Sopravviverà la democrazia italiana alle cinque crisi che la stanno pericolosamente avvolgendo? Mai, nella storia della Repubblica, si erano manifestate insieme, e via via sempre più intrecciate, una crisi istituzionale, una politica, una civile, una economica, una sociale.
Cogliamo ogni giorno i frutti amari e avvelenati di una cosiddetta Seconda Repubblica nata dall’improvvisazione e dall’imprevidenza, di un dissennato «bipolarismo feroce» (copyright del direttore di Avvenire), di una lotta politica degenerata in rissa continua, del degrado del linguaggio, della fine del rispetto dell’altro, di una regressione culturale senza fine.
La crisi civile e morale ci avvolge. Implacabili, i quotidiani bollettini di guerra ci indicano i protagonisti di una torbida stagione vissuta all’insegna della cancellazione d’ogni confine tra lecito e illecito, tra privato e pubblico. Ma gli arrestati, gli indagati, gli autori di furti legali non sono soltanto gli occasionali «testimonial» di vicende corruttive, le «pecore nere», le «mele marce». Si rivelano ogni giorno di più come l’avanguardia di schiere infinite, gli emuli a ogni livello di chi si è scritto leggi ad personam e ha coltivato conflitti d’interesse. (…) Il Parlamento, in un sussulto di dignità, avrebbe dovuto approvare subito una vera, seria legge sulla corruzione. E invece rimane prigioniero di ricatti, si sfianca nella ricerca di un nuovo compromesso.
La crisi della politica, allora. Palese nell’altro infinito inseguimento, quello a una legge elettorale ormai concepita soprattutto come un mezzo per neutralizzare un esito elettorale temuto, per regolare preventivamente conti all’interno del sistema dei partiti. Le elezioni come un intralcio, un problema, e non come il momento in cui la parola torna nella sua pienezza ai cittadini? (…)
Tutto questo avviene all’ombra non dissipata d’una crisi istituzionale. I tre soggetti che negli anni pericolosi del berlusconismo hanno impedito il collasso della legalità e, con essa, della democrazia – presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, magistratura – si trovano ora divisi, contrapposti. È il lascito di un’estate avvelenata, che ha visto il trasformarsi di una discussione legittima in una furia polemica che sembra inconsapevole del pericolo di una terra bruciata. (….) E non mi pare che sia stato apprezzato adeguatamente il fatto che Giorgio Napolitano abbia deciso di sottoporsi al giudizio di un organo terzo, la Corte costituzionale appunto. Una mossa democratica, che si è cercato di delegittimare delegittimando la stessa Corte, presentandola come un organo privato di autonomia proprio dall’iniziativa presidenziale, persino con argomenti di tipo berlusconiano, quali sono quelli che richiamano il fatto che alcuni dei giudici della Consulta sono stati nominati da lui. La verità è che, di fronte ai molti misteri della Repubblica, prorompe quasi sempre un bisogno di giustizia sostanziale, insofferente d’ogni regola. (…)
Questo contesto politico e istituzionale non è il più propizio per un governo adeguato della crisi economica e di quella sociale, che non può essere affidato, come sta accadendo, all’erosione dei diritti di cittadinanza, a partire da quelli fondamentali alla salute e all’istruzione, a una rinnovata riduzione del lavoro a merce. La sospensione di fondamentali garanzie, che toccano lo stesso diritto all’esistenza, non può essere giustificato con nessuna emergenza. Tutto questo determina tensioni sociali sempre più forti, alle quali si accompagna un passaggio dai rischi del populismo a quelli della demagogia. Qui è il pericolo per la democrazia e le sue istituzioni che, se vogliono riconquistare fiducia, devono rimettere in onore i diritti delle persone. Questione, a ben vedere, che riguarda pure le necessarie trasformazioni dell’Unione europea, irriducibili al solo rafforzamento del governo dell’economia. A chi conviene una democrazia senza popolo?
(Ampi stralci di un articolo pubblicato da la repubblica il 16 ottobre 2012)
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