“Il nostro si chiama Orto Conviviale, un nome scelto perché secondo Ivan Illich la convivialità è l’unica risposta alla megamacchina infernale”. Quello di Miriam è un orto speciale: perché qui ci sono alberi che sono stati dimenticati, come il nespolo germanico e il corbezzolo, e perché chi se ne prende cura lo ha ha fatto mettendo su anche spazi e momenti dedicati ai libri per bambini, al cinema, al jazz e naturalmente alla relazione con l’ambiente naturale. Ma è speciale prima di tutto perché se la Terra in cui nasce è quella dei Fuochi, allora è uno spazio davvero liberato, ben oltre i disciplinari del biologico, un luogo dove nuove declinazioni del vivere diventano ogni giorno possibili
di Miriam Corongiu*
Il ritorno alla terra è davvero l’esperienza rigeneratrice di cui si legge nella poesia antica o sui più moderni giornali on line. In quante magnifiche direzioni lo sia, è comprensibile solo immergendovi le mani e se la Terra è quella dei Fuochi, un orto può diventare uno spazio liberato e un luogo dove nuove declinazioni del vivere diventano ogni giorno possibili.
Il nostro si chiama “Orto Conviviale”, un nome scelto perché – diceva Ivan Illich – la convivialità è l’unica risposta alla megamacchina infernale. Si riferiva a questo mondo dove l’economia viene prima della vita e dove la campagna è ancora per molti solo un non-luogo, un’area che in potenza è un centro commerciale, o peggio, una distesa sotto la quale nascondere rifiuti tossici. Per noi, al contrario, la campagna è stata la dimensione in cui ci siamo potentemente ritrovati dopo aver perso il lavoro e per tutti, ognuno con la propria chiave di lettura, doveva essere il luogo dove potersi riconoscere e ritrovare il ritmo naturale delle cose.
ARTICOLI CORRELATI
Descrivere la bellezza di questo cambiamento radicale, pur nella sua difficoltà fisica e materiale, è diventato nel tempo facile quanto respirare. Perdere i lunedì per trovare i colori di un’eterna domenica è il dono di una vita condotta finalmente con passione. Non lavoriamo certo meno, anzi. La campagna è dura e impegnativa come una bimba e non la si può lasciare mai, se non per qualche breve giorno di vacanza. Ma come dice Elia, il nostro unico bracciante rumeno (e regolare), “che importa, capo, le vacanze passano. Tu lasci tutto questo a tua figlia per sempre”. E perché sia davvero un’eredità di cui essere orgogliosi, abbiamo capovolto qualunque cosa a partire dalle tecniche colturali, rispettose oggi come un tempo della vita che esplode in ogni pugno di terreno, molto aldilà dei disciplinari del biologico che a tutti gli effetti sono l’ennesima intercettazione di una fascia insicura di “consumatori”. Anche il nostro frutteto, per profumare di futuro, è tornato al passato: da noi troverete gli alberi che sono stati dimenticati, il nespolo germanico come il corbezzolo, a ricordarvi che le radici spaccano l’asfalto di ogni mercato e che la vita vive. E basta.
Ma ciò che rende quest’Orto una vera barricata è l’aver amato disperatamente la sua geografia. E non è facile essere contadini nella Terra dei Fuochi. Se solo tutti ricordassero che il primo termine dell’espressione “Terra dei Fuochi” è “terra”, con tutto il portato di questa parola spettacolare, non saremmo arrivati alla devastazione che c’è. Noi siamo convinti che un contadino del terzo millennio abbia il dovere di difenderla anche fuori dai confini del proprio appezzamento, perché in un mondo in cui le opinioni sono più importanti della verità, bisogna che ogni vita sia identificata dal suo fare. Noi abbiamo scelto di rinascere non solo alla terra, ma anche al nostro territorio perché la giustizia è una prerogativa della natura, così come la generosità, e laddove il dramma delle genti campane viene negato per favorire il tornaconto di troppi, solo tornare ad amare con coraggio la terra, tra i tanti, ci salverà.
Una vera barricata, però, non si offre solo alla dura contestazione. C’è un al di qua di questa linea di difesa che è un laboratorio continuo di felicità, l’elaborazione di un modo di vivere che frena, che resiste alla solitudine del denaro e alla violenza della stupidità.
Abbiamo spalancato le porte a tutti, offrendo la possibilità di godere del nostro giardino anche nel tempo dedicato all’acquisto delle verdure. Abbiamo organizzato tanti momenti d’incontro durante la breve vita – pochi mesi appena – della nostra piccola azienda, portando nell’orto con l’aiuto di molti una libreria per bimbi, il cinema d’epoca, uno chef stellato, l’agricoltura sociale, il jazz, un fotoreporter eccezionale, la riflessione sul rapporto tra uomo e ambiente. Abbiamo invitato tutti a condividere il cibo cucinato in casa, il sole, il tempo, il lavoro nei campi…perfino le buste della spesa, da quelle quadrate delle pizzerie a quelle in plastica, da quelle regalo ai sacchetti biodegradabili, vengono portate qui e riutilizzate ad ogni acquisto. Qui funziona tutto come in una grande casa, compreso posti a tavola per chiunque si trovi a passare. Sono i momenti di festa che mandano avanti l’orto. Sono i momenti di festa che ripensano il vivere moderno.
La Terra (dei Fuochi) perciò è anche una grande fucina di pensiero, un luogo di coraggio in cui ogni esistenza non finisce mai invano e che, anche se resa più breve dalle scelte infernali dell’uomo, ha sempre le fattezze del seme, eterno germoglio. Per questo, nella Terra (dei Fuochi) come altrove, resistere è bello. Perché dove si interrompe il flusso del potere, rinasce la storia di ognuno di noi. E dove si coltivano le persone, prima ancora che l’orto, strappiamo ogni giorno un pezzetto di terra al deserto che c’è.
Lascia un commento