Possiamo interloquire, prestando la massima attenzione al rispetto della loro autonomia, con i giovanissimi che il 15 marzo hanno preso la parola per opporsi all’irresponsabilità e all’ipocrisia dei governi sui cambiamenti climatici? Un vecchio ragazzo in età molto avanzata, segnato da una lunga e appassionata storia di partecipazione ai movimenti per la giustizia sociale e ambientale, mette a disposizione un po’ del suo tempo e tutto il suo cuore
“E i ragazzi scesi in campo per il clima? Non dovremmo chiamarli insieme a progettare un futuro che vada oltre la sola attenzione alla produzione e allo scambio di merci comunque prodotte, alla soluzione dei problemi delle migrazioni umane che i cambiamenti climatici stanno già schiaffando davanti ai nostri occhi, al riequilibrio delle disuguaglianze crescenti?”
Aldo Carra, il manifesto del 24 marzo
di Alberto Castagnola
Mi trovo davanti ad un bivio, doloroso e lacerante: economista che da oltre dieci anni si occupa di problemi ambientali e di età molto avanzata, non riesco a tollerare l’idea che dopo quanto è successo il 15 marzo in tantissimi paesi, un movimento giovanile così lucido e trascinante, possa perdere di forza e ripiegare su se stesso, pericolo che si è materializzato così tante volte in passato da non poter credere ad evoluzioni diverse. E quindi la mia coscienza politica, sicuramente al margine della storia, ma lucida e determinata come sempre, malgrado le tante esperienze e le troppe illusioni coltivate, mi impedisce di essere corretto e mi spinge continuamente a dire qualcosa.
In altre parole, ho la sensazione che le mie esperienze potrebbero essere utili per un movimento così giovane e così maturo nelle sue analisi e nelle sue chiamate di responsabilità, mentre so che non devo minimamente rischiare di disturbare le sue dinamiche spontanee. Ho molto pensato, ho ripetuto come un mantra un saggio proverbio francese (“Se la vecchiaia potesse e se la giovinezza sapesse”) e ho finalmente messo a punto una linea da seguire, salvo cancellarla immediatamente se qualcuno mi farà notare errori e scorrettezze. Quindi parlerò solo di mie esperienze passate o in atto, descrivendo motivi e scelte di comportamento, errori fatti e insegnamenti emersi a posteriori, nella speranza che eventuali lettori giovanissimi (e magari anche qualcuno più maturo) possano autonomamente trarne qualche indicazione per loro utile nel contesto attuale, denso di urgenze e pericoli mai prima sperimentati.
In tutte le mie esperienze (dalle campagne di informazione con obiettivi concreti alla costruzione di reti di economia alternativa e solidale, dalla creazione di realtà alternative come la Città dell’Altra Economia al sostegno di esperienze di produzione e di consumi biologici) ho sempre notato la necessità di non essere mai simili alle situazioni precedenti. Si trattava cioè sempre di operare secondo processi in continua evoluzione, e di elaborare cercando sempre nuove soluzioni . Ciò significa che oltre alle intuizioni e scelte iniziali, anche in passato una parte notevole delle attività richiedeva di raccogliere continuamente nuovi dati, di osservare con molta attenzione i mutamenti in corso nel contesto sociale ed economico in cui eravamo inseriti, di aggiornare molto spesso le strategie adottate, di verificare continuamente le modalità delle azioni e soprattutto degli effetti ottenuti. Ogni volta che ci siamo adagiati in una routine tranquillizzante abbiamo sopportato attacchi pesanti e ottenuto risultati sempre più scarsi.
Questa esigenza si è poi ulteriormente rafforzata quando parecchi anni fa ho cominciato a studiare e ad affrontare i molteplici aspetti del riscaldamento globale. Gli equilibri del pianeta e le situazioni ambientali modificano continuamente il loro assetto ed è quindi necessario aggiornare senza sosta i dati, riformulare le analisi, stimolare in modo creativo le sensibilità delle persone e delle istituzioni, inventare nuove modalità di azione, per affrontare in modo incisivo le variazioni del clima e il moltiplicarsi degli effetti dannosi che colpiscono le popolazioni umane.
Un secondo aspetto delle mie esperienze riguarda l’ampliamento della base e della composizione dei gruppi che avevano deciso di affrontare problemi sociali ed economici di estrema gravità, come le guerre e i conflitti, oppure il sottosviluppo nelle sue infinite varietà, o ancora, i debiti internazionali che da decenni opprimono numerose popolazioni e che anche oggi contribuiscono a bloccare i movimenti locali di rivolta o di rivoluzione o di semplice libera evoluzione. Ho sperimentato che ogni gruppo spontaneo soffre di processi di stanchezza o di improvviso disinteresse, che diminuiscono rapidamente le capacità inventive ed operative di molte iniziative. In altre parole, occorre fin dall’inizio avviare attività di formazione interna, di sensibilizzazione di un numero crescente di persone potenzialmente interessate a diventare operative, di presa di coscienza e di formazione di giovani in contesti vicini o di prossimità, di contatti e scambi con altri gruppi analoghi operanti sul territorio.
Perfino nella Rete Lilliput (primi anni 2000) la cosa che si è rivelata più difficile è stata quella di moltiplicare i contatti in orizzontale tra i circa 850 gruppi aderenti, anche se operavano in territori contigui, poiché ciascuno svolgeva le sue frenetiche attività concentrato sulle proprie dinamiche ed era scarsamente interessato al confronto e alle possibili elaborazioni comuni. Oggi che si tratta di superare un intero sistema, è evidentemente ancora più difficile avviare processi complessi e allargamenti continui della base, fattore essenziale per far emergere nuovi livelli di attività e forme di organizzazione sociale innovative. In questa fase, invece, nella quale il sistema dominante deve essere obbligato ad abbandonare le logiche sostanziali in tempi molto stretti (a causa dei fenomeni ambientali in fase addirittura di accelerazione), abbiamo urgente bisogno di far emergere nuove basi sociali e nuove forme organizzative in grado di moltiplicarsi rapidamente.
Vi è poi un aspetto che circa quindici anni fa sembrava poco rilevante e che in questa fase storica è diventato essenziale, la capacità di operare connettendo tra loro componenti sociali che hanno caratteristiche, esigenze, scopi e potenzialità ben diversi tra loro, in modo da poter incidere sui meccanismi dominanti in una prospettiva di breve o brevissimo tempo. Ad esempio, è ormai necessario chiudere gli impianti a carbone e bloccare le ulteriori prospezioni petrolifere senza lasciarsi imbrigliare dalla “necessità di rispettare i tempi tecnici” e di “preoccuparsi che tutti paesi facciano la stessa cosa nello stesso momento”. Esito, dopo molti anni, a parlare della paziente costruzione di reti e della necessità di un “lavoro di rete” (comunque definito) poiché le esperienze positive del passato sono ormai un ricordo lontano, mentre in questi ultimi mesi possiamo solo rilevare l’esistenza di una molteplicità di “collegamenti” tra associazioni e gruppi informali che perseguono uno scopo ben delimitato, evitando di ipotizzare eccessivi scambi di esperienze, strette collaborazioni sui territori, iniziative fortemente coordinate tra due o più organismi. In questi giorni (dalla manifestazione antirazzista a quella per il clima e contro le grandi opere inutili) abbiamo visto gli ottimi risultati raggiunti da alcuni di questi collegamenti e possiamo solo sperare che le strategie adottate (preziosi gli incontri preliminari in città diverse) si moltiplichino e arrivino a comprendere tra gli scopi i tanti meccanismi economici che danneggiano il clima globale e degradano il nostro paese a ritmi che sembrano inarrestabili.
Infine, ed uscendo dai miei contorcimenti mentali, credo di poter segnalare almeno tre aspetti delle politiche manifestate dall’attuale governo che ci devono particolarmente interessare nei prossimi mesi ( anche se la loro consistenza economica è ancora tutta da dimostrare) :
- Alcune notizie apparse su vari giornali accennano ad una proposta fatta dall’attuale ministro per l’ambiente di far svolgere la Conferenza delle Parti COP 26 (non la prossima ma quella successiva ) in Italia. Se questa idea fosse assunta a livello di governo ne deriverebbe la necessità di “far vedere” che il nostro paese è molto impegnato nelle politiche per l’ambiente. Questo significherebbe che i movimenti nei prossimi mesi dovrebbero controllare tutte le misure proposte, evidenziandone accuratamente limiti ed errori e formulando ipotesi alternative.
- Sembra essere in corso una qualche strategia relativa alla produzione e al consumo di carbone, che prevede anche la chiusura di impianti ma a medio termine, cioè troppo tardi rispetto alla accelerazione del riscaldamento globale.
- Pochi giorni fa è stata presentata dal governo una ipotesi di piano di riassetto idrogeologico, accompagnata da una cifra di investimento dell’ordine dei 15 miliardi di euro in tre anni. Un comunicato del ministero per l’ambiente la conferma ma indicando una cifra di 6,5 miliardi, mentre in realtà un piano idrogeologico nazionale esiste già da tempo, anche se sembra che solo poche regioni se ne stiano occupando.
Bene, ora in conclusione posso accennare ad una mia disponibilità a mettere a disposizione di scuole e gruppi di studenti anche universitari materiali e fonti conoscitive; basta chiedere a , che mi passerà la vostra mail. Ogni venerdì vi sarò vicino!
Gianfranco Dr Marinari dice
CASTAGNOLA ha ragione,non perché condivido totalmente ciò che scrive su CHE FARE?,ma perché da circa 40 anni penso le stesse cose-invierò una lettera z CASTAGNOLA.
g m 3207567149