Nel 2018 il commentatore Marc Lamont Hill, docente di educazione urbana a New York City, è stato rimosso dal suo incarico alla CNN con l’accusa di antisemitismo per aver chiesto la libertà dei palestinesi “dal fiume al mare”. Lo ricorda Yousef Munayyer, su Jewish Currents, “una rivista impegnata dal 1946 nella ricca tradizione di pensiero, attivismo e cultura della sinistra ebraica”. In quell’articolo, del giugno 2021 (leggetelo, vale la pena, lo trovate anche tradotto in italiano qui dal sempre prezioso Invicta Palestina), Munayyer racconta di aver chiamato “dal fiume al mare” anche la sua rubrica in uno spazio editoriale parte di un progetto intitolato nientemeno che “Open Zion”. Poi Munayyer passa a spiegare in modo illuminante perché quello slogan, accompagnato da “Palestina will be free”, non è affatto antisemita, tantomeno – naturalmente – invita al genocidio degli israeliani, ma non è nemmeno, a nostro modesto avviso, uno slogan “estremista”. Si limita ad affermare, infatti, al di là delle intenzioni di qualche malintenzionato – ma quelli ci possono esserci ovunque, anche in chi grida solo “adesso, basta!” -, il diritto alla libertà per la Palestina, e dunque per i Palestinesi, indipendentemente dal fatto che vivano a Gaza, a Ramallah, Nazareth, Gerusalemme o nella diaspora. Di questo si tratta, rimanendo alle parole, cioè in questo caso ai fatti, dell’affermazione di un diritto alla libertà ovunque ci si trovi e ovunque sia negata. Dunque, anche in Israele, dove la popolazione è costituita per più di un quinto da palestinesi. Se poi qualcuno vuole interpretare quello slogan come un’esortazione allo sterminio degli Ebrei, affari suoi, ma lo spieghi con altre prove e altri argomenti. È esattamente quel che fa, sul versante opposto, qui sotto Pasquale Liguori. Non si tratta solo di far vedere delle mappe, né di libere interpretazioni, ma di affermazioni precise e non certo occasionali non di qualche colono esagitato ma del capo di governo israeliano e dei suoi ministri. Peraltro, putroppo, non si tratta certo solamente di affermazioni sullo sterminio del nemico ma di tonnellate e tonnellate di bombe, per le quali di fiumi e mari si può parlare solo in relazione ai corpi sotto le macerie. Le accuse di antisemitismo gratuite, scrive Pasquale, fanno perdere efficacia e credibilità a quelle che pure sarebbero opportune e, comunque, nella stragrande maggioranza dei casi, non attribuibili a palestinesi
Sono deprecabili gli attacchi a quel “from the River to the Sea, Palestine will be free” intonato nei cortei in corso da un mese in piazze e strade di tutto il mondo. Non si tratta soltanto di essere strumentali a ingiuste accuse di antisemitismo subito scattate all’indirizzo di chi urlando tale slogan avrebbe istigato alla distruzione di Israele. Di fatto, escludendo che quella libertà potesse magari sottendere un’evoluzione storica e politica inclusiva di persone ed eventuali fedi, sembra utile ricordare a coloro che stigmatizzano quello slogan anche solo un paio di recentissimi accadimenti, senza nemmeno scomodare centinaia, migliaia di altri esempi storici. Si tratta di fatti che toccano il merito geografico e territoriale delle questioni e testimoniano quanto spericolato, oltre che improprio per l’esatta vulgata e il concetto stesso della parola antisemitismo, sia lo scandalizzarsi pretestuoso, additando come esecrabili quelle voci in corteo.
Bezalel Smotrich, omofobo e fascista (come ama definirsi), colono razzista, leader estremista di Tkuma/Sionismo religioso, sponsor di un esteso piano di violenta aggressione ed espansione coloniale nei Territori Occupati, attuale ministro delle finanze nonché ministro aggiunto della difesa con funzioni di gestione del comando amministrativo/militare in Cisgiordania, non più tardi del marzo scorso ha tenuto a Parigi un discorso storico per la sua clamorosa spregevolezza. In quell’occasione, ha bellamente discettato della non esistenza dei Palestinesi, quindi delle loro terre, della loro storia, della loro cultura, delle loro tradizioni. La Palestina? Il nulla secondo questo losco figuro, politico votato da elettori israeliani. Smotrich ha declamato tali amenità concettuali parlando da un podio raffigurante la mappa di un Israele più grande, esteso fino ad annettere l’intero territorio di Giordania, porzioni di Siria e altro ancora. Una mappa evidentemente sovrapponibile a quella del simbolo dell’Irgun, sanguinaria organizzazione paramilitare e terrorista israeliana artefice di massacri di palestinesi e attentati vari. In quella formazione militava Menachem Begin, divenuto anni dopo primo ministro, fondatore del partito Herut che anche Albert Einstein, in una celebre lettera al New York Times, non esitò a definire formazione nazifascista.
Lettera di Albert Einstein al New York Times (estratto)
In aggiunta al machismo del ministro suprematista, il premier Beniamin Netanyahu ha fatto anche di peggio in tal senso e in epoca ancor più recente. Ebbene, seppur meno pretenziosa per estensione rispetto a quella facente da cornice all’orazione parigina di Smotrich, la mappa brandita dal primo ministro israeliano in occasione di un’Assemblea generale all’Onu tenutasi solo quindici giorni prima del recinto sfondato da Hamas il 7 ottobre, raffigurava un Israele inclusivo di Territori non più Occupati ma definitivamente annessi, ivi compresa Gaza. Per il ruolo ricoperto da Netanyahu e per luogo dell’evento, siamo al cospetto di un qualcosa di gran lunga più esplosivo dello slogan del corteo filopalestinese. Siamo cioè di fronte a qualcosa che si situa ben oltre la provocazione: siamo all’istigazione all’odio, alla cancellazione definitiva di ogni velleità palestinese.
Netanyahu parla all’Assemblea generale Onu
Ecco, non ho memoria di nessuno tra coloro che si sono sentiti lesi od offesi dal “from river to the sea…” cioè intellettuali, ideologi e politologi maturi e quelli ancora imberbi a caccia di un minimo di identità e visibilità unitamente alle nutrite truppe di soggetti pervicacemente o occasionalmente mossi da tangibile odio e malafede oltre agli onnipresenti livorosi idioti da tastiera (adesso esperti di Medio Oriente, esauritasi l’esperienza da virologi e ucrainologi), nessuno di questi, dicevo, che abbia alzato il dito o espresso financo un esile protesta di fronte a ostentazioni così volgari, incendiarie, naziste promosse dagli esponenti apicali dell’esecutivo di Tel Aviv.
Non si dica che a quest’assenza di dissenso intellettuale abbiano in qualche modo supplito le voci provenienti dalle cosiddette democratiche manifestazioni dei venerdì di Tel Aviv contro l’approvazione della nuova riforma giudiziaria! Parliamoci chiaro: occasioni finalizzate alla tutela di uno status politico, socio-economico e giuridico di una parte di israeliani assolutamente disinteressati alla situazione catastrofica dei Territori Occupati. Mai si è parlato di Palestina in esse, nei pur lunghi mesi della protesta.
Prima di stigmatizzare come criminale e antisemita il desiderio di libertà tra fiume e mare, bisognerebbe proporsi un profondo esame di coscienza su come sia stata trattata la terra tra essi compresa. Su come siano stati umiliati i diritti di proprietà, civili, politici, tradizioni e sentimenti dei palestinesi nei Territori oggetto della più lunga occupazione militare della storia.
Le accuse di antisemitismo gratuite fanno perdere efficacia e credibilità a quelle che pure sarebbero opportune e, comunque, nella stragrande maggioranza dei casi, non attribuibili a palestinesi.
Il superamento di odio, vendette, massacri non può eludere la comprensione di quel che si è seminato fino al 6 ottobre 2023.
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