Ampi stralci di un articolo interessante pubblicato su tropicodellibro.it il 31 ottobre 2012.
Cercare di inquadrare le parole di uso comune in nuovi contesti è un importante esercizio analitico. (…) Che cos’è un editore? Secondo il dizionario (Treccani) consultato da Marta Traverso per la moderazione del panel Essere editore digitale al tempo del selfpublishing all’Ebookfest appena concluso è «chi fa stampare (o, prima dell’invenzione della stampa, chi faceva trascrivere) e pubblicare, del tutto o in parte [sic] a proprie spese, opere altrui, curandone la distribuzione e riservandosi, in genere, i diritti di esclusiva». Secondo Andrea Bongiorni (Wepub) invece l’editore è anzitutto «colui che opera una selezione di opere all’interno di un’offerta sempre più ampia». Definizioni, come sanno anche i professionisti sopra citati, molto ambigue a passibili di mille critiche.
Ma se l’editore è «colui che sceglie e pubblica», per riassumere quanto detto, allora oggi sono editori una molteplicità di attori, come durante il convegno ha detto Sergio Calderale. La questione è capire quali siano i motivi che li spingono a sopperire alla figura di editore, assumendosela su di sé.
Ecco quindi questi attori e le loro motivazioni: i traduttori, che non contenti della remunerazione e delle scelte editoriali imposte loro dagli editori tradizionali, e non arresi al fatto di non veder tradotti testi da loro ritenuti degni, magari da lingue non molto considerate, si mettono insieme per pubblicare libri fuori diritti o di cui li hanno acquistati (è questo il caso, in Italia, dei Dragomanni); le biblioteche, che non esattamente felici delle politiche commerciali degli editori e delle difficoltà legali e tecniche di avere titoli in digitale, si organizzano per disintermediare il rapporto con i lettori: che sia in associazione con distributori di libri autopubblicati (…), o con agenzie di servizi editoriali (il caso della Biblioteca Renato Fucini di Modena e Selfpublishing Lab), la tendenza è in atto; i lettori, che non trovano titoli anche importanti, ormai tolti dalla circolazione da editori ai quali non conviene più ripubblicarli, che si trovano tra le mani testi pieni di refusi, traduzioni scopiazzate, versioni digitali rozze, per necessità e orgoglio si fanno editori, per esempio scegliendo e co-finanziando titoli irreperibili (il caso di Unglue o anche il caso del sito di crowdfunding Kickstarter…); la scuola, che non contenta dell’offerta editoriale digitale per costi, qualità e quantità (…), si fa da sé le lezioni (…) e i libri di testo (….); i siti pirata che digitalizzano opere per liberarle dal Drm e poterne pienamente fruire e opere mai digitalizzate dagli editori che li pubblicano, in modo da farle circolare; gli algoritmi sofisticati come Booksai, che permettono con sempre maggior efficacia di costruire collane raggruppando per affinità di stile e molto altro sottoinsiemi di cataloghi sommersi; e infine, gli scrittori, che, a loro volta insoddisfatti del trattamento e della qualità editoriale e commerciale del lavoro di molti editori, oltre che ovviamente alla mancanza di interesse degli editori verso i loro scritti, fanno «da sé», caricando il testo su una o più piattaforme di autopubblicazione esisistenti e prossime future…
Va però specificato, per quanto riguarda quest’ultimo gruppo, che a meno che non intervenga un filtro selezionatore e una cura editoriale, non è corretto parlare di autopubblicazione, ma di «upload» (…). Come hanno anche evidenziato Luisa Capelli e Cecilia Averame durante il convegno, il problema da risolvere è innanzitutto quello dell’antitrust. Averame: «Come sopravveranno gli editori all’arrivo di un selfpublishing sempre più strutturato e in mano ai grandi player nazionali e internazionali? Sperimentazioni e progetti singoli non hanno speranza se non si affrontano prima e in maniera solidale le storture del sistema editorale». Capelli: «Cosa abbiamo fatto fin’ora per evitare che si creassero cartelli e oligopolii che esistono solo in Italia?». (…) Mondadori d’altronde ha messo il paletto già da un po’, più di un anno fa e oggi per l’ennesima volta, dicendo che era in gestazione la piattaforma di autopubblicazione di casa Segrate… Tanto tempo di preavviso a cosa è servito? A spaventare i piccoli, che si sono messi in attesa per paura di dover competere contro il colosso… (…)
A fronte di tutto questo, oltre a cercare di fare il possibile per mantenervi aggiornati su quanto accade, ci è venuta un’idea. Un esperimento che potrebbe rivelarsi utile come fallimentare, ma un modo per cercare di ritrovare quel valore sopradetto. Partiamo dalla constatazione che, a parte la mancanza di reale possibilità di concorrenza nel mercato editoriale italiano, c’è un grave problema, strettamente connesso a quello, di iper-produzione libraria. Tutti quegli attori insoddisfatti elencati prima mettono online centinaia di nuovi testi al giorno. Il lettore rischia di affogare, lo scrittore di non essere mai pescato… (…)
Il progetto si chiama il Sub Editore. L’idea è curiosare un po’ nelle piattaforme di autopubblicazione e vedere cosa ci troviamo dentro, se qualche perla in quel mare infestato di vanità e refusi si può trovare. Se ne troveremo una, o due, o tre, le tireremo fuori dalla conchiglia e le comunicheremo in modo adeguato infilandole via via a comporre una collana sub-editoriale. Sub-editoriale perché noi non ne diventeremo editori, lasciando invece i diritti di utilizzo tutti all’autore (e all’editore che li richiedesse). Ma allo stesso tempo dell’editore saremo un pungolo, che stimoli gli editori a offrire di più e di meglio in termini di servizi. E dall’altra parte, speriamo così d’innalzare la soglia di coscienza degli scrittori e le loro aspettative rispetto all’editore tradizionale. (…) Ci piacerebbe molto sapere cosa ne pensate.
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