Le multinazionali, chi sono e quante sono. Una lente di ingrandimento sulle duecento che guidano la classifica dell’avidità nel mondo. Tutto quel che c’è da sapere sui capitalisti del XXI secolo e le paghe dell’1 per cento dei principi dello stipendio negli Stati Uniti. E poi i profitti non tassati, le banche che odiano le foreste e i vincitori e i perdenti nel tempo del coronavirus. È finalmente pronta la decima edizione di Top 200, il prezioso dossier 2020 del Centro Nuovo Modello di sviluppo. La trovate cliccando qui e ovviamente nel sito del CNS – ma attraverso le sezioni “I nostri dossier” e “Imprese e consumo critico” – si possono anche consultare i dossier precedenti per temi essenziali come: disuguaglianze, fondi sovrani, trattati sugli investimenti, gli investimenti fantasma nei paradisi fiscali, il supporto fornito dal sistema bancario alle imprese che continuano a remare contro il clima e che producono armi. Qui, intanto, la presentazione di Francesco Gesualdi che da oltre dieci anni dedica tutto il tempo, la fatica e la passione necessari alla raccolta di questa essenziale informazione indipendente
In un mondo dove c’è una vera e propria ossessione per la rilevazione dei dati, c’è invece un ambito dove i dati scarseggiano. E’ quello delle multinazionali che finisce per essere addirittura avvolto in un’aurea di mistero.
Perfino sulla loro definizione non c’è accordo preciso, il che spiega perché esistano stime le più varie perfino sul loro numero.
In questo contesto, assume particolare importanza lo sforzo del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di monitorare le prime 200 multinazionali, corredandole di una serie di articoli di approfondimento che ogni anno danno luogo a un dossier intitolato Top 200.
Ed essendo un’attività che si protrae ormai da una diecina di anni, sono possibili anche confronti che permettono di seguire l’evoluzione delle top 200.
Tendenzialmente si nota una loro crescita su tutti i fronti, ma fatturati e profitti crescono più di quanto non crescano gli occupati.
Più precisamente, fra il 2005 e il 2019 il loro fatturato complessivo è aumentato del 69% e i profitti del 62%, mentre l’occupazione solo del 35%.
Un dato che conferma un assetto produttivo in rapida trasformazione. Infatti mentre un tempo le imprese tendevano ad integrarsi verticalmente, in modo da controllare tutte le fasi della produzione, oggi preferiscono appaltare il più possibile all’esterno, possibilmente in paesi a bassi salari, per ridurre i loro costi di produzione.
Un altro dato di rilievo è come stia cambiando la nazionalità delle Top 200. La novità principale è rappresentata dall’avanzata della Cina che da 19 multinazionali nel 2009, è passata a 50 nel 2019, e non a detrimento degli Stati Uniti, che anzi avanzano anch’esse passando da 59 a 60, ma degli stati europei.
Di particolare interesse anche la composizione delle principali economie mondiali mettendo insieme multinazionali e stati, le prime per il loro fatturato e le seconde per il loro Pil.
Il risultato è che fra i primi cento posti siedono 42 multinazionali, precisando che la prima compare al 25° posto, prima del Venezuela. La situazione cambia radicalmente se anziché in base al Prodotto Interno Lordo, gli stati sono elencati in base agli introiti governativi.
Rappresentazione più reale perché basata su criteri più omogenei. Osservando questi dati, fra i primi cento posti siedono ben 69 multinazionali, con la prima multinazionale che compare al 13° posto, prima dell’Australia.
Il dossier, che abitualmente esce ad ottobre, è formato da due parti. La prima dedicata a considerazioni e classifiche sulle Top 200, la seconda ad approfondimenti su temi connessi al mondo produttivo ed altre tematiche di particolare importanza per il tempo che stiamo vivendo.
Il numero di quest’anno, consultabile al link , offre approfondimenti sugli assetti proprietari delle imprese quotate in borsa, sulle imprese della carne, sui profitti non tassati, sugli effetti del lockdown sul mondo del lavoro e i diversi settori produttivi, sul crescente divario fra gli stipendi degli alti dirigenti e gli altri lavoratori.
Dal 1978 al 2019, la paga dei dirigenti delle grandi imprese americane è cresciuta del 1.167%. Per contro nello stesso periodo la paga di un lavoratore medio è cresciuta solo del 13,7%.
Nel 2019 il rapporto fra la paga di un grande dirigente e quella di un lavoratore medio è stato 320 a 1. Nel 1965 il rapporto era 21 a 1. Poi ci si sorprende per la crescita delle disuguaglianze.
Maria Rosaria dice
un lavorone azie Gesualdi il tuo lavoro è prezioso per un’informazione alternativa seria e documentata
Luca Angelozzi dice
Grazie di cuore a Francesco Gesualdi e a tutto il Centro Nuovo Modello di Sviluppo
Emilia Accomando dice
Grazie Gesualdi, la seguiamo molto, lei scopre il velo che copre l’amara potenza delle lobby
Comitato StopTtip di Udine