Nel 2021 si è svolto a Roma, guidato dall’allora presidente del consiglio Mario Draghi, il sedicesimo incontro del Gruppo dei Venti (G20), il principale forum di cooperazione economica e finanziaria a livello globale che riunisce le principali potenze economiche del mondo. Composto da 19 delle più grandi economie più l’Unione Europea, questo gruppo ogni anno si incontra per discutere e decidere sui destini economici del pianeta. In vista di questo summit in Italia, diverse associazioni, ONG e intellettuali hanno promosso la rete Last 20 per dare voce invece agli ultimi della Terra, quei venti Paesi più impoveriti che non hanno udienza nei tavoli in cui si decidono le sorti dell’economia mondiale e di cui spesso sono vittime.
Nel 2021, Last20 ha ribaltato la propaganda del G20 denunciando la condizione dei paesi che sono ai posti più bassi delle classifiche redatte annualmente dalle Agenzie internazionali; ultimi posti per quel che riguarda il reddito, la povertà, l’aspettativa di vita, le condizioni di salute, di istruzione, di libertà e diritti. Last20 si propone perciò di cambiare il punto di vista e guardare il mondo con gli occhi degli “ultimi” ma anche di prendere come riferimento gli indicatori della qualità della vita diversi dal PIL che permettono di cogliere, analizzando i punti più sensibili del pianeta, i mutamenti che stiamo attraversando, andando così alla radice dei problemi e delle contraddizioni del nostro tempo.
Per questo Last20 vuole, ad esempio, riportare il focus su immigrazione, accoglienza e intercultura, il climate change e i suoi effetti (in particolare nell’Africa sub-sahariana), la questione sanitaria in Paesi con una bassa aspettativa media di vita, la fame e l’impoverimento ma anche la risposta dei soggetti sociali che resistono e si organizzano, come contadini, studenti, donne, artigiani. A luglio 2021 si è svolto il primo incontro a Reggio Calabria, promosso dal Comune e Città metropolitana di Reggio Calabria, Federazione delle diaspore africane in Italia, Fondazione Terres des Hommes (Italia), ITRIA (Itinerari turisticoreligiosi interculturali accessibili), Mediterranean Hope, Re.Co.Sol. (Rete Comunità solidali), Rete azione TerraE, Fondazione Casa della Carità (Milano), Parco Ludico Tecnologico Ecolandia e successivamente fino ad ottobre 2021 altri quattro incontri a Roma, L’Aquila, Milano e Santa Maria di Leuca al termine dei quali il Movimento si è costituito in associazione. Nel corso del 2022 l’Associazione Last20 APS, ha realizzato un rapporto in cui sono descritte le condizioni dei Paesi L20 che è stato presentato il 21 febbraio scorso alla stampa estera e italiana e il 15-16 novembre 2022 a Bali in Indonesia, nel periodo in cui si è tenuto il G20, all’interno della “66°Conferenza internazionale Bandung-Belgrade-Havana” (dove è stata organizzata una sessione dedicata al tema della decolonizzazione e dei venti paesi più poveri, proprio su ispirazione del Movimento Last20 nato a Reggio Calabria nel 2021.) Il rapporto evidenzia che la diseguaglianza economica tra i L20 e i G20 negli ultimi quindici anni è cresciuta in maniera esponenziale: nel 2004 il reddito pro-capite (a parità di potere d’acquisto) era di 30.300 $ nei G20, di 1.100 $ nei L20; nel 2019 nei L20 passa a 1.500 $ pro-capite mentre nei G20 arriva a 52.600$ pro-capite. Una distanza che è cresciuta non solo in termini assoluti, ma anche percentuali: nei L20 il reddito pro-capite è cresciuto del 36,2%, mentre nei G20 del 73,5% e la maggioranza dei L20 si trova nell’Africa subsahariana. Questo vastissimo territorio, più grande di Stati Uniti-India-Cina messi insieme, è da sempre territorio di conquista e sfruttamento, dove ora fioriscono nuove forme di dominio della finanza e delle imprese multinazionali senza contare il ruolo nefasto che ha avuto il Fondo mondiale internazionale (Fmi) nel tempo.
FMI Qualche anno fa, grazie anche alle lotte del movimento altermondialista, in tanti sapevano cos’era il Fondo Monetario Internazionale (in sigla FMI; International Monetary Fund, IMF), oggi un po’ meno. Il FMI è un’organizzazione internazionale pubblica a carattere universale composta dai governi nazionali di 190 Paesi e insieme alla Banca Mondiale fa parte delle organizzazioni internazionali dette di Bretton Woods, dal nome della località in cui si tenne la conferenza che ne sancì la creazione. Formalmente istituito il 27 dicembre 1945, quando i primi 44 stati firmarono l’accordo istitutivo e l’organizzazione, nacque nel maggio del 1946 e attualmente gli Stati membri sono 190. Il FMI vigila sulla stabilità monetaria per “promuovere la coerenza tra le politiche economiche dei paesi e la stabilità del sistema monetario e finanziario internazionale”. Il sistema di voto è però proporzionato all’importanza del paese e favorisce i paesi “occidentali” e più ricchi: la Germania, ad esempio, ha una percentuale di voto del 5,82%, l’Italia ha il 3,36%, ma il Burundi è allo 0,06. Gli Stati Uniti hanno una quota del 17,69% del totale e sono ovviamente i più potenti. Il sistema è evidentemente iniquo e gli Stati Uniti e i paesi occidentali sono di fatto quelli che decidono. Il Fondo monetario concede prestiti ai paesi che lo richiedono ma vincolati a delle condizioni e “riforme strutturali”: tagli sul deficit di bilancio, privatizzazioni in larga scala, abolizione di qualsiasi forma di controllo sui prezzi. Questi interventi e i “piani di aggiustamento strutturale”, mirano ad aprire le economie al mercato globale e per questo causano un aumento ulteriore del debito: per ridurre la spesa pubblica vengono eliminati alcuni servizi gratuiti essenziali (ad esempio sanità e istruzione) oppure vengono privatizzati altri servizi come trasporti e telecomunicazioni. In definitiva: politiche di austerità, con una forte riduzione delle spese e delle garanzie sociali, aumento delle privatizzazioni e dei licenziamenti.
Ed è proprio nell’Africa subsahariana che si gioca lo scontro tra le superpotenze e i vecchi Paesi colonizzatori (in primis la Francia), tra le multinazionali e i governi di Russia, Cina e Stati Uniti. Attualmente si registrano circa 60 conflitti in varie parti del mondo e il numero continua ad aumentare. Il primo grande problema di questi Paesi è l’eterna lotta tra le diverse comunità, accentuata dalla colonizzazione che ha tracciato confini nazionali tra i diversi Paesi (non solo in Africa) senza tener conto delle diverse storie, dei vincoli ambientali, delle tradizioni socio-economiche (come la transumanza).
Il caso del Botswana «Quello che al momento dell’indipendenza nel 1966 era uno degli Stati più poveri al mondo, con un Pil pro capite di 90 $ l’anno, con soli 22 laureati e il 2% della popolazione che aveva completato la scuola primaria, oggi, questo Paese di povertà estrema, è considerato la “Svizzera dell’Africa”, con un Pil pro capite 4 volte superiore alla media africana, col 90% dei bambini scolarizzati, con le migliori strade del Continente e quasi il 70% della popolazione collegata a Internet. Ma il Botswana è anche la più antica democrazia dell’Africa, con governi eletti democraticamente che si alternano alla guida del Paese in un clima disteso da fare invidia a un Paese europeo. Come è stato possibile tutto questo? La risposta immediata è: diamanti. Il Botswana è il secondo più grande produttore al mondo di diamanti dopo la Russia, con una esportazione che rappresenta il 70% del totale e il 25% del Pil. Ma si tratta di una risposta superficiale. La Repubblica Democratica del Congo è il Paese con più risorse minerarie al mondo, con una straordinaria biodiversità, con foreste da far invidia all’Amazzonia, ed è anche il Paese con milioni di morti ammazzati in guerre interetniche, una instabilità politica perenne e una miseria che coinvolge la stragrande maggioranza della popolazione. Nel Botswana è presente una etnia con una forte prevalenza, gli Tswana, che rappresentano il 79% della popolazione seguita dai Kalanga che rappresentano solo l’11%. D’altra parte, se ci è consentito un volo pindarico, il più antico impero esistente, quello cinese, ha attraversato secoli e millenni grazie alla netta prevalenza della etnia Han…». (tratto dal Rapporto Last 20 / 2022)
È evidente perciò che la via della pace e del benessere per le popolazioni dei L20 passa prioritariamente attraverso la soluzione dei conflitti interetnici e attraverso la costituzione di meso-regioni capaci di unire sul piano economico e culturale più Paesi che erano stati divisi dai colonizzatori che spesso hanno governato attraverso il noto principio del divide et impera.
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