C’era una volta l’educazione ambientale. Fanno più male alla salute gli assembramenti nell’entrare a scuola o 44 tonnellate al giorno di rifiuti plastici da incenerire? La risposta non è affatto scontata, ma la nostra domanda è volutamente provocatoria come quasi tutte quelle che prospettano le alternative tra il male e il peggio. Qui sta solo a ricordare quanto poco interessi la sfera delle cause dei guai che ci capitano, molto meglio far finta che ce li mandi il destino avverso. E poi quella domanda è anche un po’ priva di senso perché, per evitare “assembramenti” che potrebbero alzare un po’ il rischio di contagio (e non certo indispensabili a esercitare il diritto alla socialità) bastano un po’ di pratica, molto buon senso e la disponibilità a gestire insieme un problema comune. Il buon senso, invece, a volerlo chiamare così per generosità nel giudizio, sembra mancar del tutto a chi pensa di imporre l’obbligo di mascherine da indossare a scuola una sola volta. Il commissario Arcuri, a nome del governo, ha reso noto che ne verranno consegnate ogni giorno 11 milioni. Niente stoffe riutilizzabili e men che mai auto-produzioni. Si torna all’usa e getta. E pensare che, solo nel marzo dello scorso anno, il Parlamento Europeo aveva confermato il divieto dell’uso della plastica usa e getta entro il 2021. Ce ne aveva messo di tempo per deciderlo! Le montagne di posatine monouso, i soffici cotton fioc, le cannucce variopinte e il resto dell’enorme massa di ammennicoli di plasticume inutile che si seminano ovunque non avvelenano solo il mare – a livelli impressionanti, tutti ormai sanno che negli oceani ci sono isole di rifiuti grandi sette volte la Francia – ma anche l’acqua dei rubinetti da cui beviamo. Del mare, si dirà, finita l’estate, magari al governo frega poco, tanto ci campano i pesci che non votano. Ma come la mettiamo con le città in preda al panico da contagio e seppellite da montagne di rifiuti potenziali agenti di molte altre epidemie? A leggere quanto racconta Marinella Correggia sul manifesto, poi, quella sulle mascherine non pare nemmeno la sola minaccia inquietante. Il pericolo di sacrificare sull’altare dell’emergenza del momento ogni scelta sensata sul piano sociale e ambientale (dal rifiuto dei pesticidi nel menù all’astrazione che nega ai corpi la possibilità di toccarsi e muoversi) è grande e siamo solo all’inizio…
Rigorosamente usa e getta: così saranno le mascherine scolastiche, da distribuire ogni mattina all’ingresso, evitando però assembramenti. Lo ha deciso il Comitato tecnico scientifico (Cts) di nomina governativa che detta le linee anti-Covid. Niente soluzioni cosiddette di comunità, di stoffa, riutilizzabili (e meno che mai autoprododotte, pur ammesse dai Dpcm dei mesi scorsi).
Il commissario straordinario Domenico Arcuri ha ribadito che ogni giorno verranno consegnati alle scuole 11 milioni di dispositivi di protezione. Quanto alla maniera di indossarli, il Cts ha stabilito che saranno abbassabili «in condizioni di staticità, con il rispetto del metro di distanza e in assenza di possibilità di aerosolizzazione (es. canto)». Ma nelle medie e superiori, la comodità vale solo se in più la situazione epidemiologica è di «bassa circolazione virale».
A prescindere dall’utilità, in questa fase dell’epidemia, delle mascherine cosiddette chirurgiche fuori dagli ambienti sanitari o a rischio, e dagli effetti sui ragazzi, non si può ignorare che ogni prodotto usa e getta è un controsenso ambientale, a valle (rifiuto indifferenziato) ma anche a monte: si deve continuamente rinnovare il processo di produzione, con materie prime, energia, acqua.
Il ministero dell’ambiente per ora dichiara: «Aspettiamo di sapere se sarà un obbligo o una raccomandazione, consapevoli che c’è la necessità di far usare ai ragazzi prodotti certificati. Chiediamo che siano ammesse anche le mascherine riutilizzabili certificate e intanto ricordiamo di non gettarle per strada». Il ministro Costa mesi fa aveva invitato la cittadinanza a privilegiare soluzioni riusabili.
«Quarantaquattro tonnellate al giorno di rifiuti da incenerire»: Stefano Vignaroli, presidente della Commissione Ecomafie, parla di «scelta sbagliata su tutta la linea, da rivedere», visto che oltretutto «la scuola dovrebbe dare il buon esempio ai ragazzi sul fronte della difesa dell’ambiente» e che su simili prodotti sono più facili le infiltrazioni da parte della criminalità organizzata.
Di «scelta senza senso» parla il direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti che auspica «una fornitura adeguata di mascherine riutilizzabili certificate», con istruzioni sul lavaggio e privilegiando le produzioni nazionali. Contrario alla scelta di bandire le mascherine di comunità è Alfonso Pecoraro Scanio, presidente della Fondazione Univerde: «Anche a scuola continua il festival del monouso, in netta contraddizione con tutte le campagne europee e italiane per il plastic-free». Del resto, ricorda Univerde, con un emendamento al decreto rilancio il Parlamento ha previsto un Programma sperimentale per la prevenzione, riuso e riciclo dei dispositivi di protezione individuale.
Arcuri ha inoltre annunciato la consegna alle scuole di ben 170.000 litri di gel igienizzante x le mani a settimana. Un via vai di mascherine e flaconi – per fortuna non i guanti, la cui inutilità nociva ha imposto una svolta perfino a Trenitalia.
Ma dalle scuole usciranno verso la rottamazione anche tre milioni di banchi, sostituiti dai nuovi arrivi: la versione a rotelle e i tradizionali. Interpellati a partire dal 4 agosto, Invitalia e ministero dell’istruzione non hanno risposto ad alcune semplici domande: verranno sostituiti anche banchi già monoposto (diffusissimi) e se sì, perché? È previsto un controllo di qualità ambientale rispetto ai materiali usati e alla loro provenienza? Come mai nella gara d’appalto non sono indicate cifre massime? Quale sarà il destino dei rottamati?
Alla fine, il 24 agosto, Invitalia ha scritto: «Al momento non è possibile rispondere a queste domande».
All’ufficio stampa di Azzolina è stato rivolto, invano, un ulteriore quesito: a proposito dei pasti monoporzione in plastica sigillata, preconfezionati e provenienti da ditte esterne. Questo possibile scenario «anti-Covid», indicato dal ministero, significherebbe l’addio ai pasti magari bio e a km zero, con sporzionamento antispreco, con vere stoviglie. Un’ipotesi che nel mese di luglio il medico ed epidemiologo Franco Berrino ha definito «un brutto scherzo».
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