un po’ di tempo. Caduto ufficialmente il “califfato”, gli yazidi sono però tornati nel dimenticatoio. Un rapporto di Amnesty International pubblicato il 30 luglio, infatti, sostiene che almeno 2.000 bambini della comunità yazida in Iraq non stanno ottenendo l’aiuto di cui avrebbero bisogno per affrontare i traumi figli della barbarie vissuta. Secondo lo studio della ong britannica, i sopravvissuti agli abusi e ai massacri compiuti dall’Is – attualmente vivono nella regione del Kurdistan dell’Iraq – “sono stati di fatto abbandonati” e stanno combattendo per riprendersi dalle violenze subite. “Mentre l’incubo del loro passato si è affievolito – ha detto Matt Wells, il vice direttore di Amnesty per le risposte alle crisi – le difficoltà restano per questi bambini. Questi minori sono stati sistematicamente soggetti agli orrori della vita sotto lo Stato Islamico e ora sono stati lasciati a raccogliere i pezzi”. Per Wells “bisogna dare loro il sostegno di cui necessitano disperatamente in modo da ricostruire le loro vite e il futuro della comunità yazida”.
Il rapporto afferma che tra le malattie mentali più comuni che si riscontrano nei 1.992 bambini che hanno vissuto tortura, stupri e altri abusi ci sono stress post-traumatico, ansia e depressione. Altri sintomi e comportamenti registrati in questi minori sono atteggiamenti aggressivi, incubi, flashback e gravi cambiamenti di umore. Una dottoressa intervistata da Amnesty ha dichiarato che quasi tutte le ragazze che ha trattato tra i 9 e i 17 anni vittime di violenza sessuale soffrono ora di infezioni, mestruazioni irregolari, difficoltà nella gravidanza e nel parto.
I traumi risalgono al 2014 quando il “califfato islamico” occupò Sinjar (città del governatorato di Ninawa, Iraq nord occidentale) uccidendo migliaia di uomini, rendendo schiave donne e bambini. Tra le vittime ci fu anche Nadia Murad, premiata nel 2018 con il Nobel per la pace per il suo attivismo.
Gli eventi drammatici avvenuti in quell’area dell’Iraq furono definiti in seguito dalle Nazioni Unite come “genocidio”. Erano gli anni in cui lo “Stato Islamico” era molto forte al punto da controllare ampie porzioni di territorio tra l’Iraq e la Siria e utilizzava molti ragazzi a combattere per loro. Una volta ritornati a casa in seguito alla sconfitta del “califfato”, tuttavia, questi giovani non hanno ricevuto alcun sostegno psicologico. Il caso del 15enne Sahir, ex bambino soldato, è emblematico: all’ong britannica ha raccontato che sapeva di aver bisogno di un aiuto a causa dei traumi subiti, ma non sapeva a chi rivolgersi: “Quello che cercavo era che qualcuno si occupasse di me, che mi sostenesse, che mi dicesse: ‘Sono qui per te’”.
Gravissima è anche la situazione delle donne molte delle quali, oltre alle violenze subite dai miliziani dell’Is a cui spesso sono state date in sposa come bottino di guerra, hanno dovuto subire anche “pressioni, costrizioni o perfino inganni” da parte dei familiari per separarsi dai loro figli nati dagli stupri dei combattenti dello Stato Islamico. “Voglio dire alla [nostra comunità] e al mondo intero per favore accettateci, accettate i nostri figli” ha detto Janan, 22 anni.
Secondo lo Yazidi Rescue Bureau del governo regionale del Kurdistan iracheno, sono circa 2.800 gli yazidi scomparsi da quando l’Is controllava ampi territori tra Iraq e Siria.
Teresa dice
Ancora si assiste a tragedie umane che avvengono per disumanità. La memoria degli orrori avvenuti nei secoli a nulla serve, sparisce con l’approssimarsi di altri eventi che contro ogni logica di civiltà mi sembrano sempre più brutali e feroci.
Gianni Sartori dice
INDIGNAZIONE CURDA A DUSSELDORF
Gianni Sartori
Ho sempre pensato che alcune canzoni di Pino Masi (quello di Lotta Continua) abbiamo rimediato in parte alle carenze scolastiche in materia di geografia.
Pensate solo a:
“…da Burgos a Stettino, ed anche qui da noi, da Avola a Torino, da Orgosolo a Marghera, da Battipaglia a Reggio…”.
Anche chi non conosceva già cos’era accaduto in quel tempo a Burgos (processo ai baschi e condanne a morte, poi sospese, nel 1970), a Stettino (le lotte degli operai polacchi contro il regime di Gomulka), a Orgosolo (lotte di contadini e pastori, a sfondo anche indipendentista, contro la militarizzazione della Sardegna)…etc … aveva modo di imparare, di informarsi.
Idem per la sua versione dell’Internazionale:
“Senza patria, senza legge e nome,
Da Battipaglia a Düsseldorf,
Siamo la tendenza generale,
Siamo la rivoluzion”.
Ovviamente mi ricordo ancora bene (avendo anche distribuito i volantini di protesta e aver partecipato alle manifestazioni) dei fatti di Avola (2 dicembre 1968, morte di Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona) e di Battipaglia (9 aprile1969, morte di Teresa Ricciardi e Carmine Citro).
Due eccidi rimasti indissolubilmente collegati nella memoria, sia “storica” che personale.
Al momento mi sfugge invece, dovrò controllare, cos’era caduto all’epoca a Düsseldorf.
Ma ecco che il nome della città tedesca riemerge prepotentemente, torna a far parlare di sé, stavolta per una grande manifestazione contro l’impiego di armi chimiche da parte della Turchia.
Alla manifestazione del 12 novembre 2022 hanno partecipato circa 25mila persone (non solo curdi). Con lo slogan “#YourSilenceKills” hanno richiesto alla comunità internazionale di porre termine a questi crimini di guerra contro la popolazione curda.
Indetta dalle Confederazione delle associazioni curde di Germania (KON-MED), ha visto convergere su Düsseldorf migliaia di persone provenienti sia da ogni parte della Germania, sia dai Paesi limitrofi.
Verso le 10 del mattino i manifestanti iniziavano a concentrarsi in due punti diversi della città e verso le 12 i due cortei avevano cominciato a sfilare pacificamente. Molti indossavano la “tuta bianca” per esprimere efficacemente a cosa si opponevano.
Molti inoltre inalberavano cartelli con le foto dei guerriglieri uccisi dalle armi chimiche.
Tra le scritte sugli striscioni spiccavano in particolare:
“L’attacco contro il Kurdistan è un attacco contro i nostri valori”, “Fermate il sostegno tedesco alla Turchia”, “Lo Stato turco assassina i Curdi con le armi chimiche – Il vostro silenzio uccide”.
Rivolgendosi alla folla presente la co-presidente di KON-MED, Zübeyde Zümrüt, non si è si è limitata a criticare, definendola “scandalosa”, l’indifferenza mostrata finora da Berlino (recentemente un portavoce governativo ha dichiarato di non vedere alcuna necessità di aprire un’inchiesta internazionale).
Ha infatti condannato quello che considera un vero e proprio coinvolgimento, una buona dose di corresponsabilità.
Affermando che “il governo tedesco sostiene politicamente, finanziariamente e militarmente il regime di Ankara”.
E quindi, dal punto di vista dei curdi “è in parte responsabile”.
Qualche riserva da parte mia soltanto su “in parte”.
Sulla questione è intervenuta l’Associazione dei medici contro la guerra nucleare (IPPNW) che recentemente (in settembre) aveva condotto un’inchiesta condotta (se pur tra mille difficoltà) nel Nord dell’Iraq, nei territori curdi sottoposti agli attacchi dell’esercito e dell’aviazione turchi.
Nel rapporto di IPPNW pubblicato in ottobre, gran parte delle accuse mosse dai curdi hanno trovato riscontro e comunque viene confermata la necessità di una immediata inchiesta internazionale.
Gianni Sartori
Gianni Sartori dice
COME NEL GENNAIO 2013, ALTRI TRE CURDI ASSASSINATI A PARIGI
Gianni Sartori
Tra pochi giorni cadeva il decimo anniversario dell’uccisione di tre femministe curde a Parigi.
Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Saylemez erano state assassinate nel gennaio 2013 in un’operazione in cui appariva scontato intravedere l’operato del MIT (i servizi segreti turchi). Ipotesi poi confermata dai continui rinvii del processo e dalla morte in carcere (alquanto opportuna per evitare ulteriori indagini) dell’attentatore (un turco infiltrato).
Il 23 dicembre 2022, la cosa si è ripetuta e altri tre militanti curdi (ma il bilancio potrebbe aggravarsi) sono caduti sotto i colpi esplosi da un francese già noto per due aggressioni di matrice razzista.
La sparatoria mortale è avvenuta in rue d’Enghien, in un quartiere di forte presenza curda, nei pressi di di un Centro culturale curdo dedicato alla memoria di Ahmet Kaya*.
Il responsabile dell’eccidio sarebbe un ferroviere (secondo un’altra versione un autista di autobus) in pensione di 69 anni, già conosciuto come responsabile di due tentati omicidi risalenti al 2016 (quando aveva accoltellato una persona in casa sua) e al 2021. In questo caso si trattava di un reato con implicazioni razziste avendo assalito un bivacco di migranti (nel 12° arrondissement di Parigi).
L’immediato raduno di cittadini curdi aveva generato una serie di proteste dato che in molti sospettano che anche in questo tragico evento vi sia la longa manus – e lo stile -dei servizi turchi.
La contestazione si è conclusa con scontri, tafferugli e incendi (oltre all’impiego massiccio di lacrimogeni) tra manifestanti e polizia. Per il 24 dicembre è stata indetta una grande manifestazione contro l’ennesima aggressione alla comunità curda.
Da più parti si è insistito nel sottolineare i “problemi psichici” dell’attentatore, parlando di “lupo solitario”. Ma per la comunità curda, chiunque abbia premuto il grilletto, è quasi scontato che anche queste uccisioni rientrino nella “guerra sporca” contro i curdi portata avanti ormai da anni da Ankara.
Gianni Sartori
nota 1: Morto a Parigi nel novembre 2000 a soli 43 anni, Ahmet Kaya è ricordato sia come artista dissidente che in quanto difensore della causa curda. Apostolo della “musica autentica”, nonostante la grande notorietà, volutamente si mantenne estraneo alla Società dello spettacolo, alla mercificazione della musica. Le sue canzoni, i suoi testi ricordano quelli di Victor Jara e di Joan Baez. Come loro si rivolgeva “non solo ai sentimenti, ma anche all’intelligenza delle persone”,