Nel tempo della pandemia liberista l’enciclica Fratelli tutti ha accolto molte attenzioni, diversi consensi (leggi anche Francesco alla resa dei conti, di Guido Viale) e alcune critiche da economisti e dalle destre. Sull’enciclica pubblichiamo una dettagliata e articolata news analysis di Paolo Cacciari, secondo il quale la scelta di non nominare mai il capitalismo è un problema e non una questione nominalistica. Il dominio del mercato sembrerebbe avere bisogno soltanto di etica e molto stato. Eppure ìn altri precedenti scritti e discorsi Bergoglio era stato più esplicito e coraggioso
“Fratelli tutti” è una citazione delle Ammonizioni di Francesco d’Assisi. Le regole di vita che dovevano seguire i suoi monaci e non solo. Come il Cantico delle creature ha ispirato papa Bergoglio nella Laudato si’ nel definire quali dovrebbero essere i rapporti tra gli esseri umani e la natura, così il Poverello d’Assisi nella nuova “enciclica sociale” Fratelli tutti torna ad indicare il cammino della Chiesa nel mondo secondo la visione di papa Francesco. Ma, se la prima enciclica ha imposto all’attenzione del mondo i nuovi paradigmi dell’ecologia politica (leggi Il Cantico che non c’era), la seconda – a mio modestissimo avviso, da osservatore agnostico – non mi pare avere la forza di rovesciare i fondamenti dell’economia (che è) politica vigente e dominante. Contrariamente allo sbarramento di fila alzato dalle destre interne ed esterne alla Chiesa e alle aspettative della sinistra alla ricerca di sentieri post-capitalisti, non mi pare proprio che Francesco possa essere definito un “papa comunista”, peggio: seguace di “Marx, Lenin e Mao”, secondo il filosofo Marcello Veneziani sulle pagine de “La Verità”. Dico ciò senza sminuire gli allarmi e gli appelli lanciati dal papa Francesco per fermare la dinamica autodistruttiva imboccata dall’umanità per colpa dei potenti della Terra.
Nella Fratelli tutti vi sono due importanti sistemazioni teoriche, alcune conferme e altre perplessità da iscrivere nella categoria delle mie personali aspettative deluse. Incomincio dalle novità.
Il no alla guerra e all’ergastolo (“morte nascosta”[paragrafo 268]) – oltre alla pena di morte – si richiamano al principio etico assoluto, non negoziabile della nonviolenza. Ne sono conferma le riconoscenti citazioni di Martin Luther King, Desmond Tutu e Mahatma Gandhi. All’appello manca ancora solo Lev Tolstoj, a cui evidentemente non è stato ancora perdonato il suo pungente anticlericalismo. L’enciclica va esplicitamente oltre i dettati del Catechismo e i tradizionali atteggiamenti della Chiesa che è stata spesso benevola nei riguardi delle “guerre apparentemente umanitarie, difensive o preventive”[258]. Comportamenti non più ammissibili per Bergoglio, perché: “Oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile ‘guerra giusta’. Mai più la guerra!” [258]. Bergoglio quindi pensa che sia avvenuta una cesura epocale che deve portare al riconoscimento della inviolabilità di ogni persona: “Ogni essere umano possiede una dignità inalienabile” [213]. Che è la filosofia dell’intera enciclica.
La seconda, definitiva e perentoria presa di posizione di papa Bergoglio riguarda l’emigrazione: “Il diritto a non emigrare” e, contemporaneamente, “Il diritto di ogni essere umano a trovare un luogo dove poter realizzarsi” [129]. La novità sta nell’argomentazione (una conseguenza diretta di ciò che già veniva scritto nella Laudato si’): se in natura tutto è connesso e interdipendente allora nella “casa comune” deve valere il “principio dell’uso comune dei beni creati per tutti” e il conseguente “principio della destinazione universale dei beni creati” [120]. Parole che hanno fatto scalpore nella destra conservatrice perché vengono messe in discussione la sovranità nazionale e la stessa proprietà privata. Da qui le invettive sui giornali, e non solo, contro il “papa comunista”. In realtà l’“enciclica sociale” di papa Francesco (una summa dei suoi scritti) non aggiunge molto – a mio parere – alla consolidata Dottrina sociale della Chiesa. Già Pio XI, all’indomani della crisi del ‘29 criticava duramente l’imperialismo finanziario internazionale e poi Paolo VI (Populorum Progressio), Wojtyła e Ratzinger scrivevano che il diritto alla proprietà privata non è né assoluto né intoccabile. Vero è che Bergoglio rafforza le critiche al “modello economico fondato sul profitto” [22] facendo leva sugli evidenti fallimenti e le crisi drammatiche che tale modello sta provocando. “Qualcuno pretendeva di farci credere che bastava la libertà di mercato perché tutto si potesse considerare sicuro” [33]. Invece: “l’impero del denaro” [116] ha acuito le povertà, le disuguaglianze, la mancanza di lavoro, della terra e della casa e comporta “la negazione dei diritti sociali e lavorativi” [116]. Quindi, “Il diritto di alcuni alla libertà di impresa o di mercato non può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri” [122]. Attenzione anche alle rappresentazioni false e di comodo della realtà. Ad esempio, spiega Bergoglio: “Quando si dice che il mondo moderno ha ridotto la povertà, lo si fa misurandola con criteri di altre epoche non paragonabili con la realtà attuale (…) La povertà si analizza e si intende sempre nel contesto delle possibilità reali di un momento storico”. Come dire: misurare la povertà sulla base della disponibilità di qualche centesimo di dollaro in più o in meno al giorno significa non tenere conto delle condizioni reali in cui si trova l’umanità negli inferni delle periferie delle megalopoli del terzo mondo o nelle campagne desertificate dai cambiamenti climatici.
Ciò detto, vengo alle delusioni.
Se la critica alle “visioni economiciste” [168], alle “regole e ai sistemi esistenti” [7] e agli “strumenti di dominio” [14] emerge chiara e potente dalle parole del papa, manca invece la individuazione e la denominazione delle “cause strutturali” [116] che sono all’origine delle ricorrenti crisi sociali ed ecologiche.
Non mi pare che in tutte le novantaquattro pagine della Fratelli tutti venga mai nominato il capitalismo, ovvero quella particolare formazione sociale oggi predominante che basa il suo funzionamento (competizione, ad ogni livello, per la crescita del valore monetario delle merci prodotte e vendute) sulle disparità di classe, oltre che di luogo, di “razza” e di genere, e che è giunto a condizionare totalmente i rapporti tra le persone e plasmare le stesse relazioni umane. Non è una questione nominalistica. In altri precedenti scritti e discorsi Bergoglio era stato più esplicito e chiaro. Ad esempio nell’audizione del 4 febbraio del 2017 con il movimento dell’Economia di Comunione che si ispira all’imprenditrice Chiara Lubich ebbe a dire: “Quando il capitalismo fa della ricerca del massimo profitto l’unico suo scopo, rischia di diventare una struttura idolatrica, una forma di culto”. E ancora: “Il capitalismo continua a produrre scarti”, cioè, ad impoverire, emarginare, precarizzare. Insomma la “cultura dello scarto”, dell’emarginazione e dell’esclusione sembrava venire associata a quella del sistema socio-economico di stampo capitalista. Ancora più esplicito è stato Bergoglio nell’audizione con i partecipanti al Congresso internazionale dell’associazione dei giuristi di diritto penale: “Una delle frequenti omissioni del diritto penale (…) è la scarsa o nulla attenzione che ricevono i delitti dei più potenti, in particolare la macro-delinquenza delle corporazioni. Non esagero con queste parole. (…) Il capitale finanziario globale è all’origine di gravi delitti non solo contro la proprietà ma anche contro le persone e l’ambiente. Si tratta di criminalità organizzata responsabile, tra l’altro, del sovra-indebitamento degli Stati e del saccheggio delle risorse naturali del nostro pianeta” (15 novembre 2019).
In molti ci aspettavamo di sentire dalla nuova enciclica una risposta alla domanda – forse banale ma ineludibile – se un sistema economico di mercato votato alla ricerca della crescita del profitto possa mai diventare socialmente ed ecologicamente sostenibile.
La parabola del Buon sammaritano – presa da Bergoglio come metafora universale dei rapporti umani e sociali – non ci rivela chi sono i briganti di strada che rapinano il viandante. Sono solo una banda di fuorilegge senza scrupoli morali, accecati dall’avidità alla ricerca di un facile arricchimento, o non sono invece i “potenti” [154] ai vertici degli interessi economici che controllano l’intera società e tengono in ostaggio la politica? Sono alcuni individui che hanno perduto i valori morali, l’amore per l’altro, la “comunione universale” e il “desiderio di farsi carico degli altri” [87], o non sono invece persone ben organizzate e protette dal sistema giuridico-istituzionale che si sono costruiti attorno per tutelare i loro affari? Devianti o non invece la parte dominante di un sistema economico strutturalmente fondato sul prelievo violento delle risorse naturali, sullo sfruttamento e l’espropriazione del lavoro altrui?
A me pare che Bergoglio manchi nel dare risposte a questi quesiti, mantenendo una equivoca ambivalenza che finisce per indebolire l’efficacia del suo stesso messaggio di animazione evangelica, di fratellanza, amore e pace sociale. Da una parte l’enciclica pone sotto accusa le teorie economiche liberiste del trickle-down effect (“sgocciolamento” della ricchezza dai ceti abbienti ai poveri), le “visioni liberali individualistiche” [163] e il fatto che “il diritto di alcuni alla libertà di impresa e di mercato non può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri” [122], dall’altra ipotizza la possibilità di emendare il sistema dagli eccessi iniettando forti dosi etiche nei comportamenti umani degli operatori economici. Insomma sembrerebbe che bastasse avere al vertice delle imprese come presidenti, amministratori delegati e manager dei buoni cristiani per far andare l’economia nell’interesse del bene comune. In attesa che ciò si realizzi, papa Bergoglio auspica un recupero dell’autorità e della capacità di intervento delle istituzioni pubbliche. Per ciò è necessario rigenerare la democrazia, ora atrofizzata [169], attraverso una politica intesa come “forma preziosa della carità” (Pio XI, 1927).
L’idea di fondo di papa Bergoglio è che “il mercato da solo non risolve tutto” [168] (grassetto mio) e che lo si debba aiutare attraverso una molto più forte e “nuova regolamentazione” [170] statale a tutti i livelli. Serve “una autorità mondiale regolata dal diritto” che tenga a freno l’avidità dei ricchi e dei potenti [172]. Bergoglio giunge a citare il filosofo Paul Ricoeur: “Non c’è di fatto vita privata se non è protetta da un ordine pubblico; un caldo focolare domestico non ha intimità se non sta sotto la tutela della legalità, di uno stato di tranquillità fondato sulla legge e sulla forza e con la condizione di un minimo di benessere assicurato dalla divisione del lavoro, dagli scambi commerciali, dalla giustizia sociale e dalla cittadinanza politica” [164].
In altri discorsi Bergoglio sembrava indicare una via diversa di trasformazione del sistema economico dominante, più diretta, radicale, affidata all’attivazione delle energie popolari per entrare in un ordine di idee di democrazia sostanziale e di economia post-capitalista. “L’etica rimanda ad un Dio che attende una risposta impegnativa, che si pone al di fuori delle categorie del mercato”, aveva scritto nell’esortazione Evangeli Gaudium, (paragrafo 57, 2013). In un discorso ai Movimenti popolari aveva affermato: “Diciamo no a una economia di esclusione e iniquità in cui il denaro domina invece di servire. Questa economia uccide. Questa economia è escludente. Questa economia distrugge Madre Terra. L’economia non dovrebbe essere un meccanismo di accumulazione, ma la buona amministrazione della casa comune” (Terra, Casa, Lavoro. Discorsi ai movimenti popolari del 2014, 2015, 2016, edizioni de “il manifesto”, pag. 46). Il riferimento alla oikos, comune radice di economia ed ecologia, è evidente. Qui invece, nella Fratelli tutti, l’obiettivo della creazione di “fraternità universale e amicizia sociale” [142] e di una “migliore” e “serena convivenza” [228, 279] sembra perseguibile componendo etica e mercato attraverso la buona disponibilità d’animo dei protagonisti e il raggiungimento in ogni individuo di “un livello morale che gli permette di andare oltre sé stesso e il proprio gruppo di appartenenza” [117]. Un’idea che si avvicina terribilmente al tradizionale interclassismo cogestionale della Chiesa, che non mette in discussione gli assetti di potere economici e giuridici dell’impresa capitalista. Nell’enciclica l’iniziativa economica privata viene considerata persino con reverenza: “L’attività degli imprenditori effettivamente è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo di tutti (…) tuttavia, questa capacità degli imprenditori, che sono un dono di dio, dovrebbero essere orientate chiaramente al progresso delle persone” [123]. Il tutto si risolve in un accorato appello all’“unità”, alla “negoziazione” paziente [231], al “realismo dialogante” [221], a un “patto sociale” [218] tra i diversi interessi in gioco. Certo, precisa Bergoglio: “La vera riconciliazione non rifugge il conflitto, bensì si ottiene nel conflitto, superandolo attraverso il dialogo e la trattativa trasparente” [244]. Quindi, le “lotte (sono) legittime” [243] se servono a difendere i diritti e a togliere potere agli oppressori. Ma la “buona politica” [180] deve mirare al consenso e alla “concordia sociale” [240]. La “civiltà dell’amore” [183] si fonda anche sulle buone maniere: dire “permesso, scusa, grazie”. “Mettersi al posto dell’altro” [221] e usare gentilezza, benevolenza, dolcezza, mitezza, tenerezza… aprono le porte non solo del paradiso, ma anche ad una società migliore.
Bergoglio vorrebbe con questa nuova enciclica ridare slancio e motivazioni al “ruolo pubblico” della Chiesa: “Vogliamo essere una Chiesa che serve, che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sagrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità (…) per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazioni” [276]. E indica anche le modalità dell’impegno: stare dalla parte dei “movimenti popolari che aggregano disoccupati, precari e informali” [169], “lottare per ciò che è più concreto e locale” [78], promuovere politiche sociali che non siano “verso i poveri, ma con i poveri e dei poveri” [169]. Insomma, fare in modo che “ogni essere umano possa diventare artefice del proprio destino” [187]. Nell’incontro con i lavoratori delle fabbriche in crisi in Sardegna, Bergoglio fece una preghiera: “Signore: aiutaci ad aiutarci fra noi” (2013).
Tuttavia rimane non chiaro quale dovrebbe essere il nuovo sistema economico che Bergoglio intende promuovere, la nuova altra economica, così come auspica Luigino Bruni, storico del pensiero economico e uomo di salda fede cattolica, cofondatore della Scuola dell’economia civile. Secondo il professore della Lumsa (Libera Università Maria santissima assunta) “questo capitalismo individualistico ha i giorni contati. (…)”. “Le grandi crisi iniziano sempre al culmine del loro successo… La novità della nuova ‘altra’ economia di questo tempo sta nel cambiamento delle prassi e dei comportamenti, della cultura e quindi del culto [capitalista]”, poiché ormai “il capitalismo è entrato dentro l’anima delle persone per il suo essere religione pragmatica 24h7d: giorno e notte, sette giorni su sette” (Il nuovo culto della felicità pubblica, Buonenotizie del Corriere della sera, 22 settembre 2020). Per uscire da questa economia dispotica e totalitaria si renderebbe necessario un cambio radicale dell’idea stessa di progresso e di sviluppo, così come Bergoglio indicava nella precedente enciclica Laudato si’. Non mi pare invece sufficiente sperare di umanizzare gli agenti dell’impresa capitalista facendoli accettare principi etici così da modificare i loro comportamenti, rimanendo comunque all’interno dei ruoli che il mercato ha assegnato loro. Nemmeno mi parrebbe sufficiente, in un ottica di trasformazione integrale e di necessaria “conversione” degli apparati produttivi, tecnici, distributivi e di consumo, accontentarsi di ricavare uno spazio di azione terzo, tra mercato e iniziativa economica diretta pubblica, dove possano agire liberamente i portatori dei principi di un’economia eticamente orientata. Abbiamo già sperimentato che il Terzo settore schierato a cuscinetto tra i fallimenti del mercato e la bancarotta degli stati non ha dato la meglio prova di sé. Altre benemerite esperienze come quelle degli imprenditori dell’Economia di comunione non sono riuscite a fare sistema. Servirebbe allora proporre con più decisione e sperimentare concretamente un modello di riferimento decisamente diverso: istituire e dare dignità alle “varie forme di economia popolare e di produzione comunitaria” [169] con “tratti di gratuità” [152], che operano già ora ben al di là della “logica perversa e vuota (del) calcolo di vantaggi e svantaggi” [210], cioè del mercato.
In interventi precedenti papa Bergoglio aveva nominato con minuziosa precisione e trasporto empatico i soggetti economici da cui partire: cartoneros, raccoglitori, venditori ambulanti, artigiani, pescatori, piccoli contadini, muratori, sarti, persino giostrai! [Incontri con i movimenti popolari]. Nella Laudato si’ scriveva: “L’istanza locale può fare la differenza” [LS 179] e indicava nelle comunità di piccoli produttori, nelle fabbriche recuperate, nei sistemi agricoli di piccole dimensioni che praticano le rotazioni delle culture, nelle cooperative per lo sfruttamento delle energie rinnovabili, nel riciclaggio degli scarti (oggi si direbbe nell’economia circolare)… quelle azioni capaci di creare “reti comunitarie” [LS 219] e un “tessuto sociale locale” [LS 232] tali da dare sicurezza alimentare e autosufficienza economica alle popolazioni. “Piccoli gruppi” che praticano forme di economie altre sono come “seme, sale ed enzima per il lievito” del cambiamento [Audizione con l’Economia civile del 4 febbraio 2017]. Quando Bergoglio parla di una società poliedrica sembra auspicare una convivenza pacifica tra varie forme di produzione diversificate e di ordinamenti sociali rispettosi delle varie tradizioni e scelte culturali e politiche dei popoli. In tal senso sono paradigmatiche le riflessioni dell’autunno scorso sull’Amazzonia a favore dell’autonomia e dell’autogoverno dei popoli indigeni svolte in occasione del Sinodo per la Regione panamazzonica. Altrettanto forti sono le proposte scritte nella lettera ai movimenti popolari occidentali la domenica di Pasqua (il 12 aprile 2020, in pieno block down), tra cui: “É venuto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base. Nessun lavoratore sia senza diritti”. Proposte, però, non riprese nella nuova enciclica.
A giorni (19-21 novembre) ad Assisi si svolgerà un incontro internazionale chiamato The Economy of Francesco, rivolto ai giovani. Sarà l’occasione per capire meglio in quale direzione vorranno andare i cattolici. Quali interpretazioni daranno a Fratelli tutti.
Sicuramente in Vaticano è aperto un confronto che avrà esiti anche direttamente politici. Il più noto economista di riferimento del mondo cattolico italiano e del Terzo settore, Stefano Zamagni, dallo scorso anno presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali, ha recentemente lanciato un manifesto e ha promosso la formazione di “un nuovo soggetto politico” dei cattolici in Italia (nome e simbolo depositati: “Insieme. Lavoro e famiglia, solidarietà e pace”) con l’intenzione di ricompattare la “pericolosa diaspora cattolica” e con l’obiettivo di superare il bipolarismo che avrebbe penalizzato “le forze moderate del centro”. “L’unità politica dei cattolici – scrivono – sono i cattolici”. La loro base di riferimento dovrebbe essere le numerose associazioni riconducibili alla Cei. Le loro basi teoriche di economia politica si riferiscano alle elaborazioni della Confederazione per la dottrina della chiesa. Un paio di anni fa la Confederazione per la Dottrina della Fede in collaborazione con il Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano, istituito da papa Francesco e affidato al cardinale ghanese Tukson, avevano prodotto un consistente documento, Oeconomicae et pecuniariae quaestions. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico- finanziario (Bollettino della sala stampa della Santa Sede n.0360, 17/05/2018). Gli economisti del Vaticano si erano impegnati nell’arduo compito di individuare “una nuova economia più attenta ai principi etici” e “una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria neutralizzandone gli aspetti predatori e speculativi”. Ma il miracoloso tentativo di ricomporre le ragioni dell’economia parametrata sullo “scambio tra equivalenti” e quelle del benessere reale delle popolazioni non mi pare sia riuscito bene. La Confederazione della fede infatti giunge alla conclusione che “il profitto va sempre perseguito”, anche se non “ad ogni costo”. Perciò: “In linea di principio, tutte le dotazioni ed i mezzi di cui si avvalgono i mercati per potenziare la loro capacità allocativa, purché non rivolti contro la dignità della persona e non indifferenti al bene comune, sono moralmente ammissibili”. Amen! Tra questi strumenti vi sono: il “denaro” (non la semplice moneta), che viene definito “di per sé uno strumento buono”, il “valore aggiunto, che è lo scopo primario del sistema economico-finaziario”, il credito e il debito, le stesse borse valori. Si giunge così all’apoteosi delle meravigliose e progressive doti del Mercato. “Il mercato, grazie ai progressi della globalizzazione e della digitalizzazione, può essere paragonato ad un grande organismo, nelle cui vene scorrono, come linfa vitale, ingentissime quantità di capitali. (…) Possiamo dunque parlare anche di ‘sanità’ di tale organismo, quando i suoi mezzi ed apparati realizzano una buona funzionalità di sistema, in cui crescita e diffusione della ricchezza vanno di pari passo” (OPQ paragrafo 19). Basta regolarlo con “solidi e robusti orientamenti”, applicare le normative sulla “responsabilità sociale dell’impresa” e “istituire Comitati etici, in seno alle banche, da affiancare ai Consigli di Amministrazione”. Siamo entrati nel pieno della narrazione dello “sviluppo sostenibile” e della “svolta etica e verde del capitalismo” annunciata dal The Wall Street Journal lo scorso anno. Il sistema economico vigente, ci dicono, è compatibile con il bene comune, purché “certificato” dai filtri Esg (Environmental, Social, Governance) che aggiudicano un punteggio alle performace green degli investimenti finanziari evinronmental frriendly e che concorrono a formare il Jones Sustainability Index delle borse; garantito dalle etichette Ecolabel rilasciate da una pretora di “enti terzi” da applicare alle produzioni industriali; dai bollini che attestano il “benessere multidimensionale” generato dalle imprese B-corp (Benefitn Corporation) et similia; autorizzato dalle quote di emissione di gas climalteranti contemplate dall’ Emission Trading System, rilasciate al “giusto prezzo” secondo l’andamento delle aste pubbliche (sistema che ha valso l’ultimo premio Nobel per l’economia); emendato dalle varie forme di compensazione degli inquinamenti (Clean Development Mecanism) e di “tasse verdi”. E così via.
Soluzioni che a me sembrano ben diverse da quelle ipotizzate da papa Bergoglio anche in Fratelli tutti, ma compatibili con le linee delle Oeconomicae et pecuniariae quaestions controfirmate dallo stesso papa Francesco. In Vaticano, temo, ci siano problemi di dissociazione cognitiva, e non solo in materia di politica economica. La più importate tra tutte le contraddizioni emerse con la Fratelli tutti a me sembra emerga quando si afferma solennemente: “É inaccettabile che una persona abbia meno diritti per il fatto di essere donna” [paragrafo 121] e poi la si escluda dai ruoli principali nella propria organizzazione.
Mauro Bonaiuti dice
Complimenti Paolo per l’analisi acuta e la richissima esegesi dei documenti vaticani sull’economia! Capisco un pò di delusione ma forse più che “dissociazione cognitiva” il mondo cattolico ha semplicente il problema che viene loro da visioni profondamente diverse di cosa debba essere l’economia (il capitalismo appunto) differenze che vengono da lontano… del resto perchè dovrebbe essere diverso per loro: liquidità e frammentazione fanno ormai parte dell’immaginario secolarizzato dei cattolici non divesamente dagli altri… Zamagni avrà il suo da fare se pensa davvero di ricompattare posizioni francamente così distanti… ma non perderemo il sonno per questo 😉
Celestino Panizza dice
La maggiore delusione dell’enciclopedia sta, a mio modo di vedere, nella ricomposizione rigida di una visione antropocentrica non solo nella relazione con la natura ma di tutti gli aspetti della società e dell’economia. Un punto non risolto nella Laudato Sì e qui più esplicito. Non se ne esce…l’uomo può far quel che vuole basta che lo faccia per sé.
leonardo romagnoli dice
Il commento è interessante ma stiamo parlando del Papa non del leader della sinistra mondiale anche se le sue encicliche sono più avanzate di quanto la sinistra sta facendo in europa. Che non nomini il capitalismo nella sua enciclica Fratelli tutti non mi sembra un gran problema. Esiste attualmente un altro sistema economico?
Silvano Brandi dice
SI esiste un altro sistema economico, basta volerlo ed è quello della cooperazione fra i popoli e fra i cittadini. Io do in questo senso la lettura dell’enciclica “FRATELLI TUTTI”.
Edoardo Nannetti dice
Paolo è un non credente ma tra i più attenti lettori e studiosi delle posizioni del papa e della chiesa su questi temi. L’articolo non tradisce questa qualità e fornisce numerosi spunti di rifelssione e va riletto con attenzione. Ho due rilievi che posso esprimere subito in cui mi diferenzio da alcuni giudizi. 1) non credo che ogni documento papale debba dire tutto, ma ogni documento ha una funzione diversa e va letto in combinato disposto con gli altri. Non è pensabile che il papa nel 2019 parli del capitalismo e nel 2020 si rimangi la parola. Conque sia, anche i questo mette sotto critica i meccanismi del mercato e l’ideologia liberista, con passaggi ben evidenziti da Paolo.
2) Penso che il senso della ‘Fratelli tutti’ sia quello di fornire una base etica, antropologica e direi spirituale a tutti i discorsi più prettamente politici, pur riprendedoli. Di fronte all’egemonia culturale ed etica del capitalismo, al dominio dell’individualismo, è necessaria una riforma morale ed intellettuale di base, ed il principio della fratellanza (che è oltre la solidarietà) conferisce una base antropologica, etica e spirtuale ad ogni discorso politico sul capitalsmo ed anche alle lotte chiaramente auspicate in altri testi, che così superano la dimensione delle lotte corporative tipiche di questa fase per tentare di diventare lotte con un orizzonte di liberazione generale. 3) La questione della presenza dello stato, di istituzioni mondiali ecc non ha solo lo scopo di governare gli spiriti animali del capitalismo ma anche quello di proteggere proprio quelle esperienze di economia altra che Paolo vede come embrioni di un nuovo paradiga di sistema alternativo a quello capitalista; queste esperienze da sole non sono in grado di produrre l’alternaiva ma solo di testimonarla (e non è poco), ma di fronte allo strapotere del capitalismo globalizzato non ce la possono fare. Restituire centralità alle persone sull’economia e sul mercato implica trovare le forme politiche in cui si esprima tale centralità. Inoltre, di fronte ad un mercato che governa ormai la programmazione dello sviluppo, della ricerca ecc a fini di profitto immediato, occorre per una vera economia alternativa e per l’ambiente una programmazione a lungo termine che senza politica non è possibile. Si tratta di capire quale plitica, quali istituzioni, quali processi partecipativi, ma il problema è ineludibile.
4) Molto interessante la seconda parte dell’articolo sulle prospettive ed il dibattito in corso nel mondo cattolico ed i limiti della prospettiva zamagnana che sembrano evidenti. Tuttavia è altrettanto evidente che, enunciata una prospettiva di superamento del capitalismo, si dovranno costruire le fasi della transizione e, su questo, mi pare aperta la ricerca e poche le soluzioni già pronte. La stessa idea di quale sia la società ed il modo di produzione alternativo mi pare che sia confusa per tutti e vada costruita in progress. A questo serve il faro fondamentale della fratellanza.
paolo cacciari dice
Grazie per l’attenzione, caro Edoardo. Ho tentato – proprio come dici tu – di leggere in “combinato disposto” alcuni scritti e alcuni discorsi di papa Bergoglio e nell’ultima enciclica ho trovato incongruenze e arretramenti. (Ovviamente spero di sbagliarmi. La riprova l’avremo presto con l Economy of Francesco). Anch’io credo che l’aspetto culturale, etico, antropologico e spirituale, sia quello prioritario e decisivo per riuscire a rivoluzionare anche il sistema socio-economico e politico. E qui, su questo terreno, questo papa è davvero importantissimo. Ma se decide di scendere a trattare di economia politica, allora dovrebbe essere più preciso sul quadro di riferimento. Quali imprese, quali mercati, quale valore attribuire alle cose, quale regolamentazione?
Un carissimo saluto, Paolo
Edoardo Nannetti dice
Caro Paolo, i temi in discussione sono fondamentali e complessi e riprenderemo certo il discorso e la ricerca. Intanto ti ringrazio per la risposta e ricambio di cuore i tuoi saluti.
Edoardo
Maria Felice dice
Quante chiacchiere prolisse e sterili. Il Papà dice tutto e il contrario di tutto. In un linguaggio comprensibile solo a pochi.
Come cristiana sono profondamente delusa.
Roberto Renzoni dice
Non vedo cosa il papa dovrebbe rovinare essendo da sempre la chiesa un parassita che non paga le tasse, vive di donazioni di chi vuol salvarsi l’anima e di spuculazioni finanziarie. Il no alla guerra? E le crociate per non dir d’altro? La chiesa è elemento portante del capitalismo e di esso vive.
La questione di fondo del papa e della chiesa che non si risolverà mai se non con la loro sparizione è in una non accettazione di una teoria materialista della storia che la porrebbe fuori: da qui ricorsi a spirito evangelico, buon comportamento che altro non sono che paternalismo. “Non sono venuto a portare la pace ma la guerra” potrebbe essere motivo di riflessione immediato: è che poi tutto si aggiusta con la buona (e che vuol dire?) volontà. Insomma la lotta di classe non si nomina, è troppo aspra; d’altra parte la chiesa da che parte sta in essa come si diceva all’inizio? La cosa comunque che mi è piaciuta di più nel commento di Paolo è il ruolo che la donna ha da duemila anni nella chiesa: zero, no, remedium concupiscentiae dopo il sacramento (che non esiste) del matrimonio.