L’arte, quando nasce in contesti di conflitto, è prima di tutto ricerca di relazioni, è abitare il mondo insieme in modo diverso, ma è anche accoglienza delle nostre fragilità e del nostro potere di cambiare il mondo per raggiungere obiettivi difficili. Lo dimostra anche il viaggio nel Museo dell’altro e dell’altrove di Metropoliz – che Marc Augé ha definito un “super luogo” -, fatto dai ragazzi di un liceo romano, tra i quali alcuni studenti autistici. Un viaggio bellissimo cominciato intorno a un razzo fatto di vecchi barili di petrolio pronto a raggiungere la luna, l’unico posto senza proprietà privata e senza armi
di Anna Maria Piemonte*
Il 4 novembre, complice la generosa estate di San Martino, siamo usciti dal liceo (artistico, il “Via di Ripetta” di Roma, ndr) per svolgere la nostra attività di alternanza scuola lavoro finalizzata a un progetto di inclusione dell’autismo in classe e che ha impegnato gli studenti a uno stretto confronto con la neurodiversità, attraverso la comunicazione artistica. Un percorso esperienziale fatto di prossimità e reciprocità che li ha visti disegnare, dipingere e fotografare, i ritratti dei compagni e gli autoritratti di sé. Una narrazione per immagini del proprio vissuto in una dimensione biografica e autobiografica, che li ha portati a una riflessione costante su di sé e sulla qualità delle relazioni intersoggettive e li ha indotti alla consapevolezza del valore della diversità e del modo di prendersene cura.
I ritratti e gli autoritratti realizzati dagli studenti, illustreranno il Calendario 2018 dalla Onlus “Divento grande”, per una campagna di comunicazione sociale sulla disabilità intellettiva. Con David D’Amore, l’artista che con me segue gli studenti in questo progetto, avevamo deciso di arricchire la già preziosa produzione di immagini portando gli studenti a disegnare in un posto che, coerentemente con l’azione didattica ed educativa che avevamo messo in campo, potesse significativamente mostrare loro l’inscindibilità del binomio Arte/Vita. Grazie alla disponibilità di alcuni genitori, abbiamo riempito le macchine di ragazze e ragazzi allegri e sorridenti, in compagnia dei loro amici autistici, ben preparati per questa missione speciale, muniti di camere digitali e smartphone ma anche di blocchi di carta e colori che avrebbero usato per disegnare in ex tempore per raccontare la giornata. In carovana, lungo la via Prenestina, abbiamo percorso la strada che ci avrebbe portati a Metropoliz, Città Meticcia, alla scoperta del M.A.A.M, il Museo dell’Altro e dell’Altrove, fino al civico 913. Ad attenderci, gli accoglienti Metropoliziani che il sabato aprono le porte della loro Città e Carlo Gori, Street Artist, promotore di importanti progetti culturali nelle periferie urbane, che cura la didattica del Museo ed è, da lungo tempo, vicino agli studenti del Ripetta.
Metropoliz, che si estende entro una vasta area nel quartiere di Tor Sapienza – circa 20.00 metri quadrati – ha trovato il proprio spazio dentro le architetture industriali dismesse, nelle quali per anni è stato attivo il ciclo di produzione di salumi e insaccati della fabbrica Fiorucci ed ora è diventato un dispositivo relazionale di grande complessità, laboratorio urbano di ibridazione, propulsore di azioni artistiche e sperimentazioni sociali e multiculturali. Il 28 marzo 2009, per rispondere all’emergenza abitativa, l’ex fabbrica Fiorucci era stata occupata dai Blocchi Precari Metropolitani, in collaborazione con Popica Onlus, un’associazione che si occupa della scolarizzazione dei bimbi rom, ed oggi è abitata da una sessantina di nuclei familiari di diverse provenienze che hanno trovato non solo una soluzione all’emergenza casa ma affrontano, ogni giorno, esperienze di convivenza, condivisione, recupero e autogestione di uno spazio urbano.
Space Metropoliz dalla terra alla luna
Un bel giorno però, i Metropoliziani, pungolati dal maître à penser Giorgio de Finis – antropologo, videomaker, fotografo, artista – e dal regista Fabrizio Boni, decidono di abbandonare non solo la Città Meticcia appena conquistata ma di fuggire anche dalla Terra e raggiungere la Luna, unico posto senza proprietà privata e senza armi. Chiedendo aiuto all’artista-costruttore Gian Maria Tosatti, i Metropoliziani realizzano un telescopio fatto di barili di petrolio che posizionano proprio sulla Torre che domina le grandi architetture industriali e si impegnano a costruire il razzo che li avrebbe portati in orbita: è l’arte che nasce in un contesto afflittivo e diventa risorsa vitale. Si apre così, nel 2011, il cantiere cinematografico Space Metropoliz, che porta per la prima volta gli artisti nell’ex fabbrica occupata e documenta la storia dei Metropoliziani sulla Luna mentre nell’aprile 2012, Giorgio de Finis darà vita al Maam il Museo dell’Altro e dell’Altrove, autentica “barricata d’arte” eretta a difesa dell’occupazione della Città Meticcia dal rischio di sgombero sempre incombente.
La barricata d’arte: il Maam, Museo dell’altro e dell’altrove a difesa di Metropoliz
Spazio complesso il Maam di Metropoliz_Città Meticcia, così definita dai suoi stessi abitanti, il primo museo abitato, reale e ospitale, tutto da vivere, per scoprire che c’è la Luna anche sulla Terra, basta volerlo ci rammenta il motto “Nihil difficile volenti” che Pasquale Altieri scrive sul muro impreziosito dal blu di lapislazzulo con caratteri d’oro vibranti di luce come le stelle nel firmamento. Al Maam., la pratica artistica indaga i processi intersoggettivi di scambio sociale e di comunicazione. Le opere che gli artisti hanno donato sono punti di riferimento nei rapporti interpersonali con l’Altro e nell’Altrove, legame e legante di relazioni: è la riappropriazione della dimensione collettiva, anche in risposta alla crescente disgregazione delle società contemporanee. Al Maam, l’arte è partecipativa e relazionale, si scambia, non si vende e non si compra. Al Maam, micro-comunità che sempre più si apre alla macro-comunità abitante la città intera, si attivano processi, si accendono relazioni e l’opera d’arte, semplicemente, ci pone di fronte a un accadimento, generando un incontro in cui lo spazio dell’ex fabbrica Fiorucci, sempre più inconfutabilmente, si sta trasformando in spazio mediatore, in una intrigante dialettica tra periferia e centro. Tra le architetture industriali dismesse, infatti, si susseguono numerosi i progetti di riqualificazione artistica degli spazi.
Nel corso di una visita a Metropoliz, nel 2016, Marc Augé, “antropologo del quotidiano” e teorico del “Non-Luogo”, ovvero degli spazi topografici nei quali si consumano i riti dell’afflusso e dei consumi di massa, deprivati di identità, relazioni, storia e memoria, ha definito il Maam come un “Super Luogo”, valorizzandone l’autenticità. Al Maam, infatti, si concretizzano la cooperazione e lo scambio esperienziale tra artista e spettatore, il cui risultato si manifesta con la creazione di un percorso comune e di una crescita collettiva, indicativo di una nuova consapevolezza e sempre rinnovate narrazioni.
Gli autistici al Maam vanno sulla luna
Al Maam, gli studenti del liceo Ripetta si sono sentiti sempre accolti e Carlo Gori, più di una volta, si è preso amorevole cura di loro come ospite gentile e disponibile. Lo Street Artist li conduce oltre “la barricata d’arte”, fin dentro i molteplici linguaggi dell’arte e restituisce loro gli sguardi che di Metropoliz ci hanno lasciato gli artisti che interagiscono con quanti abitino la Città Meticcia. I loro linguaggi ibridandosi, si dipanano come un filo di Arianna nel Labirinto metropoliziano, così come ci ha raccontato anche lo scultore in residenza Eugenio Carabba che al Maam ha realizzato l’installazione permanente site-specific “L’uomo senza dimora”. Rami in ferro che abbiamo toccato, accarezzato, un tronco con i suoi nodi e le sue asperità realizzato in cemento, a delimitare uno spazio simbolico struggente ed evocativo entro il quale ha preso vita la narrazione dell’artista che ha affascinato la nostra studentessa autistica, ferma al centro di quello spazio magico, e catturato l’attenzione di tutti, mentre Tommy, con rigore da fotoreporter oramai esperto, scattava fotografie a futura memoria di quegli inimitabili istanti insieme.
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Posso affermare, con poco margine di incertezza, che di anno in anno, l’esperienza dell’arte sia diventata, per i miei studenti che vivono la condizione dell’autismo, uno spazio dell’anima, di relazione, di partecipazione e di socialità e credo di poter fare questa affermazione per quanto li abbia osservati muoversi con leggerezza negli spazi della fruizione dell’arte, riappropriandosi delle opere, ora attraverso i loro inimitabili sguardi laterali che hanno imparato a concentrare sullo schermo della camera digitale per catturare proprio l’immagine delle opere, ora attraverso la tattilità, esplorandone le materie delle quali erano costituite. Al Maam, questo spazio dell’anima si è come amplificato e concretizzato a loro misura, entro una dimensione esperienziale nella quale contenitore e contenuto sono al contempo opera unica, totalizzante e collettiva e opera individuale, dove tutto si fa trama, nella consapevolezza che ogni trama, che noi percepiamo nella sua continuità, debba essere anche percepita nei singoli fili che la costituiscono. Al Maamm, ogni filo della trama si configura come una narrazione che impreziosisce, con inaspettati cangiantismi, le unicità, valorizzando le diversità.
Le fotografie pubblicate a corredo di questo articolo, ci mostrano le ragazze e i ragazzi del liceo nella Ludoteca, cuore pulsante del Maam, stare a proprio agio tra i banchi variopinti. Sono tutti intenti a disegnare nella luce del primo pomeriggio che esalta i colori della stanza, facendo quasi vivere i bambini dipinti da Alice Pasquini che abitano sui muri e sembra siano fatti di carne. Dalle matite e dai colori dei ragazzi sono scaturiti i ritratti dei compagni e i propri autoritratti, ambientati in questo “Superluogo”.
Sarà felice Veronica Montanino di sapere di essere riuscita a creare, con l’esuberanza decorativa e generativa del suo intervento sul muro, “la bellezza come seduzione visiva, l’euforia e la chiassosità cromatica” risignificando il luogo dell’accadimento e della relazione tra esseri umani uguali ma diversi, nel momento in cui è proprio lo spazio di relazione tra individui ad essere pericolosamente ridotto, soprattutto quando è una umanità più fragile e bisognosa di rispetto, ascolto e valorizzazione, ad essere esclusa socialmente e culturalmente. Davvero non sarebbe stato possibile che gli studenti presenti nella Ludoteca, non avessero percepito con chiarezza di come al Maam la pratica artistica risieda proprio nella ricerca di relazioni, con la proposta prioritaria di abitare un mondo in-comune.
Per gli studenti tutti, autistici e non, quel modo di stare nella Ludoteca, ha attivato un dispositivo generativo all’infinito, che ha trasformato e rinnovato il rapporto io-mondo di ciascuno. Per quanti vivano la condizione della neurodiversità, l’accessibilità al Museo e alle opere che in esso vi abitano, deve transitare per la riappropriazione degli spazi attraverso le relazioni. Al Maam, ad esempio, gli studenti autistici hanno percepito una nuova libertà poiché si è modificata anche la condizione dello stare tra e con gli artisti e con le loro opere, entro la dimensione irrinunciabile dell’ospitalità dagli abitanti. Questo nuovo modo di esperire l’arte che è relazionale, ha trasformato non solo il pensiero sulla fruizione dello spazio museale ma anche e soprattutto, le modalità di confronto con l’opera stessa. Cosa c’è di meglio, dunque, per gli autistici se non esaudire il proprio necessario e vitale desiderio di relazione con una più assidua frequentazione del Maam? Il razzo per la Luna è sempre pronto a partire e li attende e se si ritenesse che per loro il viaggio possa essere impegnativo, potranno sempre contemplare il disco lunare dal telescopio, arrampicandosi sulla Torre e capire che la Luna è qui, sulla Terra, a Metropoliz, perché avranno imparato che “Nihil difficile volent”.
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*insegnante di storia dell’arte al Liceo Artistico “Via di Ripetta”. Ha aderito alla campagna Un mondo nuovo comincia da qui
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