Sappiamo cosa significhi la desolazione di altari profanati, tabernacoli carbonizzati e statue ridotte a pezzi informi di legno. Siamo consapevoli della perdita e addolorati per quanto di prezioso si è perduto. Nel 2015, la prima capitale del Niger e poi Niamey sono state colpite dal fuoco dei fanatici, chiese comprese. Tutto è andato in fumo in poche ore. Qui, dal lontano Sahel, non possiamo che condividere il dolore e rallegrarci per la grande partecipazione che si è messa in moto affinché la cattedrale di Parigi possa un giorno recuperare il posto che le spetta nella fede e nell’immaginario culturale della Francia e del mondo. Eppure non possiamo dimenticare – scrive Mauro Armanino, missionario in Niger – che la stessa intensità del dolore non si vede per quanto avviene ogni giorno nell’altra Cattedrale, quella che Dio ha scelto di abitare e per cui ha dato la vita sulla croce, quella dove donne, bambini, adulti e anziani vengono bruciati dalle bombe, colpiti da droni armati, da sofisticati mezzi di distruzione e armi leggere in Libia, nello Yemen, in Siria, in Palestina, in Afghanistan e chissà in quanti altri sconosciuti luoghi di tortura
di Mauro Armanino
Sappiamo cosa sono le ceneri e le distruzioni di chiese. Il 16 e 17 gennaio del 2015 Zinder, la prima capitale del Niger e il giorno seguente Niamey, l’attuale capitale del Niger, sono state colpite dal fuoco distruttore di fanatici. C’era stato il fattore ‘Charlie Hebdo’, a Parigi e buona parte della gente non aveva accettato che il Presidente del Paese affermasse di ‘essere Charlie’.
Conosciamo il dolore della distruzione di chiese, luoghi di culto, di incontro, di identità e di presenza per comunità esili e fragili in un contesto di egemonia culturale islamica. Alcune chiese erano state appena inaugurate o restaurate, con la partecipazione dei fedeli e aiuti esteriori. L’attacco di bande di giovani guidati da adulti era stato colto come un tradimento della fiducia riposta nel dialogo quotidiano coi vicini.
Tutto è partito in fumo in poche ore quel sabato mattina. Persino la cattedrale di Niamey, dedicata a ‘Nostra Signora del Soccorso’, era stata difesa per un paio d’ore dai militari e salvata dalla distruzione. Sappiamo cosa significhi la desolazione di altari profanati, tabernacoli carbonizzati e statue ridotte a pezzi informi di legno. Siamo consapevoli della perdita e addolorati per quanto di prezioso si è perduto.
Non dimentichiamo, non possiamo farlo, che quanto è accaduto alla cattedrale di Parigi, di natura forse accidentale, accade quotidianamente nell’altra Cattedrale. Donne, bambini, giovani, adulti e anziani, autentiche Cattedrali, bruciati da bombe, droni armati, sofisticati mezzi di distruzione e armi leggere. Volti sfigurati e dilaniati dal fuoco e dalle bombe, in Libia, nello Yemen, in Siria, in Palestina, in Afghanistan e chissà in quanti altri sconosciuti luoghi di tortura.
Ci sembra essere questa la Cattedrale reale che, quotidianamente è profanata con la complicità di tanti costruttori e venditori d’armi. L’altra cattedrale, quella di pietra, di legno e di storia illustre e quotidiana dovrebbe essere della prima immagine. Lo stesso scandalo, lo sgomento, la tristezza e il senso della perdita di un bene prezioso dovrebbe essere rivolto, almeno con la stessa intensità, alla Cattedrale impastata di terra e di cielo, alla Cattedrale umana, la Cattedrale dei volti.
Inizieranno, anzi sono già iniziate le raccolte per ricostruire quanto è andato perduto. Ricchi e poveri, credenti e non, uniranno le forze finanziarie e morali per ridare alla cattedrale di Parigi il posto che le spetta nella fede e nell’immaginario culturale della Francia e non solo. Questo non può che rallegrare e allo stesso tempo indurre a domandarsi che fare della Cattedrale delle vittime per la quale Dio ha dato la vita. E’ infatti quest’ultima, a forma di croce, che Lui ha scelto di abitare e di cui non si parla.
Niamey, 16 aprile 2019
PIER MARCO ACCANTO dice
C’è un nesso tuttavia tra la Cattedrale di pietra e la Cattedrale umana, entrambe sono vittime della stessa tecnologia che c’è ormai sfuggita di mano.