Da quando Mohamed Ben Said, giovane tunisino sposato con una donna italiana, venne lasciato morire nel centro di detenzione a Ponte Galeria, malgrado per giorni avesse gridato per ricevere delle cure e per quella sua condizione maritale a cui non si volle credere, sono trascorsi 22 anni. Era la notte di Natale che precedeva il nuovo millennio. Abdel Latif, tunisino e giovane, muore oggi – sebbene trasportato in ospedale – molto probabilmente della stessa patologia: una mostruosità giuridica a cui le istituzioni, i governi, i partiti e l’opinione pubblica italiana sembrano essersi abituati. Una sorta di “normalità” tragica e beffarda cui – in un Paese fatto precipitare nel caos, insieme al mondo intero, da un minuscolo microrganismo – tutti sembrano aspirare
Aveva solo 26 anni, Abdel Latif. Majdi Kerbai, deputato tunisino e attivista, ha comunicato a chi anima con tenacia la campagna LasciateCI Entrare che è morto il 2 dicembre in ospedale dopo aver avuto un malore il 28 novembre nel Centro di permanenza per il rimpatrio di Ponte Galeria, a Roma. Kerbai aggiunge: “Ho solo le urla della madre al telefono“.
Abdel era arrivato a settembre ed era stato messo in quarantena su nave GNV, come ormai di prassi in Italia per chi proviene dalla Tunisia. Non gli era stato permesso di richiedere protezione internazionale ed era stato inviato “in via direttissima” al Cpr di Ponte Galeria.
“Chi sono in funzionari che non hanno accettato la sua domanda di protezione internazionale? Perché si continua a non dare accoglienza? A non voler ascoltare le voci di chi è ingiustamente recluso nei CPR, a non voler vedere quello che accade nei CPR, a quanto viene denunciato dal Garante, dalle associazioni, dagli attivisti?“.
Le domande che si pongono a LasciatECI Entrare non esprimono solo indignazione ma affermano una verità che tutti conoscono da molti, troppi anni: “Abdel Latif era solo un numero dentro le carte degli accordi tra Italia e Tunisia e dentro i cassetti ammuffiti e maleodoranti dell’Unione Europea. Abdel aveva solo 26 anni. Ha trovato solo detenzione in un Paese che ormai non lascia speranza a nessuno. Un Paese che continua ad uccidere perché, se non si muore di frontiera e di naufragi in mare, si muore di CPR. Tutto questo non è solo inaccettabile, è l’orrore ormai normalizzato contro cui continuiamo a combattere. Chiediamo verità e giustizia e la chiusura di tutti i CPR».
Il mostro giuridico di Ponte Galeria è noto per avere un ufficio immigrazione della questura interno che può dare direttamente un giudizio di irricevibilità e inammissibilità sulla protezione richiesta. Non c’è possibilità di appello, sebbene formalmente sia previsto. È l’esito della prima domanda a decidere il destino di persone come Abdel. Rappresenta l’istituzione totale di un sistema di controllo che priva della libertà personale non perché si è commesso un reato, ma per quello che, secondo quel potere di controllo, si ritiene che una persona sia. Le condizioni tutt’altro che “umane” di sopravvivenza del Cpr alle porte chiuse di Roma vengono denunciate da decenni. Da oggi hanno una giovane vita in più di cui probabilmente non saranno mai chiamate a rispondere.
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