Il settore dell’usato a Roma, per la sua parte ambulante, vive una situazione di grave disagio che ogni giorno ci viene segnalata dagli operatori del settore. Per riassumere la questione facciamo qualche esempio.
Occhio del Riciclone, in collaborazione con la Rete nazionale degli operatori dell’usato (Rete Onu), coordinamento regionale del Lazio, ha promosso in diversi municipi della capitale un progetto che consisteva in una piazza aperta all’esposizione e vendita di beni e oggetti usati rivolta a operatori dell’usato, denominato «Il mercato del riuso solidale». Gli obiettivi del progetto erano due: garantire continuità lavorativa e di reddito a soggetti a rischio di marginalità sociale ed economica, e riqualificare aree dismesse e in forte stato di degrado restituendole alla cittadinanza come luoghi di socialità e scambio culturale. Con questo progetto speravamo di riuscire a rispondere alle pressanti richieste da parte di una crescente fascia di operatori dell’usato che non riuscivano a trovare occasioni di reddito a causa della chiusura di diversi mercati che negli anni passati erano state realizzate a Roma.
Ci siamo trovati di fronte all’impossibilità, ad oggi, di realizzare il progetto a causa delle resistenze o diffidenze da parte dei municipi romani ai quali avevamo proposto l’iniziativa. Parte integrante del progetto era infatti il coinvolgimento dei municipi stessi e di altre istituzioni, non solo per la concessione dello spazio pubblico, ma anche perché si potessero creare nuove collaborazioni con altre associazioni dei territori interessati e costituire una rete di sostegno permanente di inclusione sociale attraverso il reimpiego nel settore dell’usato.
Le difficoltà vanno certamente ricercate nei vuoti normativi che dovrebbero regolamentare il settore dell’usato. Molto spesso chi propone la realizzazione di mercatini dell’usato si trova di fronte alle resistenze dei tecnici degli uffici municipali che, non avendo un quadro normativo chiaro che li rassicuri sulla legittimità della richiesta, spesso ne negano l’autorizzazione. Su Roma poi, la chiusura di molti mercatini rivolti agli operatori rom ha causato l’estrema mobilità degli operatori in cerca di spazi dove poter rivendere gli oggetti usati recuperati. Questa situazione ha creato il timore tra gli amministratori locali che il proprio municipio potesse essere fatto oggetto di un’eccessiva pressione. Dinamica che ha generato un corto circuito di fatto che inibisce l’apertura di nuovi mercati ed espone i pochi rimasti, autorizzati o solo tollerati, a continui rischi di sovrappopolamento.
Il caso di Porta Portese è esemplare. Nel più grande mercato storico dell’usato d’Italia (al quale è dedicato questo filmato) convergono tutte le contraddizioni dei mercati dell’usato romani. Spiega Antonio Conti, vice presidente dell’associazione Operatori di Porta Portese e portavoce della Rete Onu: «In questo momento stiamo risentendo molto della mancata regolarizzazione di un gran numero di operatori svantaggiati, che privati dei loro mercati spontanei hanno iniziato ad assediare Porta Portese verso l’orario di chiusura con l’obiettivo di sbarcare il lunario. Quando le istituzioni negano le opportunitá, purtroppo diventano normali i fenomeni piú selvaggi e il grosso rischio é che si produca una guerra tra poveri».
È paradossale che gli oltre mille operatori di Porta Portese, una delle realtá di riutilizzo piú importanti d’Italia: si stima che in una domenica di mercato circa un centinaio di tonnellate di beni viene avviata al riuso invece di finire in discarica, cinquemila tonnellate ogni anno. Anziché essere premiati, incentivati e sostenuti, devono difendere con forza il loro diritto a esistere.
Situazione analoga per altre esperienze come quella del Mercato di Largo Sacconi vicino alla metro Battistini, a Primavalle. Da tredici anni, con alterne vicende, quel mercato ha dato sostentamento e opportunità di reddito a più di sessanta persone. Oggi quel mercatino non esiste più: restano però ancora i suoi operatori e l’associazione che li raccoglie. Così come resiste il bisogno che ha costituito motivo di apertura e vita di quel mercato. Da mesi gli aderenti all’associazione Edera protestano invano sotto le finistre del Municipio XIX per chiedere la riapertura del mercato.
Ancor più critica è la situazione degli operatori di origine rom dell’usato che non trovano in città alcuno spazio autorizzato dove poter esercitare la propria attività. «Un decennio di pratiche legali legate a mercatini del riutilizzo e raccolta di materiali ferrosi e rifiuti ingombranti rischia di finire definitivamente nel dimenticatoio – dice Aleramo Virgili della Rete di sostegno ai mercatini rom e portavoce laziale della Rete Onu – sopratutto in vista delle imminenti competizioni elettorali».
Eppure in molti ormai hanno preso coscienza dell’indispensabile ruolo che i rom hanno assunto nel campo del riutilizzo. Il 7 maggio del 2011 il Corriere del Mezzogiorno riportava le dichiarazioni degli oncologi Antonio Marfella e Giuseppe Comella che, all’interno di una relazione preparata per l’Associazione medici per l’ambiente, non esitavano ad affermare che «i rom sono gli unici ad aver compreso la ricchezza diffusa che potrebbe provenire dall’Oro di Napoli, i rifiuti urbani, poiché sono in grado di recuperare fino al 90 per cento dei mucchi di spazzatura che si trovano a rovistare ai lati delle strade».
Come Coordinamento regionale del Lazio della Rete Onu abbiamo promosso a fine marzo, in occasione della tre giorni di difesa della Città dell’altra economia, la proposta di apertura di un’area cittadina di libero scambio, come è stato fatto a Torino, per dar respiro al settore in attesa di una regolamentazione nazionale del settore sulla quale stiamo lavorando. Insomma, c’è bisogno di un contesto sociale e di una normativa che permettano al riutilizzo e ai suoi operatori di esprimere tutte le loro potenzialità economiche, sociali e ambientali. E non rimanere, invece, solo una buona pratica da enunciare.
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