Introduzione
La lettura di questa rassegna permette uno sguardo d’insieme praticamente su tutti i principali meccanismi di danno ambientale, con i quali stiamo distruggendo gli equilibri del pianeta e riducendo le prospettive di sopravvivenza della specie umana su di esso. Potrebbe anche costituire uno strumento didattico essenziale per insegnanti della scuola e delle università, di facile comprensione nelle singole componenti e di intuitiva connessione nella apparente complessità. Se qualcuno lo utilizzerà nel proprio contesto, lo comunichi evidenziando anche i difetti di analisi, noi faremo circolare le esperienze.
I primi giorni sono dominati dalle notizie relative ai cicloni (gli ultimi effetti di Harvey e i primi di Irma e poi quelli di Maria) sempre più frequenti, di maggiore durata e con venti che giungono a sfiorare i 300 chilometri orari e quindi con una capacità distruttiva sempre più intensa. Poi subentrano insieme le descrizioni delle piogge monsoniche in Asia e della siccità sempre più diffusa in tutti i continenti, ambedue causati dai meccanismi del riscaldamento globale. E poi la torrida estate che suscita o favorisce incendi, mentre ogni pianta che scompare riduce la capacità della Terra di assorbire l’anidride carbonica che continua a salire nell’atmosfera. Inoltre si moltiplicano gli eventi collaterali, dalle isole sommerse al consumo eccessivo di sabbia, senza dimenticare gli avvelenamenti dei terreni e la diffusione inarrestabile del colera nello Yemen.
Per evitare depressioni e scoraggiamenti, occorre ricordare che dietro ogni meccanismo di danno che emerge o si moltiplica c’è una attività umana che potrebbe essere modificata o fortemente ridimensionata. Forse solo a prezzo di dure lotte e conflitti diffusi, ma forse anche solo modificando le propensioni al consumo di tante persone o le scelte pervicaci di tanti governi.
Clima ed eventi estremi
- Houston, climate change. Raffinerie nel vortice: in Texas crisi globale. Fuori uso il 15% degli impianti, crescono subito i prezzi di petrolio e benzina. Sale a 37 il numero delle vittime dell’uragano Harvey. (…) Non è tuttavia la produzione di greggio ad essere direttamente influenzata dal disastro provocato dalle piogge. Lo sarà la benzina, come sottolineato da Goldman Sachs in una nota ai clienti dove si legge che “i dati a disposizione sinora dicono che l’impatto si sentirà più dal lato delle raffinerie che da quello della produzione”. Complessivamente, per l’agenzia stampa Bloomberg, le stime dei danni in Texas si aggirano tra i 40 e i 50 miliardi di dollari, calcolando i danni in termini di forza lavoro, rete elettrica, trasporti e altri elementi che sostengono il settore energetico della regione, mentre emerge che solo un cittadino su sei delle aree interessate avrebbe un’assicurazione”. (…) (Il Manifesto, 1 settembre 2017, pag. 9)
- Texas, due esplosioni in un impianto chimico. L’uragano Harvey ha causato il disastro più caro della storia Usa. (160 miliardi?). Le esplosioni sono cominciate quando l’acqua ha fatto saltare il sistema di refrigerazione che stabilizzava le componenti chimiche nei container di una fabbrica di Crosby, a nordest di Houston. L’area è stata evacuata nel raggio di tre chilometri e per ora chi è stato portato in ospedale perché entrato in contatto con le esalazioni è stato subito dismesso, nonostante in mattinata il capo della Fema avesse parlato di sostanze potenzialmente ”pericolosissime”, L’incidente – che peraltro potrebbe aggravarsi se dovessero saltare altri serbatoi o l’intera fabbrica – dimostra però quanti danni per la salute , oltre ai 38 morti, agli oltre 30mila sfollati e alle centomila abitazioni danneggiate , si lasci dietro di sé la tempesta Harvey, ora che, declassata a depressione tropicale, si muove da Houston verso la Louisiana e il Mississippi. La città epicentro di uno dei più grandi disastri naturali dell’ultimo secolo ( e in America il più costoso di sempre: il conto dei danni potrebbe arrivare a 160 miliardi di dollari) è sede di moltissime raffinerie e industrie chimiche e quali sostanze siano presenti nei container di molte di queste non è dato saperlo nei dettagli. Ieri Rich Rennard, l’amministratore delegato dell’Arkema (la fabbrica delle esplosioni, francese con sedi in America a New York e a Houston)alla domanda se i perossidi organici che stanno bruciando fossero oltre che irritanti anche tossici, ha svicolato, limitandosi a dire che è in corso “un incendio, non un rilascio chimico”. Rennard può essere così vago perché in Texas, nonostante, anzi dopo, l’esplosione nel 2013 di una fabbrica di fertilizzanti che fece 35 morti a West, vicino Waco, è stata approvata una direttiva che consente alle industrie chimiche di non fornire queste informazioni in modo dettagliato. Secondo un rapporto consegnato alla commissione del Texas per la qualità ambientale, l’uragano Harvey potrebbe comunque aver causato il rilascio nell’aria di una quantità di agenti inquinanti tale da alzare molto il limite di legge. Ma non è chiaro di quanto, perché la stazioni di monitoraggio sono state chiuse prima che l’uragano toccasse terra. Una crisi sanitaria legata alla mancanza di acqua potabile minaccia invece Beaumont, un centinaio di chilometri a nord est di Houston, dove le inondazioni hanno fatto saltare il sistema idrico. C’è poi, ovunque, il rischio delle malattie che potrebbero portare le colonie di zanzare che cresceranno dove la pioggia ristagnerà più a lungo. (…) Il Congresso, che ritorna a Washington la prossima settimana, è sotto pressione perché approvi rapidamente un gigantesco pacchetto di finanziamenti. Il governatore del Texas, Greg Abbott, ha parlato di 125 miliardi di dollari, e ha anche annunciato che accetterà gli aiuti offerti dal vicino Messico. (Corriere della Sera, 1 settembre 2017, pag.8, con foto; cfr. anche La Nuova Sardegna , stessa data, pag. 11, con lista delle imprese e la relativa produzione di barili di petrolio al giorno)
- Niger hotspot . Nel “posto sicuro” alluvioni con 44 morti e 70mila sfollati. (…) 4500 capi di bestiame perduti. Il centro del disastro è Niamey, la capitale lungo il fiume Niger (frequentemente colpita dalle alluvioni) che conta 17 vittime. Le autorità hanno invitato la popolazione a lasciare le case e a rifugiarsi nelle scuole. Un emergenza che ricorda quella dello scorso anno, quando le vittime furono 60. I primi bilanci sono impietosi: il governo ha calcolato in 6,5 milioni di dollari il budget necessario ad affrontare l’emergenza e ha fatto appello alla comunità internazionale per raccogliere i fondi. Ma la crisi non è nuova: da giugno il Niger è colpito da eventi simili, già a maggio l’Onu parlava di almeno 106mila sfollati. Ma il paese subsahariano non è il solo ad essere flagellato. Negli ultimi giorni le piogge monsoniche hanno provocato la morte di 1200 persone tra Nepal, Bangladesh e India. Quelle che sono state descritte come “le alluvioni più dure dell’ultimo decennio” hanno distrutto interi villaggi e terre agricole, andando a colpire direttamente 40 milioni di persone. (…) (Il Manifesto, 1 settembre 2017, pag. 8)
- Incendio in Groenlandia. La Groenlandia è nota per i suoi vasti ghiacciai, ma nelle scorse settimane gli scienziati hanno rilevato un incendio notevole lungo la costa occidentale dell’isola. Le fiamme si sono sviluppate circa 150 chilometri a est della cittadina di Sisimiut. Le prime immagini satellitari dell’incendio sono arrivate il 31 luglio. Nella settimana seguente il satellite Suomi Npp della Nasa ha raccolto immagini delle fiamme tutti i giorni. Questa più dettagliata è stata però scattata dal satellite Landsat 8 della Nasa il 3 agosto. (…) Le fiamme sembrano essersi sviluppate nella torba, spiega Jessica McCarty, scienziata della Miami University. Se l’ipotesi fosse confermata, questo potrebbe far aumentare le emissioni di anidride carbonica prodotte dagli incendi in Groenlandia nel 2017, aggiunge lo scienziato atmosferico Mark Parrington, del Programma Copernico della Commissione Europea. Non si conoscono le cause dell’incendio, ma l’assenza di fulmini nei giorni precedenti suggerisce che sia stato innescato da attività umane. La zona , che non è molto lontana da una cittadina di 5500 abitanti, è infatti frequentata da cacciatori di renne. L’estate del 2017 è stata molto arida in Groenlandia. A Susimiut le precipitazioni sono state quasi del tutto assenti a giugno e molto inferiori alla media in luglio. Questo potrebbe aver fatto seccare salici erbacei, arbusti, erba, muschi e altre specie vegetali diffuse lungo le coste della Groenlandia, aumentando il rischio di incendi. Le fiamme producono un materiale simile alla fuliggine chiamato nero di carbone. Il vento potrebbe trasportare questa sostanza verso le calotte di ghiaccio più a est, rendendone più scura una parte. Il fenomeno potrebbe interessare anche i climatologi, perché la neve sporca si scioglie più rapidamente rispetto a quella pulita. (…) ( Internazionale n. 1220, 1 settembre 2017, pag.105)
- Russia, passaggio nell’Artico. Una nave cisterna russa ha attraversato le acque ghiacciate del mare Artico, compiendo in tempo record il passaggio dall’Europa all’Asia. La “Christophe de Margerie” ha completato la rotta marittima del nord senza usare navi rompighiaccio, ma approfittando dello scioglimento dei ghiacci dovuto al riscaldamento climatico, spiega il New York Times. Ad agosto la nave ha trasportato un carico di gas naturale liquefatto dalla Norvegia alla Corea del Sud in 19 giorni, risparmiando un terzo del tempo rispetto alla rotta che passa dal Canale di Suez, in Egitto. “Pe ora la rotta del nord resta troppo costosa, ma secondo gli esperti prima del 2040 potrebbe diventare economicamente conveniente”. (Internazionale n. 1220, 1 settembre 2017, pag. 108)
- Kenya, addio alla plastica. Il 28 agosto è entrato in vigore in Kenya il divieto di vendere, produrre e usare sacchetti di plastica, una misura per combattere l’inquinamento. Secondo alcune stime, prima del divieto i keniani usavano in media 24 milioni di sacchetti al mese. Altri paesi africani , tra cui Ruanda, Mauritania ed Eritrea, hanno messo al bando i sacchetti di plastica, male sanzioni introdotte dal governo keniano sono tra le più severe al mondo: fino a quattro anni di carcere o a 38mila dollari di multa per i trasgressori. I giornali keniani si chiedono se il divieto sarà rispettato e quali saranno gli effetti negativi. “Un migliaio di keniani perderà il lavoro perché le aziende saranno costrette a chiudere”, stima il quotidiano Business Daily. Ma il beneficio dal punto di vista ambientale è innegabile. “La incuranza dimostrata dai keniani è evidente nelle fogne intasate e nella scia di distruzioni dell’ambiente marino e terrestre.”, scrive il Daily Nation. “Sono anni che gli ambientalisti chiedono a gran voce di vietare i sacchetti di plastica. Ma finora era mancata la volontà politica. Non potevamo lasciare che la natura fosse soffocata dalla nostra incapacità di agire”. (Internazionale n. 1220, 1 settembre 2017, pag.23).
- La costruzione di dighe nel bacino amazzonico potrebbe alterare l’ambiente per decenni, mettendo a rischio la sicurezza alimentare degli abitanti della regione. Oggi sono allo studio sei dighe nella regione andina: quattro in Perù (Pongo de Manseriche, Inambari, Tam 40 e Pongo De Aguirre) e due in Bolivia (Angosto del Bala e Rositas). Le dighe fornirebbero energia, ma potrebbero ridurre il flusso dei nutrienti verso valle, oltre ad alterare l’ecosistema dei fiumi, modificare la distribuzione dei pesci e far aumentare le emissioni di anidride carbonica e l’inquinamento da mercurio. Ci potrebbero anche essere effetti positivi, come l’aumento degli stock ittici a monte. In ogni caso, secondo Plos One, bisogna valutare in modo più approfondito le conseguenze ambientali della costruzione delle dighe. (Internazionale n.1220, 1 settembre 2017, pag. 104, con cartina)
- Texas, quasi 50mila le case danneggiate. Sale a 47 il bilancio delle vittime dell’uragano Harvey in Texas. L’effettiva portata dei danni si sta lentamente rilevando con l’acqua che ha iniziato a ritirarsi, sebbene le piogge – dicono le previsioni – continueranno fino ad oggi. Il dipartimento di pubblica sicurezza del Texas parla di 48.700 case danneggiate, di cui mille del tutto distrutte, e 17mila con danni gravi. Almeno 32mila gli sfollati. E ora si teme per l’esondazione del fiume Brazos. Secondo funzionari locali potrebbe inondare altri 500 chilometri quadrati di territorio. (Il Manifesto, 2 settembre 2017, pag.8)
- Un vortice devia l’effetto serra. Ecco il segreto del Karakorum. C’è un solo posto al mondo dove nonostante il riscaldamento globale, i ghiacciai sono stabili o in crescita: il Karakorum. La catena tra Pakistan, India e Cina, sede di quattro dei 14 Ottomila della Terra (tra i quali il K2, monte secondo per altezza solo all’Everest) aveva finora sfidato glaciologi e climatologi, che non riuscivano a spiegare l’”anomalia”. Si era a conoscenza che, in estate, un vortice influenzava la circolazione dell’aria di tutta l’area estesa per circa duemila chilometri dal Karakorum all’Himalaya al Tibet. Ora alcuni scienziati dell’Università di Newcastle, guidati da Nathan Forsythe, il cui studio è uscito on line il 7 agosto su “Nature Climate Change”, hanno scoperto che in inverno questo vortice si concentra solo sul settore più a ovest, quello occupato dal Karakorum e dal Pamir occidentale. L’anomalia venne scoperta nel 2005 e finora non era stata trovata una spiegazione. Le temperature invernali nel Karakorum sono molto fredde e il maltempo è la norma. Tanto che gli Ottomila della zona sono tra gli ultimi a essere stati conquistati dagli alpinisti specializzati in scalate invernali. Anzi, il K2 , anche per le sue difficoltà, è rimasto l’unico a essere tuttora inviolato in inverno. Forse anche perché, come hanno riscontrato gli scienziati, negli ultimi decenni le interazioni tra il vortice e il monsone asiatico hanno favorito le tempeste sull’area del Karakorum. La conoscenza dei fenomeni atmosferici dell’area ha importanti implicazioni non solo per l’alpinismo, ma anche per milioni di persone. Dai ghiacciai del Karakorum nascono infatti corsi d’acqua che alimentano l’Indo, fiume fondamentale per la vita di zone molto popolate del Sindh e del Punjab. (Corriere della Sera, La Lettura, 3 settembre 2017, pag. 7)
- Siccità record, gli ultimi nove mesi i più secchi dal 1800. Gli ultimi nove mesi sono stati i più secchi dal 1800. Da dicembre 2016 ad agosto 2017, infatti, è stato registrato un deficit di piogge del 40%. Lo rende noto il climatologo del CNR Michele Brunetti: “Le scarse precipitazioni estive – dice – non hanno fatto altro che peggiorare una condizione di siccità già molto grave alla chiusura della stagione primaverile che, con deficit di quasi il 50% rispetto alle precipitazioni medie primaverili, è risultata la terza più secca di sempre”. L’unica eccezione a questa tendenza sono state le piogge del centrosud a febbraio: “ Ma se consideriamo le precipitazioni cumulate sulle ultime tre stagioni (i nove mesi da dicembre 2016 ad agosto 2017), siamo di fronte – spiega Brunetti – a un deficit di precipitazioni di quasi il 40%, senza grosse differenze tra Nord e Sud e, se le confrontiamo con le medesime tre stagioni dal 1800 a oggi, quelli di quest’anno risultano i nove mesi più secchi di sempre”. In futuro la siccità, secondo il climatologo Massimiliano Fazzini, docente all’Università di Camerino, non è destinata a migliorare. “Durante le future estati – avverte – avremo sempre meno acqua e di peggiore qualità. Regioni come Puglia, Sicilia e Sardegna dovranno mettere in campo processi di desalinizzazione utilizzando così l’acqua del mare”. (Corriere della Sera, 5 settembre 2017, pag. 25)
- Moria di pesci nel Tevere dal Flaminio a Fiumicino. Centinaia di carcasse. Il sospetto: inquinamento dopo le piogge. A galla sono venute anche carpe di 15 chili che di solito non si pescano in centro. Morte da giorni nel Tevere, con le squame putrefatte. La corrente le ha trasportate da Roma Nord, forse dalla diga di Castel Giubileo o anche oltre. E come loro centinaia di carcasse di pesci che potrebbero essere morti per soffocamento o avvelenamento, o tutte e due le cause insieme. (…) Il sospetto concreto è che le recenti piogge che si sono abbattute su Roma – molto più forti alla periferia Nord, appunto – abbiano smosso non solo il fondale fangoso del Tevere , pieno di sostanze tossiche, ma possano aver anche contribuito a far defluire in acqua liquami inquinanti, prodotti chimici provenienti dall’irrigazione dei campi e rifiuti di ogni genere che nei tre mesi e mezzo di siccità e di abbassamento del livello del fiume avevano intasato gli scarichi industriali e di civili abitazione. In pratica, è come se in un colpo solo il “biondo” sia stato invaso da migliaia di litri di veleno che non hanno lasciato scampo ai pesci. (…) ( Corriere della Sera, 6 settembre 2017, pag. 4 cronaca di Roma).
- Dopo Harvey arriva Irma, nuovo uragano in America. Furia Irma, l’occhio del mostro. Vittime nelle Antille francesi, arriverà in Florida. Dall’800 non si verificavano due eventi così in una stagione. E’ cresciuto di intensità rapidamente ed ora sta diventando un uragano da record, tra i più intensi della storia, per la sua violenza. Dalla iniziale categoria tre, in poco tempo la velocità dei venti ha superato i 250 chilometri orari proiettandolo alla massima categoria 5. Non bastavano i pesanti danni appena portati dall’uragano Harvey in Texas (categoria 4); adesso Irma rischia di abbattersi nel fine settimana sulla Florida con conseguenze ancora peggiori. E le statistiche della Noaa, l’amministrazione americana dell’atmosfera e degli oceani, dicono che dal 1851 mai si erano abbattuti due uragani di queste categorie superiori nella stessa stagione. Intanto sono già almeno due le vittime e altrettanti feriti gravi causati dall’uragano nelle isole di Saint Martin e Saint Barthelemy. Nell’Atlantico, dal 1960 si registrano in media dodici tempeste la metà delle quali si rafforzano trasformandosi appunto in uragani. Irma è già il quarto della stagione che raggiunge il suo massimo tra agosto e ottobre, e per la quale il centro Goddard della Nasa aveva anticipato una previsione variabile tre i sei e i nove eventi. Gli scienziati del centro dicono che sia “ prematuro” parlare di aumento anche se le elaborazioni a partire dal 1878 sembrerebbero mostrare una tendenza al cambiamento almeno nell’intensità. L’uragano Sandy nel 2012, ad esempio, pur non di elevata categoria scatenò notevoli disagi a New York e nel New Jersey. Di certo – aggiungono – le stime per il futuro sono preoccupanti e prospettano entro il secolo un aumento del 75% nella frequenza di questi fenomeni più forti nell’area atlantica con categoria 4 e 5 con venti più veloci dell’11 per cento rispetto ad oggi e quindi ben più distruttivi. I climatologi collegano quanto sta accadendo ad un fenomeno di lungo periodo e ancora misterioso che hanno battezzato Atlantic Multidecadal Oscillation di cui si sono accorti negli ultimi 150 anni. Consiste in fasi di riscaldamento e raffreddamento delle acque estese dai venti ai sessanta anni. Adesso siamo nel periodo più caldo iniziato nel 1995 e questo seguiva un ciclo più freddo partito agli inizi degli anni ’70. Il riscaldamento misurato è intorno a un grado ma già il piccolo innalzamento induce l’atmosfera a trattenere il 4 per cento in più di vapore acqueo causando maggiori precipitazioni. In Florida tutti sperano che Irma non riporti le devastazioni dell’Uragano Andrew del 1992 che era stato l’ultimo dei tre uragani del novecento di categoria 5 e aveva provocato danni per 26,5 miliardi e la morte di 65 persone. E molti ricordano i disastri di Katrina a New Orleans nel 2005 ma anche degli uragani meno famosi come Ike nel 2000. Sulle cause delle intensificazioni di questi fenomeni gli scienziati dell’IPCC il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, ribadiscono nel loro rapporto il ruolo giocato dalle attività umane sul quale si può discutere per gli aspetti quantitativi ma non sull’indiscusso contributo. (Corriere della Sera, 7 settembre 2017, pag. 1 e 21)
- Un futuro pericoloso. Dall’India agli Stati Uniti gli effetti dell’attività umana sul clima stanno facendo aumentare siccità, tempeste e inondazioni. E le cose sono destinate a peggiorare. I 64 miliardi di metri cubi di pioggia (più o meno l’equivalente di 26 milioni di piscine olimpioniche ) rovesciati sul Texas dall’uragano Harvey alla fine di agosto hanno stabilito un nuovo record per un ciclone tropicale sugli Stati Uniti. Ma è un record che difficilmente durerà a lungo ,visto che le emissioni di anidride carbonica provocate dagli esseri mani stanno spingendo il clima in un territorio sconosciuto. Le immagini delle strade allagate in Texas fanno pensare a quelle delle comunità colpite dalle inondazioni in India e in Bangladesh, alle recenti valanghe di fango in Sierra Leone e all’esondazione di un affluente del fiume Yangtze in Cina, che ha provocato decine di morti ad agosto. In parte si tratta di calamità stagionali, e le loro conseguenze dipendono anche da fattori locali. Ma gli scienziati sostengono che gli eventi estremi di questo tipo diventeranno sempre più frequenti e devastanti a causa dell’aumento delle temperature globale e dell’intensità delle precipitazioni. Il nostro pianeta sta vivendo un’era di record spiacevoli. Ogni anno, dal 2015 a oggi, le temperature hanno toccato picchi mai visti dalla nascita della meteorologia, e probabilmente da 110.000 anni. La quantità di anidride carbonica nell’aria è ai livelli più alti degli ultimi quattro milioni di anni. Non è questo a provocare eventi come l’uragano Harvey: in questo periodo dell’anno, nel golfo del Messico, ci sono sempre tempeste e uragani. Ma l’aumento delle temperature rende questi eventi più piovosi e potenti. Più l’acqua degli oceani si riscalda , più evapora facilmente e fornisce energia alle tempeste. E, scaldandosi, l’aria sui mari trattiene una quantità maggiore di vapore acqueo. Ogni mezzo grado in più fa aumentare di circa il 3 per cento l’umidità dell’atmosfera. Questo vuol dire che i cieli si riempiono prima di acqua e ne hanno una quantità maggiore da scaricare. Oggi nel golfo del Messico si registrano temperature di superficie superiori di un grado rispetto a trent’anni fa. A contribuire all’aumento delle temperature c’è anche il fatto che, negli ultime cento anni, il livello dei mari si è alzato di venti centimetri a causa del riscaldamento globale provocato dall’uomo. I ghiacciai si sono sciolti e le acque marine hanno subito una espansione termica. Quando le piogge in Texas si sono avvicinate al record statunitense di 120 centimetri di precipitazioni registrato nel 1978, i meteorologi hanno dovuto introdurre un nuovo colore nei grafici. Potrebbe non essere l’ultima revisione. “Probabilmente i paesi grandi come gli Stati Uniti raggiungeranno altri record di precipitazioni, e non solo a causa degli uragani”, ha affermato Friederike Otto, vicedirettrice dell’Environment change institute dell’Università di Oxford. Si tratta di una tendenza globale. “Nell’immediato futuro in tutto il pianeta toccheremo nuovi picchi di caldo e precipitazione estreme”. La situazione potrebbe cambiare da un paese all’altro, avverte Otto. I fattori in gioco sono molti, ma le conseguenze dell’attività umana sul clima hanno contribuito a scatenare tempeste più violente e siccità più gravi. (…) (Internazionale n.1221, 8 settembre 2017, pag. 20 e 21).
- Isole devastate dalla furia di Irma. Distruzione ai Caraibi, da Barbuda a Saint Martin. Oltre 10 vittime. Puerto Rico senza luce. Miami aspetta l’ “ uragano nucleare”. E’ il ruggito di venti fino a 300 chilometri all’ora, di piogge alluvionali. Una forza tremenda che ha già devastato le isole dei Caraibi: Barbuda, St. Martin, Saint Barthelemy, Anguilla,le Vergini britanniche. Lasciando una scia di morti. Almeno 13, secondo il bilancio provvisorio, compreso un bimbo di due anni. Nella notte il ciclone ha superato Puerto Rico, la Repubblica Dominicana e Haiti; tra stasera e domani dovrebbe colpire Cuba, dove ieri è iniziata l’evacuazione di 36.000 turisti. Poi, tra sabato e domenica, si presenterà davanti le coste meridionali degli Stati Uniti. (…) (Corriere della Sera, 8 settembre 2017, pag. 2, con mappa del percorso)
- Le alluvioni che hanno colpito il sudest della Nigeria hanno costretto più di centomila persone a lasciare le loro case. Almeno 44 persone sono morte dall’inizio di giugno nelle alluvioni in Niger. Più di 8mila case sono state distrutte. (Internazionale 1221, 8 settembre 2017, pag. 102)
- Giordania senza acqua. Entro la fine del secolo la Giordania potrebbe avere gravi problemi di siccità. Il paese riceve l’acqua del fiume Yarmuk, il più importante affluente del Giordano, al confine con la Siria, e ha un accordo con Israele per lo sfruttamento del lago di Tiberiade. Tuttavia, alcune misure introdotte di recente da Siria e Israele hanno avuto conseguenze negative per la Giordania. Il paese si rifornisce anche da una falda sotterranea che condivide con l’Arabia Saudita, ma lo sfruttamento non è sostenibile. Così le risorse idriche a disposizione della popolazione giordana sono diminuite, passando dai 3600 metri cubi all’anno pro capite del 1946 ai 135 metri cubi attuali. L’aumento della popolazione ha aggravato il problema: da quando è cominciata la guerra in Siria , nel 2011, l’arrivo dei profughi ha fatto crescere la popolazione da 8,2 a 9,5 milioni di persone. In futuro, il cambiamento climatico potrebbe far peggiorare le cose. Se non saranno ridotte le emissioni di gas serra, la Giordania potrebbe passare dall’avere scarse precipitazioni nel 23 per cento degli anni, come nel periodo tra il 1981 e il 2010, al 94 per cento degli anni tra il 2071 e il 2100. (…) (Internazionale n. 1221, 8 settembre 2017, pag.102).
- La Città Eterna ancora in ginocchio per un nubifragio. Super lavoro per i vigili del fuoco: 400 interventi. Capitale in ginocchio, ancora una volta, per un nubifragio, durato ieri mattina tre ore e mezzo. (…) Danni per centinaia di migliaia di euro, Roma Nord ridotta a una palude. Ma ora preoccupano la tenuta del Tevere , alberi e rami pericolanti e il rischio frane. (…) (Corriere della Sera, 11 settembre 2017, pag. 1-5, con foto)
- Livorno sott’acqua, trappola mortale. Recuperati sei corpi, due dispersi. Affoga una famiglia: il nonno muore per salvare la nipotina.(…) (Corriere della Sera, 11 settembre 2017, pag. 1-6)
- Irma spegne la Florida: 6 milioni senza luce. Danni per 40 miliardi di dollari. (…) Si è dormito poco nei rifugi, nelle case e negli alberghi trasformati in ripari di emergenza. Il vento, 150 chilometri orari, non ha dato tregua. E il risveglio è senza elettricità. Niente luce, niente tv, niente acqua calda. Le notizie arrivano solo dai telefonini e dalle radioline. Oltre 5,8 milioni di utenze in tutta la Florida , tra abitazioni private e imprese, sono staccate. Si stima che il 60 per cento dello Stato sia al buio e la società elettrica fa sapere che ci vorrà tempo, in alcuni casi anche settimane, prima di riparare i tralicci e ripristinare la rete degli allacciamenti. (…) E’ il momento di contare i danni. La prima stima degli assicuratori valuta una perdita tra i 20 e i 40 miliardi di danni. I quartieri fronte mare di Miami sono allagati. Nel centro sono cadute 4 delle 25 gru installate nei cantieri. . Devastazioni a Key West, una delle isole nell’arcipelago a sud della Florida, specie a Naples, dove Irma ha toccato di nuovo terra. (…) (Corriere della Sera, 12 settembre 2017, pag.6, con foto)
- Nell’Artico canadese. Nella patri degli inuit ora vola il pettirosso. “Non c’è più neve per costruire gli igloo”. E gli scienziati temono l’arrivo delle petroliere fra i ghiacci. A Iqaluit, capitale del Nunavut, il territorio più settentrionale e vasto del Canada, piove. (…) Il circolo polare artico passa a 300 chilometri da qui. Siamo nel cuore del profondo Nord, eppure il termometro, a fine estate, segna “ben” 15 gradi e si gira in maglietta e maniche corte. Il cambiamento climatico, qui, non è una teoria, è un dato di fatto. (…) Sono loro, gli inuit, le vere sentinelle del clima in Artico.” I nostri occhi e le nostre orecchie”, assicura Thomas. E quello che vedono è davvero allarmante , come raccontano le testimonianze degli “elders” ,gli anziani, raccolte dai ricercatori dell’Istituto. Il permafrost si sgretola, l’erosione costiera minaccia le case in molte comunità dell’estremo nord. Arrivano nuove specie animali, altre spariscono, gli orsi bruni scorrazzano dove prima c’erano solo i “cugini”, gli orsi bianchi, perfino i mirtilli non sono più quelli di una volta. Le estati sono più lunghe, la neve arriva più tardi. Qui in inverno si viaggia sulle “strade di ghiaccio”, e sulle slitte, ma l’instabilità del meteo ha messo tutto in discussione: qualche anno fa , la tradizionale corsa dei cani sul mare gelato di Kangiqsujuaq è diventata una gara di barche. (…) “Dal 1979 ad oggi, stiamo perdendo 70mila chilometri di ghiaccio marino ogni anno, – racconta – E lo spessore si è ridotto circa del 60% “. E’ in atto una transizione dal ghiaccio pluriennale che sopravvive alla stagione estiva e ricomincia a formarsi in autunno, in media con spessore tra i 5 e gli 8 metri, e molto duro, perché perde il sale in estate, ad un ghiaccio annuale estremamente sottile – due metri al massimo – e fragile perché molto salato. (…) Decine di navi solcano già le nuove rotte dell’Artico, i russi hanno appena varato la prima nave cisterna per il trasporto di gas naturale liquefatto lungo la Northern Sea Route e ne hanno in progetto altre quindici. “Il leggendario passaggio a Nord Ovest sarà l’ultima rotta ad aprire alla navigazione commerciale – dice Barber – Io ci sono passato sette volte , temo che diventi una nuova autostrada del mare”. Almeno in Canada, però, l’ultima parola spetterà agli indigeni. L’Artico appartiene a loro , qui, per legge.. E solo loro potranno decidere quali e quante navi potranno transitare sulle rotte del Nord canadese. L’obiettivo è riuscire ad aprire a Nunanvut un’università, come in Groenlandia, per formare una nuova generazione di scienziati Inuit, in grado di difendere la “nostra terra”. (Corriere della Sera, 13 settembre 2017, pag. 15)
- Una parte del ghiacciaio del Trift, nelle Alpi svizzere, è crollata senza causare vittime. Più di 200 abitanti della zona sono stati evacuati per precauzione. (Internazionale n.1222, 15 settembre 2017, pag. 112).
- Isole sommerse. Alcune isole dell’Oceano Pacifico sono state sommerse dal mare, scrive New Scientist. A causa del cambiamento climatico il mare s’innalza in media di 3 millimetri all’anno , ma la crescita in alcune zone del Pacifico è superiore. Alle Isole Salomone e in Micronesia, la crescita è stata di circa 12 millimetri all’anno dagli inizi degli anni ’90. Nel 2016 uno studio ha rivelato la scomparsa di cinque isole delle Salomone. Una ricerca più recente basata su testimonianze della popolazione , immagini satellitari e studi sul campo, ha invece rivelato la scomparsa di almeno otto isole in Micronesia. Sei, disabitate e prive di rilievi, sono state sommerse tra il 2007 e il 2014, negli arcipelaghi di Laiap, Nahtik e Ros. Altre due, Kepidau en Pelhleng e Nahlapenlohd sono scomparse qualche anno prima. (…) (Internazionale n. 1222, 15 settembre 2017, pag.112)
- Le arche dell’apocalisse. Il deposito può contenere fino a 2,25 miliardi di semi. Nell’ottobre del 2016, in una serata stranamente calda, un addetto alla manutenzione si è accorto che c’era dell’acqua. Molta acqua. Scorreva come un torrente nel tunnel d’ingresso dello Svalbard global seed vault, un deposito di sementi costruito a 120 metri di profondità , nel fianco di una montagna, sull’isola norvegese di Spitsbergen. Una tempesta aveva portato la pioggia in un periodo dell’anno in cui di solito le temperature sono sottozero. L’acqua aveva mandato in corto circuito l’impianto elettrico quindi non si potevano usare le pompe del magazzino. Questo rifugio sotterraneo custodisce cinquemila specie di colture alimentari essenziali, tra cui centinaia di migliaia di varietà di grano e riso. Dovrebbe essere impenetrabile, una moderna arca di Noè per piante, una zattera contro il cambiamento climatico e le catastrofi naturali. Con l’aiuto dei vigili del fuoco il tunnel è stato svuotato finché la temperatura esterna non si è abbassata e l’acqua non si è trasformata in ghiaccio. Poi gli abitanti del villaggio ai piedi della montagna hanno fatto a pezzi lo strato di ghiaccio con vanghe e asce. (…) E quello che era successo alle Svalbard sembrava suggerire che i tentativi di salvaguardare anche solo le tracce di quello che ci circonda potevano essere vani. (…). Il Frozen zoo dello zoo di San Diego sottopone a trattamento criogenico e conserva nell’azoto liquido colture di cellule viventi, spermatozoi, ovuli ed embrioni di un migliaio di specie. Nel National ice core laboratory di Lakewood, in Colorado, un enorme congelatore contiene circa 18.600 metri di barre di ghiaccio provenienti da ghiacciai e calotte che si stanno sciogliendo in Antartide, Groenlandia e Nord america. Lo Smithsonian’s national zoo di Washington possiede la più ampia collezione al mondo di campioni di latte congelato prodotto da animali esotici, dalle orche ai pipistrelli della frutta, per aiutare i ricercatori a trovare un modo con cui alimentare i componenti più vulnerabili di tutte le specie di neonati. L’Amphibian ark, infine , si concentra sugli anfibi, la classe animale più minacciata. Nasce dalla collaborazione di più di 180 centri in 32 paesi, con lo scopo di allevare popolazioni in cattività da far tornare in natura in caso di estinzione. (…) Il mondo continua a cambiare e anche le arche sono vulnerabili. Ci possono essere imprevisti di ogni tipo: interruzioni di corrente, incendi, inondazioni, terremoti, contaminazioni, guerre, furti. Nell’aprile del 2017 un difetto nella struttura per la conservazione a freddo dell’Università dell’Alberta, in Canada, ha provocato lo scioglimento di quasi 180 metri di carote di ghiaccio, trasformando diecine di migliaia di indizi sul clima della Terra in pozzanghera. I dati relativi alle specie conservate nei depositi potrebbero andare perduti, essere hackerati, corrompersi o essere formattati in modi incomprensibili per chi in futuro volesse decifrarli. Sono queste le preoccupazioni che la notte tengono sveglio Oliver Ryder, direttore del Global Institute for conservation research dello zoo di San Diego. “Il punto non è “se” qualcosa dovesse andare storto” mi ha detto, “Prima o poi qualcosa andrà storto di sicuro. E’ inevitabile”. (Internazionale n.1222, 15 settembre 2017, pag. 72-77)
- Un nuovo uragano ai Caraibi. L’uragano Maria ha causato gravi danni ai Caraibi. Almeno due persone sono morte tra Dominica e Antille francesi. Il bilancio del passaggio dell’uragano Irma sui Caraibi e sulla Florida è salito a 98 vittime. (Internazionale n.1223, 22 settembre 2017, pag. 110)
- . Una tempesta ha causato otto morti e 67 feriti nell’ovest della Romania. Tre persone sono morte nel passaggio della tempesta Sebastian sul nord della Germania. (Internazionale n. 1223, 22 settembre 2017, pag. 110)
- Riserve marine. Il governo cileno ha annunciato che gli abitanti indigeni dell’Isola di Pasqua (Rapa Nui) hanno approvato la creazione di una riserva protetta di 720mila chilometri quadrati nell’oceano Pacifico. (Internazionale n. 1223, 22 settembre 2017, pag.110)
- Aumenta la fame. Le persone che hanno sofferto la fame nel 2016 sono 815 milioni, l’11 per cento della popolazione mondiale, scrive New Scientist. Eppure la produzione di cibo sarebbe sufficiente a nutrire tutti gli abitanti del Pianeta. La situazione si sta aggravando: nel 2015 le persone che non avevano cibo a sufficienza erano 777 milioni, il 10,6 per cento del totale. E’ la prima volta dal 2003 che si registra un aumento delle persone malnutrite. Le cifre sono contenute in un rapporto sulla sicurezza alimentare presentato dalla Fao. Secondo l’organizzazione, le cause principali dell’aumento sono i conflitti e il cambiamento climatico, che ha moltiplicato siccità e alluvioni, con conseguenze devastanti in paesi fragili come Afghanistan, Iraq, Yemen, e Sud Sudan. Inoltre, il fenomeno climatico del Nino ha peggiorato la situazione in Somalia, Siria, Sudan, Repubblica democratica del Congo e Burundi. (…)
- L’uragano Maria inonda Puerto Rico. Crolla una diga. Una diga crollata, quella di Guajataca, e due cittadine allagate, Isabela e Quadrebilas. E’ emergenza sull’isola di Puerto Rico per il passaggio dell’uragano Maria. Nelle isole dei Caraibi il bilancio delle vittime dell’uragano è salito a quota 27. (Corriere della Sera, 23 settembre 2017, pag. 23).
- Acque inquinate in Veneto. (…) Guerra, direttore generale della prevenzione del Ministero della salute, si riferisce all’emergenza ambientale e sanitaria scoperta tra le province di Vicenza, Padova e Verona nell’estate 2013, quando a seguito di alcune ricerche del CNR fu segnalata nelle acque sotterranee, superficiali e potabili utilizzate da una ventina di Comuni e 350mila persone la presenza di una concentrazione abnorme di sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), utilizzate per rendere impermeabili all’acqua tessuti e carta e per produrre pellicole fotografiche e schiume detergenti. Epicentro della contaminazione della falda , secondo l’Arpav, l’agenzia regionale per l’ambiente, sarebbe la MIteni di Trissino, fabbrica chimica dal 2009 di proprietà di International Chemical Investors Group, che però respinge ogni accusa sostenendo di aver interrotto da sei anni la produzione dei pericolosi “Pfas a catena lunga” e di aver ereditato il grave inquinamento dalle gestioni precedenti. (…) (Corriere della Sera, 23 settembre 2017, pag. 23).
- Crolla la diga, evacuati in 70mila, Porto Rico senza luce per mesi. Due città in fuga, sull’isola scarseggia l’acqua. “Ricordatevi che siamo americani”. (…) Il timore di un disastro storico sembrava superato, fino a venerdì pomeriggio. Quando nella diga sul lago artificiale Guajataca, trecento metri di cemento eretti 89 anni fa per contenere un bacino d’acqua di cinque chilometri quadrati , si è aperta una “breccia”, da cui stanno uscendo centinaia di litri d’acqua. L’inizio dell’inondazione ha trovato subito uno sbocco naturale, il letto di uno stretto fiume che in pochi chilometri porta all’Atlantico. Ma sul suo cammino rischia di travolgere i due paesi di Isabela e Quebradillas, già allagati. Da qui, a bordo di centinaia di bus, è cominciata la fuga di 70mila persone dalle loro case, ora minacciate dal crollo strutturale della diga, che sotto la pressione dell’acqua potrebbe cedere del tutto e spazzarle via. “Non sappiamo quanto durerà questa crisi, spiega il meteorologo Anthony Reynes, ma dobbiamo fare il più in fretta possibile, la situazione è terribile” (…). (Corriere della Sera, 24 settembre 2017, pag. 17, con foto)
- L’Italia a corto di navi per la ricerca antartica. L’allarme dell’istituto di oceanografia. Servono 12 milioni. Di proprietà dell’Istituto nazionale di Oceanografia e di Geofisica sperimentale di Trieste, “Explora” è l’unica nave italiana in grado di effettuare operazioni di ricerca oceanica in ambienti polari. Progettata e costruita per l’esplorazione geofisica, in modo particolare per l’acquisizione di dati sismici, gravitazionali e magnetici, Explora ha detto addio ai mari dopo l’ultima spedizione in Antartide nel mare di Ross dello scorso inverno, che ha condotto 22 ricercatori in aree della Terra che non erano mai state esplorate in precedenza. (…) “Effettuare un nuovo refit sull’Explora sarebbe controproducente, stiamo parlando di una nave che ha solcato i mari per 44 anni – spiega Coren – . Grazie alla crisi del greggio, le grandi aziende petrolifere si stanno liberando di molte imbarcazioni. Sarebbe un’occasione da prendere al volo, perché al momento i prezzi sono ancora abbordabili ma presto potrebbero risalire”. (…) (Corriere della Sera, 27 settembre 2017, pag. 35).
- La fine del mondo. Non ci siamo ancora resi conto della minaccia che incombe sull’umanità: se non fermeremo il cambiamento climatico, in meno di cento anni la Terra potrebbe diventare quasi inabitabile. Il giorno del giudizio. Credetemi , è peggio di quello che pensate. Se la vostra ansia per il cambiamento climatico riguarda soprattutto l’innalzamento del livello dei mari, vuol dire che avete solo una vaga idea dei disastri che potrebbe provocare perfino nell’arco della vita di un adolescente di oggi. Eppure l’idea dei mari che salgono e delle città inondate è così dominante nella nostra visione del riscaldamento globale da impedirci di immaginare altri pericoli , molti dei quali ancora più immediati. L’innalzamento degli oceani è un grosso problema, ma allontanarsi dalle coste non sarà sufficiente. In realtà, se non ci sarà un significativo adattamento dello stile di vita di miliardi di esseri umani, probabilmente alcune zone della Terra diventeranno quasi inabitabili, e altre terribilmente inospitali, già dalla fine di questo secolo. (…) Fino a poco tempo fa il permafrost non era tra le maggiori preoccupazioni dei climatologi, perché, come suggerisce il nome, era un terreno che rimaneva permanentemente ghiacciato. Ma il permafrost dell’Artico contiene 1800 miliardi di tonnellate di carbonio, più del doppio di quello che oggi è sospeso nell’atmosfera terrestre. Quando il ghiaccio si scioglierà , quel carbonio potrebbe evaporare sotto forma di metano, che, in un arco di tempo di un secolo, è un gas serra 34 volte più potente dell’anidride carbonica ai fini del riscaldamento globale. Se invece si ragiona in termini di 20 anni, è 86 volte più potente. In altre parole, intrappolato nell’Artico c’è il doppio del carbonio che attualmente avvelena l’atmosfera del pianeta, e sarà rilasciato in una data che continua a spostarsi all’indietro, parzialmente sotto forma di un gas che moltiplica di 86 volte la sua capacità di riscaldamento. (…) Ogni giorno vengono pubblicate notizie allarmanti sul cambiamento climatico, come quella secondo cui i dati dei satelliti avrebbero dimostrato che dal 1998 ad oggi il riscaldamento globale è diventato due volte più veloce di quanto non si aspettassero gli scienziati (in realtà, il contenuto dell’articolo era molto meno allarmante del titolo). (…) Ma quando si tratta dei pericoli reali del riscaldamento globale, soffriamo di un’incredibile mancanza di immaginazione. I motivi sono molti: il timido linguaggio scientifico delle probabilità, che il climatologo James Hansen ha chiamato “reticenza scientifica” in un saggio in cui accusa gli scienziati di essere troppo cauti e di non riuscire a comunicare quanto è veramente serio il pericolo; il fatto che gli Stati Uniti sono dominati da un gruppo di tecnocrati convinti che qualsiasi problema possa essere risolto e da una cultura opposta secondo cui il riscaldamento globale non è nemmeno un problema di cui vale la pena di occuparsi; il fatto che il negazionismo climatico ha reso gli scienziati ancora più cauti nel lanciare avvertimenti; la semplice rapidità del cambiamento, ma anche la sua lentezza, a causa della quale vediamo solo oggi gli effetti del riscaldamento dei decenni scorsi; la nostra incertezza sull’incertezza che, come ha suggerito l’esperta di clima Naomi Oraskes, ci impedisce di prepararci a uno scenario peggiore rispetto alla media delle previsioni; il fatto che diamo per scontato che il cambiamento climatico porterà conseguenze più drammatiche altrove, non ovunque; il fatto che i numeri di cui si parla troppo piccoli (due gradi), troppo grandi (1800 miliardi di tonnellate) e troppo astratti (400 parti per milione); lo sconforto di prendere in considerazione un problema molto difficile, se non impossibile, da risolvere; le incomprensibili dimensioni complessive del problema stesso, che implica la possibilità della nostra scomparsa; la pura e semplice paura. Ma anche la riluttanza che nasce dalla paura è una forma di negazionismo. (…) Contiene piuttosto un quadro di quello che sappiamo su cosa succederà al pianeta se non ci saranno interventi drastici. E’ improbabile che tutti questi scenari si realizzino, soprattutto perché nel frattempo ci scuoterà dalla nostra inerzia. Ma questi scenari, e non il clima di oggi, devono essere il punto di riferimento, la base da cui partire. Il cambiamento climatico alla stato attuale – la distruzione che abbiamo ormai proiettato nel nostro futuro – è già abbastanza terrificante. Molti pensano che Miami e il Bangladesh possano ancora essere salvati, ma la maggior parte degli scienziati con cui ho parlato ipotizza che li perderemo prima della fine del secolo anche se smettiamo di bruciare carburanti fossili entro il prossimo decennio. In passato, due gradi di riscaldamento erano considerati la soglia della catastrofe: decine di milioni di rifugiati climatici lanciati verso un mondo impreparato. Adesso, secondo gli accordi di Parigi, due gradi sono il nostro obiettivo e gli esperti dicono che abbiamo poche possibilità di raggiungerlo. Il Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite pubblica una serie di rapporti, considerati il punto di riferimento della ricerca sul clima. L’ultimo prevede che di questo passo arriveremo ad un riscaldamento di quattro gradi entro l’inizio del prossimo secolo. Ma questa è solo una proiezione mediana. La parte superiore della curva delle possibilità arriva fino a otto gradi e gli autori non hanno ancora capito come calcolare lo scioglimento del permafrost. I rapporti dell’IPCC non tengono conto neanche dell’effetto dell’albedo (meno ghiaccio significa meno luce del Sole riflessa e più luce del Sole assorbita, quindi più riscaldamento), della maggiore copertura nuvolosa (che intrappola il calore) ne della morte delle foreste e delle piante in generale (che assorbono carbonio dall’atmosfera). Ognuno di questi fattori rischia di accelerare il riscaldamento, e la storia del pianeta dimostra che le temperature possono cambiare anche di cinque gradi Celsius in 13 anni. L’ultima volta che la Terra è stata quattro gradi più caldi, osserva Peter Branner in The ends of the world, una storia delle estinzioni di massa del pianeta, il livello degli oceani era centinaia di metri più alto.(…) In realtà, a parte quella estinzione che fece scomparire i dinosauri, furono tutte causate da cambiamenti climatici prodotti dai gas serra. La più nota avvenne 252 milioni di anni fa. Cominciò quando il carbonio fece salire la temperatura del pianeta di cinque gradi, accelerò quando quel riscaldamento innescò il rilascio del metano nell’Artico e si concluse con la morte del 97% delle forme di vita. Attualmente stiamo aggiungendo carbonio all’atmosfera a un ritmo notevolmente più rapido.E il ritmo sta accelerando. (…) Morire di caldo. Ma in questo secolo, e specialmente ai tropici, le note dolenti arriveranno molto prima di un eventuale aumento di sette gradi. Il fattore chiave è la cosiddetta temperatura di bulbo umido, che equivale al calore registrato da un termometro avvolto in un tessuto umido che oscilla nell’aria(dato che nell’aria asciutta l’umidità evapora dal tessuto più in fretta, il dato riflette sia il calore sia l’umidità). Attualmente, la maggior parte delle regioni raggiunge una temperatura a bulbo umido di 26 o 27 gradi: il limite massimo per l’abitabilità è 35. Ma il cosiddetto stress da calore arriva molto prima. In realtà ci siamo quasi. Dal 1980 il numero di località del mondo che sperimentano temperature estreme è aumentato di 50 volte, e ci si aspetta un ulteriore rialzo. In Europa le cinque estati più calde dal 1500 si sono verificate tutte dopo il 2002 e, secondo l’IPCC, presto uscire di casa in quella stagione sarà pericoloso in tutto il mondo. Anche se rispetteremo il limite di due gradi di riscaldamento previsto dall’accordo di Parigi, città come Karachi e Kolkata diventeranno quasi inabitabili, perché ogni anno saranno investite da ondate di calore letali come quella del 2015. Con un riscaldamento di quattro gradi, la terribile ondata di calore europea del 2003, che uccise fino a 2000 persone al giorno, diventerà la norma. Con sei gradi in più, secondo una proiezione della National Oceanic and Atmospheric Administration, nella bassa valle del Mississippi d’estate non sarà più possibile lavorare. (…) . L’aria condizionata potrà essere d’aiuto, ma non farà che peggiorare il problema del carbonio. Inoltre, a parte i centri commerciali climatizzati degli Emirati Arabi, è impensabile condizionare l’aria di tutte le zone più calde del mondo, molte delle quali sono anche le più povere. La crisi più grave sarà in Medio Oriente e nel Golfo Persico, dove nel 2015 la temperatura percepita ha toccato i 72 gradi. Tra qualche decennio il pellegrinaggio alla Mecca sarà fisicamente impossibile. Ma il caldo ci sta già uccidendo. Nella regione del Salvador, dove si coltiva la canna da zucchero, un quinto della popolazione e un quarto dei maschi soffre di malattie renali croniche, presumibilmente a causa della disidratazione che subiscono nei campi dove venti anni fa lavoravano tranquillamente. E naturalmente lo stress da calore non colpisce solamente i reni. (…). Niente da mangiare. I climi sono diversi e le piante variano da regione e regione, ma la regola base per i cereali comuni è che per ogni grado in più rispetto alla temperatura ottimale i raccolti diminuiscono del 10 per cento e secondo alcune stime del 15 o del 17. Questo significa che se alla fine del secolo la temperatura del pianeta sarà aumentata di cinque gradi, potremmo avere il 50 per cento in meno di cereali per sfamare una popolazione mondiale che nel frattempo sarà cresciuta del 50 per cento. E per le proteine sarà anche peggio: per produrre una sola caloria di carne , macellata da una mucca che ha passato la vita a inquinare l’aria con le sue emissioni di metano, ci vogliono 16 calorie di cereali. Gli agronomi più ottimisti dicono che questo calcolo si applica solo alle regioni dove la temperatura è ottimale, e hanno ragione: in teoria un clima più caldo renderà più facile coltivare mais in Groenlandia. Ma come hanno dimostrato gli studi di Rosamond Naylor e David Battisti, ai tropici fa già troppo caldo per coltivare i cereali in modo efficiente, e i posti dove vengono prodotti oggi hanno già raggiunto la temperatura ottimale, il che significa che anche un piccolo aumento provocherà un declino della produttività. E non è facile spostare i campi più a nord di qualche centinaio di chilometri, perché in paesi come il Canada e la Russia i raccolti sono condizionati dalla qualità del terreno: ci vogliono secoli perché la terra diventi fertile. (…) La siccità potrebbe essere un problema ancora più grave del caldo: alcune delle migliori terre coltivabili potrebbero rapidamente trasformarsi in deserti. E’ difficile costruire modelli sulle precipitazioni, ma le previsioni per la fine del secolo sono quasi unanimi: siccità senza precedenti in quasi tutte le regioni dove oggi si concentra la produzione alimentare. Senza una drastica riduzione delle emissioni, entro il 2080 l’Europa meridionale sarà perennemente colpita dalle siccità. Lo stesso succederà in Iraq, in Siria, e in quasi tutto il Medio Oriente , in quasi tutte le zone più densamente popolate dell’Australia, dell’Africa e del Sudamerica e nelle regioni agricole della Cina. Nessuno di questi luoghi, che oggi riforniscono la maggior parte del mondo, costituirà più una fonte affidabile di cibo. Non dimentichiamoci che sul nostro pianeta la fame esiste già. Secondo la maggior parte delle stime, nel mondo ci sono 800 milioni di persone denutrite. In caso non ne abbiate sentito parlare, la scorsa primavera c’è già stata una carestia senza precedenti in Africa e nel Medio Oriente. Secondo l’Onu nel 2017 le carestie in Somalia, Sud Sudan, Nigeria e Yemen potrebbero uccidere 20 milioni di persone. (…) In realtà lo zika potrebbe essere un buon esempio del secondo aspetto del problema: la mutazione. Uno dei motivi per cui non ne avevamo sentito parlare prima è che era intrappolato in Uganda, un altro è che fino a poco fa non sembrava provocasse difetti alla nascita. Gli scienziati non hanno ancora capito che è successo, ma ci sono cose che sappiamo per certe su come il clima influisce su alcune malattie. La malaria, per esempio, prospera nelle regioni più calde non solo perché le zanzare che la trasmettono vivono lì, ma anche perché ad ogni grado di aumento della temperatura il parassita si riproduce dieci volte più rapidamente. E questo è uno dei motivi per cui la Banca Mondiale calcola che entro il 2050 dovranno farci i conti 5,2 miliardi di persone. (…) Aria irrespirabile. La percentuale di anidride carbonica nell’aria sta aumentando: ha appena superato le 400 parti su un milione e, secondo le stime più alte estrapolate dalle tendenze attuali, entro il 2100 arriverà a mille. A quella concentrazione, rispetto all’aria che respiriamo adesso, le capacità cognitive umane calerebbero del 21 per cento. Nell’aria ci sono cose anche peggiori: piccoli aumenti dell’inquinamento possono accorciare la vita di dieci anni. L’aumento della temperatura provoca un aumento dell’ozono e, secondo le proiezioni del National Center for Atmospheric Research, verso la metà del secolo probabilmente negli Stati Uniti ci sarà un aumento del 70 per cento dell’inquinamento da ozono. Nel 2090 due miliardi di persone in tutto il mondo respireranno aria che non rientra negli standard di sicurezza stabiliti dall’OMS. (…) Il particolato sottile dovuto ai combustibili fossili uccide già più di diecimila persone al giorno. Ogni anno 339mila persone muoiono a causa del fumo degli incendi , anche perché il cambiamento climatico ha allungato la stagione degli incendi nei boschi (negli Stati Uniti dal 1970 è aumentata di 78 giorni). Secondo il Servizio Forestale degli Stati Uniti, entro il 2050 gli incendi saranno due volte più distruttivi di oggi, e in alcune regioni le aree bruciate potrebbero aumentare di cinque volte. Ma quello che preoccupa di più è l’effetto di questo sulle emissioni, soprattutto quando gli incendi distruggono foreste che sorgono sulla torba. Nel 1997, per esempio, gli incendi scoppiati nelle torbiere dell’Indonesia hanno fatto aumentare di quasi il 40 per cento le emissioni globali di anidride carbonica. Gli incendi aumentano il riscaldamento, che a sua volta fa aumentare gli incendi. C’è anche la terrificante possibilità che foreste pluviali come quella amazzonica – che nel 2010 ha subito la seconda grave siccità in cinque anni – possano prosciugarsi abbastanza da diventare soggette a questo tipo di incendi, che non solo rilascerebbero un’enorme quantità di carbonio nell’atmosfera ma ridurrebbero anche le dimensioni delle foreste stesse. E’ un problema serio, poiché la foresta amazzonica produce da sola il 20 per cento del nostro ossigeno. (…) Poi ci sono le forme d’inquinamento più familiari. Nel 2013, lo scioglimento dei ghiacci artici ha modificato l’equilibrio meteorologico dell’Asia, privando le industrie cinesi dei sistemi di ventilazione naturali sui quali facevano affidamento e avvolgendo il nord del paese in uno smog irrespirabile. Secondo un sistema di misurazione dei rischi chiamato indice della qualità dell’aria, nella fascia che va da 301 a 500 si verifica “un serio aggravamento delle malattie cardio respiratorie e una mortalità prematura tra le persone affette da quelle malattie e tra gli anziani”, mentre gli altri “rischiano di avere seri problemi respiratori”. A quel livello “tutti dovrebbero evitare di fare sforzi fisici all’aperto”. Nel 2013 in Cina l’aria ha raggiunto un indice superiore a 800. Quell’anno lo smog ha causato un terzo delle morti nel paese.(…) Guerra perpetua. Quando parlano della Siria i climatologi sono molto cauti. Dicono che, anche se il cambiamento climatico ha provocato la siccità che ha contribuito alla guerra civile, non è esatto affermare che il conflitto è frutto del riscaldamento globale. Anche nel vicino Libano , per esempio, la siccità ha distrutto i raccolti. Ma ricercatori come Marshall Burke e Solomon Hsiang sono riusciti a tradurre in cifre alcuni rapporti meno ovvi tra temperatura e violenza: per ogni mezzo grado in più, dicono, la probabilità di conflitti armati aumenterà dal 10 al 20 per cento. In climatologia niente è semplice, ma la matematica è inesorabile: in un pianeta di cinque anni più caldo ci sarebbe almeno metà delle guerre in più rispetto a oggi. Nel complesso, in questo secolo i conflitti sociali potrebbero più che raddoppiare. (…) Anche la ricerca più interessante sull’economia del riscaldamento globale è opera di Hsiang e dei suoi collaboratori, che non sono storici del capitalismo fossile ma sono giunti a conclusioni piuttosto sconsolanti: ogni grado di riscaldamento costa in media l’1,2 per cento del Pil (una cifra enorme, se si pensa che consideriamo “forte” una crescita del Pil a una cifra). Questi sono i risultati della ricerca sul campo, e la loro proiezione mediana è il 23 per cento di perdita dei guadagni pro capite in tutto il mondo entro la fine del secolo(causata dai cambiamenti in agricoltura, dal tasso di criminalità, dai fenomeni atmosferici e dalla mortalità). Se si prova a seguire la curva delle probabilità ci si spaventa ancora di più: c’è un 12 per cento di probabilità che il cambiamento climatico riduca la produzione globale di più del 50 per cento entro il 2100 e, se le emissioni non saranno ridotte , c’è il 51 per cento di probabilità che il Pil pro capite scenda del 20 per cento, se non di più. Per farsi una idea, la crisi economica cominciata nel 2007 ha ridotto il Pil globale di circa il 6 per cento. Secondo Hsiang e i suoi collaboratori c’è una probabilità su otto che entro la fine del secolo si verifichi un effetto irreversibile otto volte più grande. E’ difficile immaginare le proporzioni di una tale devastazione economica, ma possiamo immaginare come sarebbe il mondo oggi con una economia dimezzata, che producesse solo la metà e quindi avesse la metà da offrire a tutti i lavoratori del mondo. Questo fa sembrare economicamente assurda l’idea di rimandare l’intervento pubblico e affidare la riduzione delle emissioni alla crescita e alla tecnologia. E non dimentichiamo che ogni biglietto di andata e ritorno da New York a Londra costa all’Artico tre metri quadrati di ghiaccio.(…) Ma più di metà del carbonio che l’umanità ha immesso nell’atmosfera in tutta la sua storia è stato emesso negli ultimi trent’anni e l’85 per cento dalla fine della seconda guerra mondiale. Questo significa che nell’arco di una sola generazione il riscaldamento globale ci ha portato sull’orlo della catastrofe planetaria, e che la storia della missione kamikaze del mondo industriale è anche la storia di una singola vita. (…) Gli scienziati sanno che anche solo per raggiungere gli obiettivi di Parigi, entro il 2050 le emissioni industriali di carbonio che sono tuttora in aumento, dovranno dimezzarsi ogni dieci anni. Le emissioni dovute allo sfruttamento della terra (deforestazione, emissioni di metano da parte dei bovini e così via) dovranno essere azzerate. E dovremo inventare una tecnologia in grado di assorbire ogni anno dall’atmosfera il doppio del carbonio che oggi assorbono le piante in tutto il mondo. (…) (Internazionale n.1224, 29 settembre 2017, pag.49-58)
- Mar Caspio. Una maggiore evaporazione, causata da temperature superiori alla media, ha portato le acque del mar Caspio ai livelli più bassi dagli anni settanta. (Internazionale n. 1224, 29 settembre 2017, pag.116).
Foreste e incendi, miniere e suolo
- Piromani scatenati, è l’estate più nera. Ogni giorno decine di interventi per spegnere incendi boschivi o anche solo di sterpaglie per lo più dolosi. In due mesi e mezzo – dal 15 giugno, inizio del piano antincendio boschivo, al 31 agosto – i vigili del fuoco ne hanno portato a termine 8636 solo a Roma e provincia. In 76 giorni. Ovvero113 ogni 24 ore, quattro ogni 60 minuti. Un record senza precedenti nemmeno con il 2014 o il caldissimo 2003, oppure con l’anno scorso, quando nello stesso periodo il comando provinciale di via Genova è stato chiamato in azione 4316 volte. In pratica la metà del 2017. Un’estate nera, quindi, infuocata, che nemmeno la pioggia caduta già due volte in pochi giorni sulla Capitale potrà far dimenticare. Nel Lazio poi la situazione non è andata certo meglio, al punto che la regione è schizzata a sorpresa in testa alla classifica di quelle maggiormente colpite dai roghi, addirittura davanti a Sicilia e Calabria, che di boscaglia in fiamma purtroppo se ne intendono: 14.939 gli interventi dei pompieri (il 15% circa degli 88.790 svolti su tutto il territorio nazionale), in media 196 al giorno, con una netta prevalenza sul territorio immenso della provincia di Roma. (…) Nel 2016, sempre a livello regionale, gli incendi domati dai pompieri erano stati “appena” 7136. Una stagione difficile da affrontare ma pur sempre in linea con le medie degli ultimi anni. Questa volta invece non è stato così. Il 2017 ha fatto segnare una decisa inversione di tendenza favorita dalla quasi totale mancanza di precipitazioni (a Roma non è piovuto dal 19 maggio, per 105 giorni di seguito), dalla siccità che ha portato anche a gravi problemi di rifornimento idrico, e sicuramente dall’azione degli incendiari. Particolarmente colpita la provincia di Frosinone, tanto che dai tremila ettari andati in fumo di inizio agosto si è passati a quasi settemila, ma un prezzo salato è stato pagato anche da Viterbo, Rieti e Latina. (…) (Corriere della Sera, 4 settembre 2017, pag. 2 e 3).
- Sul Monviso, niente acqua dove nasce il Po. La siccità ha colpito anche le sorgenti del Po. Il fiume più lungo d’Italia nasce in Piemonte ai 2020 metri di Pian del Re, ma negli ultimi giorni le rocce dalle quali sgorga l’acqua sono asciutte. Non è la prima volta ma è un fatto molto raro. Poco più a valle alcuni ruscelli che si originano da altre fonti riformano il corso d’acqua che scende dal Monviso. In Italia, secondo dati del Cnr, le precipitazioni da dicembre ad agosto hanno registrato un deficit del 40% sulla media. (Corriere della Sera, 6 settembre 2017, pag. 21 , con foto)
- Il 3 agosto il ministro delle finanze Rodrigo Valdès e quello dell’economia Luis Felipe Cèspedes si sono dimessi in polemica con la presidente Michelle Bachelet. Pochi giorni prima, su richiesta del ministro dell’ambiente Marcelo Mana, era stato bocciato un progetto minerario nella regione di Coquimbo. (Internazionale n.1221, 8 settembre 2017, pag.31)
- Caffè. Il cambiamento climatico potrebbe mettere a rischio la produzione del caffè in America Latina. Secondo Pnas, l’aumento delle temperature potrebbe rendere inadatte alla coltivazione molte zone, soprattutto quelle a bassa quota in Nicaragua, Honduras e Venezuela. Secondo alcune stime, le superfici adatte alla coltivazione del caffè potrebbero ridursi delll’88% entro il 2050. E’ possibile che anche le popolazioni di api che impollinano le piante di caffè, risentano del cambiamento climatico. Una soluzione potrebbe essere coltivare piante locali per sostenere le api e limitare l’uso di pesticidi. Secondo lo studio, è possibile però che altre aree dell’America Centrale diventino più adatte alla coltivazione del caffè. (Internazionale n. 1222, 15 settembre 2017, pag. 112)
- L’estrazione della sabbia mette a rischio la biodiversità. (…) La sabbia fa gola ai bambini e alle loro palette, ma soprattutto all’edilizia, che solo in Italia ne consuma circa cento milioni di tonnellate l’anno. Secondo una ricerca pubblicata dalla rivista Science, il suo iper- sfruttamento rappresenta un’emergenza globale. Complice il massiccio spostamento delle popolazioni verso le città, il fabbisogno di materiale da costruzione è in vertiginoso aumento. Per costruire un palazzo di medie dimensioni, occorrono tremila tonnellate di sabbia. Per un chilometro di autostrada, dieci volte di più. “Tra il 1900 e il 2010, il volume di risorse naturali sfruttate nell’edilizia e nelle infrastrutture dei trasporti è aumentato di 23 volte. La sabbia e la ghiaia ne rappresentano la maggior parte (l’80% del totale, cioè 28,6 miliardi di tonnellate l’anno)”, riportano i membri della collaborazione Germania – Usa che ha firmato la ricerca. Le conseguenze per l’ecosistema sono catastrofiche. L’estrazione incontrollata della sabbia mette a rischio la biodiversità, causando l’estinzione di alcune specie, come una ormai rara popolazione di delfini fluviali in India, oppure la diffusione di specie invasive – se la “vongola asiatica” è ormai diffusa dal nord america ai fossi del bresciano, lo si deve alle navi che trasportano sabbia (vongole comprese) attraverso gli oceani. Inoltre, ed è un tema di strettissima attualità, le pozze d’acqua che rimangono nei fiumi devastati dall’estrazione della sabbia sono un bacino perfetto per le zanzare che trasmettono la malaria. In alcune regioni, dall’Iran all’Africa occidentale, la diffusione della malaria e di altre malattie e le attività di estrazione della sabbia appaiono strettamente correlate. Anche il territorio, soprattutto in aree povere della Terra, ne appare devastato. In Indonesia, una ventina di isole sono letteralmente sparite, scavate via per trasformarsi nelle nuove terre che la città-stato di Singapore si sta costruendo intorno. Persino nei paesi arabi la sabia arriva dalle coste dell’oceano indiano, in quanto quella proveniente dal deserto non è adatta a trasformarsi in cemento. In totale, si tratta di un’industria globale da 70 miliardi di dollari all’anno. (…) Qualche governo, soprattutto nei paesi più avanzati, sta prendendo provvedimenti. Alla fine di luglio, lo stato della California ha deciso la chiusura dell’ultima miniera di sabbia rimasta sulle spiagge degli Stati Uniti, nella baia di Monterrey. La sabbia, però, è preda anche delle organizzazioni criminali. Le “sand mafia” si stanno diffondendo in tutto il mondo. Il fenomeno è radicato e pericoloso soprattutto in India. (…) Anche in Italia questa particolare forma di ecomafia ha dimensioni ragguardevoli. Tuttavia, lamentano Rege e Lavorgna, non c’è una conoscenza quantitativa precisa sul traffico illegale di sabbia in Italia, strettamente controllato da camorra e n’drangheta. ( Il Manifesto, 8 settembre 2017, pag.11)
- Un incendio sull’Isola di Gran Canaria, in Spagna, ha causato la morte di una donna e costretto centinaia di persone a lasciare le loro case. Le fiamme hanno distrutto 2700 ettari di vegetazione. (Internazionale n.1224, 29 settembre 2017, pag.116)
- 2100, l’Italia sott’acqua. Ecco i 33 punti lungo le nostre coste a rischio anche per una mareggiata. Per la laguna di Venezia o il delta del Po te lo aspetti. Nel 2100, nello scenario peggiore, il livello del mare si alzerà di oltre un metro e mezzo, in quello migliore di appena 30 centimetri. (…) Le stime accanto alle località incutono timore: sono 33 aree “sensibili” alle mareggiate, zone già sotto il livello del mare che rischiano di sprofondare, 7500 chilometri quadrati di coste che tra ottant’anni potremmo vedere sommerse. (…) (Corriere della Sera, 30 settembre 2017, pag. 21; con cartina della crescita del livello delle acque nel 2100).
- Il sole c’è, basta sfruttarlo. Nel mondo ci sono 22 isole già impegnate ad arrivare ad alimentarsi con il 100% di energie rinnovabili, in Italia invece le venti isole minori , pur avendo ottime potenzialità, restano indietro. Le fonti verdi infatti contribuiscono ala produzione elettrica in minima percentuale (non si arriva al 4%), mentre nel resto dell’Italia si è al 35%. (…) (Io Donna, 30 settembre 2017, pag. 220)
Perdita di biodiversità
- E l’America si divise sul pangolino squamoso. Negli ultimi mesi la autorità doganali dell’aeroporto malese di Kuala Lumpur hanno sequestrato almeno una tonnellata di squame animali provenienti dall’Africa, per un valore di milioni di dollari. Utilizzate nella medicina tradizionale cinese e vietnamita, appartengono all’unico mammifero che ha il corpo letteralmente corazzato: il pangolino. Quando è minacciato, questo “formichiere squamoso” (ha una lingua lunga anche più del corpo con cui cattura termiti e formiche, ma non è parente del formichiere) si chiude in una palla e la sua armatura lo rende invulnerabile ai predatori. Con una eccezione, l’uomo. I pangolini, genere Manis, vivono tra Asia e Africa e sono gli animali più trafficati del mondo: tutte le otto specie sono minacciate di estinzione . In dieci anni ne sono stati uccisi un milione di esemplari, tanto che nel 2016 le 182 nazioni aderenti alla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (Cites) hanno deciso all’unanimità di metterne al bando il commercio. “Nella medicina tradizionale le scaglie dei pangolini, fatte di cheratina, sono usate per stimolare la produzione di latte nelle donne, migliorare la circolazione, ridurre il gonfiore delle ferite , curare il cancro. In Africa, poi, la carne di pangolino viene consumata regolarmente e in alcune culture si crede assicuri una vita lunga e in salute”. A parlare è Justin Miller, fondatore dell’organizzazione no profit Pangolin Conservation, che ha sede in Florida e fa parte, assieme a sei zoo statunitensi, di un consorzio impegnato nella protezione di questi animali. (Il Venerdì di Repubblica, 1 settembre 2017, pag. 64)
- Gufi a rischio estinzione per l’effetto Harry Potter. In Asia la vendita (spesso illegale) di gufi e civette come animali da compagnia è aumentata a dismisura dopo il successo dei libri e dei film della saga di Harry Potter. Lo denunciano due studiosi di Oxford, che hanno analizzato la presenza di questi piccoli rapaci notturni nei mercati a Giava e a Bali (Indonesia), dove sono posti in vendita a prezzi tra i 10 e i 30 dollari. (…) (Corriere della Sera, 2 settembre 2017, pag. 21)
- Sting rimane senza miele, in Toscana la produzione è calata dell’80 per cento. (…) Per l’apicoltura italiana è stata l’estate più fragile a memoria d’uomo: “La produzione è calata in media del 70 per cento con punte dell’80 per cento in Toscana, ma non è solo un problema di produzione del miele. Adesso si rischia il disastro ambientale perché con la siccità i fiori non secernono più nettare e polline e le piante, in particolare quelle arboree, sono in una situazione di perenne sofferenza. Secondo Arpat (l’associazione toscana degli apicoltori) le api, falcidiate da una moria causata dai pesticidi e ora impazzite per il clima anomalo, non riescono a impollinare e la perdita di fertilità delle piante rischia di aumentare l’effetto desertificazione. (…) (Corriere della Sera, 7 settembre 2017, pag. 25, con dati sulla produzione e il numero degli apicoltori)
- Biodiversità. In due anni di ricerche in Amazzonia sono state scoperte 381 nuove specie di piante e animali, in media una ogni due giorni: 216 piante,93 pesci, 32 anfibi, 20 mammiferi, 19 rettili e un uccello. Tra le scoperte più sorprendenti ci sono un delfino di fiume di colore rosa, che conta circa mille esemplari, una scimmia chiamata coda di fuoco (per il colore rosso brillante) e un uccello che vive tra Brasile, Perù ed Ecuador chiamato Nystalus obamai in omaggio all’ex presidente statunitense Barack Obama. Il problema, denuncia il rapporto del Wwf, è che quasi tutte le nuove specie sono state individuate in aree ad alto rischio a causa di attività umane , come la costruzione di strade e dighe. (Internazionale n.1221, 8 settembre 2017, pag. 102)
- Orsi e lupi. Il ministero dell’ambiente romeno ha autorizzato l’abbattimento di 140 orsi e 97 lupi, ignorando le proteste del Wwf. Secondo il governo l’abbattimento, motivato dai danni provocati di recente dagli animali, non metterà in pericolo la conservazione delle due specie. (internazionale n. 1221, 8 settembre 2017, pag. 102)
- Molti parassiti potrebbero estinguersi a causa del cambiamento climatico. Le proiezioni, basate sull’analisi della distribuzione geografica di 457 specie, prevedono la scomparsa di decine di specie entro il 2070, scrive Science Advances. In alcune regioni la biodiversità potrebbe però aumentare ,perché gli ecosistemi temperati potrebbero attirare i parassiti delle aree tropicali. (Internazionale n. 1222, 15 settembre 2017, pag. 112)
- Nove elefanti, fuggiti da una riserva in Botswana sono morti fulminati dopo aver travolto dei cavi dell’alta tensione. (Internazionale n. 1224, 29 settembre 2017, pag. 116)
- Il Giappone ha annunciato l’uccisione di 177 balenottere nel corso di una campagna estiva. La caccia è ufficialmente vietata, ma Tokyo sostiene che la campagna aveva “scopi scientifici”. (Internazionale n.1124, 29 settembre 2017, pag. 116).
Salute globale
- Arsenico nell’acqua. E’ possibile che tra 50 e 60 milioni di persone in Pakistan bevano acqua con una concentrazione eccessiva di arsenico. In uno studio pubblicato su Science Advances sono stati analizzati i campioni di acqua prelevati tra il 2013 e il 2015 da circa 1200 impianti nel sottosuolo. I ricercatori hanno poi sovrapposto la mappa della concentrazione di arsenico a quella della densità della popolazione. L’area colpita è quella della pianura dell’Indo, nell’est del paese. La pianura, fertile ma arida, è irrigata grazie ad un sistema di canali collegati al fiume. L’acqua usata per irrigare penetra in profondità e trasporta l’arsenico, presente nel suolo, fino alle falde. Il problema interessa grandi città come Karachi e Islamabad, ma soprattutto Lahore e Hyderabad. Spesso nei centri urbani mancano sistemi efficaci di eliminazione dell’arsenico. L’acqua contaminata è un problema sanitario perché a lungo termine può causare malattie della pelle, cancro e disturbi cardiovascolari, ma il pericolo immediato è la contaminazione batterica, scrivono gli autori. Il problema dell’arsenico riguarda anche altri fiumi del mondo, come il gange, il Brahmaputra, il Fiume Rosso e il Mekong. (Internazionale n.1220, 1 settembre 2017, pag. 103).
- La plastica che beviamo. “E’ nell’80 per cento delle acque potabili”. Prima indagine internazionale sulla contaminazione da micro-fibre sintetiche. Da New York a Nuova Delhi ecco cosa esce dai rubinetti. Washington. Dai rubinetti di casa di tutto il mondo sgorgano fibre di plastica microscopiche. E’ quanto emerge dall’analisi di 159 campioni di acqua potabile di città grandi e piccole nei cinque continenti: l’83 per cento di questi campioni, compresa l’acqua che esce dai rubinetti del Congresso degli Stati Uniti e della sede dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente, a Washington e quella del ristorante Trump Grill nella Trump Tower , a New York; conteneva microscopiche fibre di plastica. (Comunemente con questo termine si intendono i frammenti di plastica di dimensioni inferiori a 5 millimetri). La ricerca originale è stata condotta da Orb Media, un sito di informazione non profit di Washington. Lavorando insieme ai ricercatori dell’Università statale di New York e dell’Università del Minnesota, la orb media ha trovato tracce di microplastiche nell’acqua potabile proveniente da tutto il mondo. E se ci sono nell’acqua di rubinetto probabilmente ci sono anche nei cibi preparati con l’acqua, come pane, pasta, zuppa e latte artificiale, dicono i ricercatori. (…) Gli scienziati non sanno in che modo le fibre di plastica arrivino nell’acqua di rubinetto, o quali possano essere le implicazioni per la salute. Qualcuno sospetta che possano venire dai vestiti sintetici o dai tessuti usati per tappeti o tappezzeria. Il timore è che queste fibre possano veicolare sostanze chimiche tossiche, come una sorta di navetta che trasporta sostanze pericolose dall’acqua dolce al corpo umano. (…) Dei 33 campioni prelevati in varie città degli Stati Uniti, il 94% è risultato positivo alla presenza di fibre di plastica, la stessa media dei campioni raccolti a Beirut, la capitale del Libano. Fra le altre città prese in esame, figurano Nuova Delhi in India, (82 per cento), Kampala in Uganda, (81%), Gakarta in Indonesia, (76%), Quito in Ecuador, (75%), e varie città dell’Europa (72% ). (…) Il mondo sforna ogni anno 300 milioni di tonnellate di plastica. Oltre il 40 per cento di tutta questa materia viene usata una volta soltanto, spesso per meno di un minuto, e poi buttata via. Ma la plastica rimane nell’ambiente per secoli. Secondo un recente studio, dagli anni ’50 a oggi sono stati prodotti in tutto il mondo oltre 8,3 miliardi di tonnellate di plastica. Migliaia di miliardi di pezzettini di questo materiale sono disseminati sulla superfice dell’oceano. Le riceche hanno trovato fibre di plastica dentro i pesci venduti nei mercati, nel Sud Est asiatico, nell’Africa orientale e in California. (…) In realtà, c’è una fonte di inquinamento da fibre di plastica confermata, e probabilmente l’avete indosso. Gli indumenti sintetici emettono fino a 700.000 fibre a lavaggio, secondo quanto scoperto dai ricercatori dell’Università di Plymouth. Gli impianti di depurazione delle acque reflue negli Stati Uniti ne intercettano oltre la metà : il resto finisce nei corsi d’acqua, per un totale di 29.000 chilogrammi di microfibre di plastica al giorno. Alcuni esperti ritengono che queste fibre vengano portate dai sistemi idrici negli insediamenti più a valle ed entrino nelle case attraverso le condutture. “Siamo tutti a valle di qualcuno”, sottolinea la Mason. (…) Restano molte incognite. Quanto è grande il pericolo se, per esempio, le fibre di plastica assorbono perturbatori endocrini, che alterano i sistemi ormonali degli esseri umani e della fauna selvatica, prima di essere consumate attraverso l’acqua potabile? “Non abbiamo mai veramente preso in considerazione questo rischio prima”, dice Tamara Galloway, ecotossicologa all’Università di Exeter. (…) I punti interrogativi più grandi, però, riguardano gli effetti sulla salute. Un rapporto dell’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) l’anno scorso, e uno della Fao quest’estate, ammettono che della questione sappiamo davvero troppo poco (qualche studio sui pesci) . “Pensavamo che le microplastiche fossero inerti. Ma ci stiamo accorgendo che potrebbe non essere così”, spiega Regoli, “parliamo di quantità piccolissime di un problema che forse non è acuto, ma che non possiamo trascurare, soprattutto per il futuro” . (La Repubblica, 6 settembre 2017, pag. 20 e 21, con molti dati e suggerimenti).
- La zanzara venuta in valigia, l’insetto italiano o il sangue, le tre ipotesi sull’infezione. (La Repubblica, 6 settembre 2017, pag. 15, dossier con molti dati; vedi anche Corriere della Sera dello stesso giorno, pag. 6 e il giorno successivo, pag. 8 e 9, e poi ancora il giorno 9, pag. 21)
- La cura genetica da 475.000 dollari batte la leucemia con una puntura. Approvata dalle Autorità americane. Terapia efficace in 8 casi su 10. (…) La cura consiste nel prelevare dal sangue di questi malati un tipo particolare di globuli bianchi, i linfociti T, e attrezzarli con un recettore (CAR-T) che riconosca una particolare proteina, l’antigene, sulla superfice delle cellule leucemiche, proprio come una serratura riconosce la sua chiave. Riconoscere quelle cellule per i linfociti T è il primo passo per ucciderle. La novità piuttosto entusiasmante di ieri è che l’Fda ha approvato questo trattamento e ha dato il via libera a Novartis perché lo possa commercializzare. I medici degli ospedali autorizzati a farlo prelevano i linfociti T dai loro pazienti, li congelano e spediscono nel New Jersey dove vengono “ingegnerizzati” e moltiplicati, fino ad arrivare a centinaia di milioni di cellule, tutte uguali, tutte attrezzate per distruggere il tumore: per fare tutto questo servono 22 giorni di lavoro. Le cellule vengono poi rispedite a quell’ospedale, iniettate a quell’ammalato e nel suo organismo continuano a moltiplicarsi così da essere pronte se dovesse servire dopo mesi e anche dopo anni. Questa cura ha consentito a 8 bambini su dieci, che se no sarebbero morti tutti, di star bene per almeno tre mesi senza nessun segno di malattia. Certo, bisognerà vedere cosa succede tra qualche annoe qualcuno di questi bambini è già ricaduto, ma è comunque un risultato impressionante. Effetti negativi ? Sì e anche importanti. . si abbassa la pressione, possono esserci febbre e congestione polmonare e soprattutto problemi neurologici. E’ perché nell’impresa tutt’altro che facile di uccidere le cellule leucemiche , i linfociti T sintetizzano e liberano sostanze che compromettono altre funzioni. Ma a questo, in mani esperti e con i farmaci che abbiamo oggi, si rimedia. Resta il problema dei costi: 475.000 dollari per ciascun paziente senza contare i costi dell’ospedalizzazione e i viaggi. “Ma – dicono i responsabili di Novartis –il trapianto di midollo che si fa per guarire leucemie e linfomi costa ancora di più, da 550 a 800mila dollari”. (…) Corriere della Sera, 1 settembre 2017, pag. 17)
- Chikungunya, 4 casi a Roma. Ipotesi di stop alle donazioni. I casi nel Lazio salgono quindi a sette in tutto, “secondo i dati raccolti fino ad oggi” dice la regione. I quattro campioni “romani”, rinvenuti in quartieri centrali come San Giovanni, sono già all’Istituto per le malattie infettive Spallanzani, dal quale oggi dovrebbe uscire il responso sul tasso di positività. La Chikungunya porta febbre alta e forti dolori a ossa e articolazioni che spesso bloccano il paziente aletto. Non è la prima volta che compare in Italia, già nell’agosto del 2007 erano stati notificati i primi casi autoctoni in Emilia e Romagna, circa 250, e si registrò un decesso, una donna che soffriva anche di altre malattie. Le persone colpite dalla malattia nella zona del comune di Anzio stanno bene, ma sono state bloccate le donazioni di sangue per 28 giorni per chi ha soggiornato nel comune. La regione Lazio ha ordinato al comune di Anzio di procedere alla disinfestazione. E così sta facendo adesso con il Campidoglio, sottolineando la richiesta fatta due volte dalla Asl di Roma, di procedere con il piano straordinario di disinfestazione. (…) (Corriere della Sera, 12 settembre 2017, pag. 23)
- L’allarme di Bill Gates “Non facciamoci illusioni: senza fondi e senza impegno le malattie aumenteranno”. “Il progresso nella lotta contro la povertà e le malattie endemiche è possibile ma non è scontato. Meglio non farsi illusioni, soprattutto ora che alcuni Paesi tendono a ridurre il loro impegno: abbiamo fatto molta strada nell’impegno contro L’Aids così come contro altre malattie endemiche , dalla malaria alla tubercolosi, ma il progresso non è inevitabile. Sul fronte dell’Aids, ad esempio, da qui al 2030 avremo ben 5 milioni di morti in più se si materializzerà un taglio dell’assistenza del 10 per cento, la riduzione di fondi che si sta delineando in varie realtà. (…) Dieci anni fa il fondatore di Microsoft ha abbandonato ogni carica aziendale per dedicarsi a tempo pieno alla filantropia con risultati che hanno sorpreso il mondo: i successi nella lotta contro l’Aids (morti dimezzate dal 2005 a oggi) ottenuti soprattutto in Africa , in paesi disastrati come il Malawi, la forte riduzione della mortalità infantile, l’arretramento delle altre malattie endemiche, vengono attribuiti in buona misura all’impegno della Bill e Melinda Gates Foundation. Ma con i successi è arrivato anche il calo di attenzione dei paesi ricchi del mondo che, alle prese con problemi di bilancio, hanno cominciato a tagliare i contributi allo sviluppo. Il problema sta diventando drammatico ora che, con Donald Trump alla Casa Bianca, anche gli Stati Uniti, di gran lunga il maggior contribuente dei fondi per l’assistenza ai paesi poveri, hanno cominciato a tagliare i contributi. Così la Fondazione ha deciso di aggiungere alla sua attività sul campo una campagna planetaria d’informazione basata su un rapporto sullo stato di salute del mondo che verrà pubblicato ogni anno da qui al 2030. (…) “E’ vero, negli ultimi anni abbiamo registrato progressi incredibili, grazie anche alla straordinaria generosità dei donatori. La mortalità infantile, ad esempio, si è ridotta di sei milioni di bimbi l’anno dal 1990 ad oggi. Ora, però, si delineano nuovi ostacoli e sarà più difficile su quegli altri cinque milioni che ancora scompaiono in tenera età. In aree come l’Hiv e la malaria le terapie delle quali disponiamo oggi stanno diventando meno efficaci perché gli organismi hanno sviluppato una certa resistenza ai nuovi farmaci. E rischiamo una recrudescenza dell’Aids già per l semplice fatto che nei prossimi anni crescerà di molto, per via dei fattori demografici, il numero delle persone nella classe di età a maggior rischio: quella tra i 16 e i 24 anni. Fenomeni che andrebbero contrastati con uno sforzo aggiuntivo, mentre quello che vediamo è un cambiamento del clima politico, una minor sensibilità”. (…) (Corriere della Sera, 13 settembre 2017, pag. 2 e 3, con grafici sull’andamento delle principali cause di morte)
- La strage del dieselgate, in Italia il record di decessi. La pianura padana si conferma come uno dei territori più inquinati del mondo. (…) Un peccato anche che solo le emissioni in eccesso di ossido d’azoto dei motori diesel (quelle scandalosamente non dichiarate dai test di certificazione ufficiale) abbiano ucciso 4560 persone all’anno in Europa (in Italia 1920, record europeo di decessi, seguono la Germania con 960 e la Francia con 680). Un mucchio di cadaveri ogni anno. Poi ci sono le uccisioni normali, quelle senza “trucco”, che incredibilmente non creano nessun allarme sanitario e sociale: i paesi con il maggio numero di morti premature attribuibili al particolato fine emesso dai veicoli diesel sono l’Italia, (2810 nel 2013), la Germania (2070) e la Francia (1430). In totale sono diecimila morti all’anno in Europa e e circa la metà sarebbero evitabili se le emissioni reali rientrassero almeno nei valori limite stabiliti per legge. (…) In totale, spiegano i ricercatori norvegesi, ogni anno in Europa ci sono circa 425mila decessi prematuri causati dall’inquinamento atmosferico. La quasi totalità di queste morti sono provocate da malattie respiratorie e cardiovascolari. Un altro rapporto, pubblicato sempre ieri dalla Ong Transport & Environment,. Un automobile diesel nell’intero ciclo di vita emette 3, 65 tonnellate di Co2 (gas serra) in più rispetto a un’ equivalente automobile a benzina. (…) Secondo i risultati dello studio, questo tipo di automobili, oltre ad emettere più inquinanti – come ossidi di azoto e particolato e più Co2 – “costa in media 2-3mila euro in più delle auto a benzina “ (le auto ibride a benzina emettono circa il 20-25 per cento in meno di Co2), Eppure ancora oggi sette auto diesel su dieci vengono vendute in Europa, un dato incredibile se confrontato con il 2% in Cina e l’!% negli Stati Uniti. (…) (Il Manifesto, 19 settembre 2017, pag. 6)
- Oppioidi non assicurati. “Nonostante l’aumento vertiginoso dell’uso di oppioidi negli Stati Uniti, molte compagnie assicuratrici stanno limitando l’accesso agli antidolorifici che comporterebbero rischi minori di dipendenza”, rivela un’inchiesta del New York Times e di ProPubblica. “La ragione di questa strategia , secondo molti esperti, sta nel fatto che tra i farmaci oppioidi quelli più sicuri sono generalmente anche i più costosi”. (…) L’inchiesta fa luce per la prima volta sul ruolo delle compagnie assicurative: “Analizzando i piani assicurativi di 35 milioni di persone nel secondo trimestre del 2017, abbiamo scoperto, per esempio, che solo un terzo aveva accesso al Butrans, un antidolorifico che contiene buprenorfina, un oppioide meno rischioso”. Inoltre, dall’inchiesta emerge che le compagnie assicurative impongono ai clienti dei requisiti particolari per accedere alla lidocaina, un farmaco che crea meno dipendenza di altri antidolorifici. Al contrario, l’accesso ad altri oppioidi, meno costosi, è molto più facile”. (Internazionale n. 1223, 22 settembre 2017, pag. 28)
- I veleni della fabbrica nel sangue dei residenti. La “guerra dei Pfas” tracima oltre i confini del Veneto . E diventa istituzionale, politica, ma soprattutto sui risarcimenti. Le sostanze perfluoro alchiliche (Pfas)hanno già avvelenato il sangue di più di 250mila residenti in 79 comuni fra le province di Verona, Vicenza e Padova. E come certificato dalla relazione dei carabinieri del nucleo operativo ecologico di Treviso fin dal 1990 la Mitemi spa a Trissino inquinava il suolo nell’impianto e il vicino torrente Poscola. (…) Per i Pfas, spunta un’altra famiglia di imprenditori . E’ nel 1965 che a Trissino comincia la produzione chimica: con Ricerche Marzotto, che ha bisogno di impermeabilizzare tessuti e cuoi. Mitemi nasce nel !988, quando l’impianto passa sotto il controllo di Enichem e Mitsubishi. Infine , nel 2009, l’azienda vicentina entra nel portafoglio di International Chemical Investors Group, attivata cinque anni prima dai tedeschi Achim Riemann e Patrick Schnitzer in grado di acquisire 26 imprese nell’arco di una dozzina di anni. E’ stato ormai acclarato che dal 1990 fino al 2009 venivano effettuate indagini sul sito produttivo, con cui l’azienda di Trissino puntava a circoscrivere la contaminazione da Pfas. Ma l’inquinamento scorreva insieme all’acqua: dal torrente fino all’intero bacino del Fratta-Gorzone con inevitabili conseguenze per chi dal rubinetto sorseggiava tossicità. Studi, indagini, ricerche epidemiologiche hanno così certificato una clamorosa e inquietante “emergenza Pfas” in mezzo Veneto. Il biomonitoraggio condotto nel 2015-2016 su 507 soggetti residenti dentro e fuori “l’area rossa” . Gli esposti al Pfas hanno una concentrazione media nel sangue di 13 nanogrammi per grammo, rispetto all’1,6 di chi è fuori dalla contaminazione. E in primavera è scattato lo screening della Regione che ha stanziato 3,4 milioni. Un monitoraggio biennale su circa 30mila residenti del Vicentino, 6mila del Padovano e 48mila del Veronese. (Il Manifesto, 23 settembre 2017, pag. 5, con un secondo articolo di approfondimento).
- Rischio salute in Basilicata, sotto accusa le estrazioni ENI. Il Cnr: tra le popolazioni di due valli aumentano le malattie legate all’attività dell’azienda. A Viggiano, epicentro della Basilicata petrolifera, oltre 500 persone hanno assistito venerdì scorso in una sala gremita alla presentazione del primo studio epidemiologico compiuto in20 anni di attività estrattive targate Eni. La VIS, valutazione di impatto sanitario, sulle popolazioni di Viggiano e Grumento Nova, i due paesi maggiormente esposti ai fumi del Centro Olio Val D’Agri – Cova, ha analizzato i dati di mortalità e ricoveri nel period “000- 2014, ed ha emesso il suo verdetto: a causa dell’attività petrolifera, a Grumento, e ancor più a Viggiano, ci si ammala e si muore maggiormente che nel resto della valle e della regione. Nello specifico, a Viggiano si osserva un eccesso di mortalità per tutte le cause e per malattie cardiocircolatorie per uomini e donne, come anche per tumore al polmone delle donne. Eccesso di mortalità per tutte le cause, pur non significativo statisticamente, si registra anche a Grumento, dove è invece in eccesso la mortalità per tumore allo stomaco, in entrambi i sessi. (…) (Il Manifesto, 24 settembre 2017, pag.6)
- “Quell’acqua è avvelenata”, gli eroi della disobbedienza. Per mesi le autorità negano, ma si moltiplicano malattie e morti sospette per la presenza di piombo e del batterio Legionella nelle falde. Soltanto due studiosi si “ribellano” alla realtà ufficiale. Sono stati attaccati, accusati di diffondereil panico da quelle stesse autorità che avrebbero dovuto difendere la salute pubblica. Però sono andati avanti, hanno infranto regole e consuetudini e, grazie a loro, una crisi insabbiata per oltre un anno e mezzo è venuta allo scoperto. Marc Edwards, 53 anni, professore di ingegneria civile e ambientale, e Mona Hanna-Attisha,41, pediatra, docente alla Michigan State University, sono i due studiosi che con le loro ricerche hanno dimostrato in modo inconfutabile che l’acqua di Flint, a cento chilometri da Detroit, era avvelenata. E stava avvelenando la popolazione. (…) Nell’aprile 2014, dopo che già da tre anni è nelle mani a commissari nominati dal governatore Rick Snyder, repubblicano, il comune decide, per risparmiare, di cambiare la fonte dell’acqua potabile. Non più il sistema idrico di Detroit, diventato troppo caro, ma il fiume Flint, intorno a cui si snoda il centro abitato. Una soluzione tampone, in attesa di un nuovo condotto che unisca la città al lago Huron. L’acqua però assume un colore giallastro, talora vira sul verde o sul marrone. Qualcuno parla di azzurro. Gli abitanti perdono ciocche di capelli, lamentano bruciori, tremori, convulsioni. Tra i bambini vengono riscontrate anemie e chiazze rosse. Anche la General Motors smette di usare l’acqua perché rovina i motori. Il Dipartimento per la qualità ambientale nega però l’emergenza. Nel febbraio 2015 una mamma di Flint, Lee – Ann Walters, contatta l’Epa, l’agenzia del governo federale per la protezione dell’ambiente. Il funzionario Miguel del Toral riscontra in casa della donna livelli di piombo sette volte oltre il normale e invia un memorandum alle autorità del Michigan. Il sindaco di Flint in quella fase, Dayne Walling, democratico, beve acqua in tv, per dimostrare che non è tossica. E’ a questo punto che entra in scena Marc Edwards, che già in passato aveva indagato su un’analoga crisi idrica a Washington. “Quando il report di Miguel è stato ignorato , ho avviato la più grande analisi indipendente sull’acqua di una città mai svolta negli Stati Uniti. Da lì sono emersi problemi con il piombo e il batterio Legionella”. A Flint un centinaio di persone ha contratto la legionellosi, una polmonite che può essere fatale ; dodici di loro sono morte. (…) Finora 15 funzionari governativi sono stati incriminati, numerose le cause intentate dai cittadini. A marzo un giudice federale ha ordinato la sostituzione delle vecchie tubature in 18mila case entro il 2020. Un mese prima , la commissione per i diritti civili del Michigan aveva pubblicato un report secondo cui “un razzismo radicato, istituzionale, sistemico, storico, ha indirettamente contribuito alla malaugurata decisione di attingere acqua , per risparmiare, dal fiume Flint”. Aggiungendo che “le attuali leggi sui diritti civili non sembrano adatte ad affrontare le radici di questa crisi”. Hanna- Hattisha è d’accordo: “Non sarebbe successo in una città più ricca e più bianca”. (…) (Corriere della Sera, La Lettura, 24 settembre 2017, pag. 10 e 11)
- Difendersi dalle infezioni. L’Oms denuncia la mancanza di nuovi farmaci per affrontare l’emergenza sanitaria della resistenza agli antibiotici. Nel mondo 700mila persone muoiono ogni anno a causa di patogeni multiresistenti. Al momento sono in fase di sviluppo 51 nuovi antibatterici e farmaci biologici per il trattamento delle infezioni resistenti. Ma solo otto sono davvero innovativi, molte molecole sono solo varianti di sostanze già in uso. L’Oms ha individuato dodici patogeni su cui concentrare gli sforzi, tra cui la tubercolosi resistente che causa ogni anno 250mila morti, la diarrea da Clostridium difficile e altre infezioni comuni come la polmonite. Oltre alla ricerca e allo sviluppo di nuovi farmaci, però, è necessario investire sulla prevenzione e promuovere un uso più responsabile degli antibiotici in medicina, in agricoltura e negli allevamenti. (Internazionale n. 1224, 29 settembre 2017, pag. 115)
- Il milione dello Yemen. L’allarme della Croce Rossa. “Già 700mila i casi di colera, entro l’anno altri 300mila contagiati. Si muore in casa, da soli, di cibo contaminato, quando per salvarsi basterebbe acqua pulita. (…) L’Oms disegna un piano in cui i casi sospetti di colera ormai serpeggiano nel 95,6% dei governatorati, in particolare in 22 su 23 governatorati e 304 su 333 distretti. Si contano più di 5mila nuovi sospetti contagi ogni giorno. La malattia continua a diffondersi a causa del deterioramento delle condizioni igieniche e sanitarie e delle interruzioni dell’approvvigionamento idrico. Più di 14 milioni di yemeniti sono stati tagliati fuori dall’accesso regolare all’acqua , per non parlare del servizio di raccolta di rifiuti interrotto in tutte le grandi città. Il tasso complessivo di mortalità è dello0,31%, il più alto è nel governatorato di Raymah, a est. I governatorati più colpiti comprendono Amran, al Mahwit e Hajjah, al nord, e al Dhale’e e Abyan , al sud. Il disastro umanitario in Yemen non accenna a placarsi. Il paese è imprigionato in una spirale di violenze e patimenti che irrompono nelle vite di civili inermi, senza risparmiare neppure anziani e bambini. E proprio ai bambini sono riservati i numeri più crudeli. Il 54,9% di possibilità di contrarre il colera. Il colera è un infezione acuta diarroica che si diffonde attraverso cibo o acqua contaminati. Può essere efficacemente trattata con l’immediata idratazione e con il repentino ripristino dei normali livelli di Sali minerali nell’organismo, ma senza trattamento può risultare fatale. (…) In 49 distretti non ci sono medici. Almeno 30mila operatoti sanitari locali non hanno ricevuto i loro stipendi da oltre un anno, 3500 centri medicali non hanno ricevuto fondi per il regolare rifornimento. Quasi tutte le strutture e i servizi sanitari del paese hanno raggiunto livelli di cedimento irreversibile, non sono in grado di rispondere alla crescente necessità della popolazione , non sono in grado di affrontare malattie e traumi legati alla guerra. E tuttora, molti ospedali vengono utilizzati illegittimamente come presidi militari. (…) Secondo i dati diffusi dalle Nazioni Unite, più di diecimila persone sono state uccise dal conflitto, almeno 50mila sono i feriti e i disabili, 1,6 milioni di civili sono stati costretti ad abbandonare il paese, e tre milioni sono gli sfollati interni. Gli anni di sanguinari abusi hanno trasformato l’agonizzante Yemen nel più grande bacino di insicurezza alimentare. In base ai dati diffusi dalla piattaforma Humanitarian Needs OverWiew, circa 20 milioni di persone hanno bisogno di assistenza o protezione. Di questi, per almeno 9 milioni, il bisogno si trasforma in impellente urgenza. Inoltre 17 milioni di persone non si alimentano adeguatamente. E tra questi, quasi due milioni sono bambini e un milione sono donne in gravidanza. Direttamente correlata alla mancanza di cibo è la malnutrizione : più di 400mila bambini sotto i cinque anni sono affetti da malattie connesse alla malnutrizione acuta. (Il Manifesto, 30 settembre 2017, pag. 16)
Economia e ambiente
- Hai buttato la spazzatura digitale? L’umanità produce sempre più dati. Ma tra profili social abbandonati, caselle di posta elettronica cadute nell’oblio, e doppioni dei database aziendali, il web è pieno di rifiuti. Conservarli, in apparenza, costa poco o nulla. Invece le infrastrutture in cui sono custoditi hanno bisogno di molta elettricità. In un anno ne consumano più dell’intera Italia. (…) Un data center , ovvero un centro di archiviazione dati ogni giorno , 24 ore su 24, ha bisogno di corrente per alimentare scaffali su scaffali di server, per non parlare degli impianti di raffreddamento. L’energia per alimentarli è tanta: nel 2014 i data center statunitensi hanno consumato la stessa quantità di elettricità di 6,4 milioni di famiglie, e spesso proviene da fonti inquinanti. Un caso emblematico è quello del nord della Virginia, la zona del mondo con la più alta concentrazione di data center: la maggior parte della energia che li alimenta, scrive Greenpeace nel rapporto ClickClean, è fornita da Dominion Resources, che si serve al 99% di fonti non rinnovabili. I dati, utili o non utili che siano, aumentano vertiginosamente. Per dare le dimensioni del fenomeno, il presidente di Google, Eric Schmidt ha fatto un esempio eloquente: “Dall’anno 0 al 2003 sono stati creati 5 exabyte di dati. Oggi la stessa quantità viene prodotta in due giorni”. (…) I promotori di Big Data Takedown, un’ iniziativa del 2016 per l’eliminazione delle informazioni superflue dal web, sostengono che l’80% delle persone non ha bisogno dell’80% dei dati che ha prodotto. Forse la percentuale è eccessiva, ma il monito è valido. (…) Alcune società, come Apple e Facebook hanno già iniziato a lavorare affinché il 100 per cento dei loro data center venga alimentato con energia prodotta da fonti rinnovabili. Altre, come Amazon e l’americana Oracle, tentennano. (…) (Corriere della Sera, “7”, 7 settembre 2017, pag. 67-69)
- Eolico e mini –idro, Edison raddoppia. (…) Solo cinque anni fa , quando la Edison passò ai francesi di EDF, l’allora presidente Henry Broglio disse di voler fare del gruppo di Foro Buonaparte “ Il polo strategico, operativo e gestionale del gas di Edf “nel Mediterraneo. Ma il mondo dell’energia è cambiato in fretta e se il gas, come sottolineato dalla Strategia energetica nazionale, continua ad avere un “ruolo essenziale” nella generazione elettrica e in altri usi, dopo la Cop 21 il futuro è green per tutte le utility. Edison non fa eccezione. Rinnovabili in casa Edison significano eolico e idroelettrico. Però non le grandi centrali del passato (La prima, la Bertini di Paderno d’Adda è del 1898): ora il gruppo punta sul mini idro come l’impianto di Pizzighettone. Edison ha 35 impianti di grande taglia e 37 mini centrali. una opportunità di sviluppo. “Hanno un impatto ambientale minimo – spiega Monti – , un iter autorizzativo semplice: si esce dal tema delle grandi concessioni , c’è un rinnovo automatico. E una produzione più costante di energia, visto che possono essere costruite sui fiumi e sui canali irrigui. Per un grande operatore i vantaggi di questo tipo di produzione aumentano aggregando più impianti e ottimizzando gestione e produzione. Noi vogliamo comprarne e costruirne di nuovi puntando ad aggregazioni regionali”. E’ atteso per ottobre il closing dell’accordo sottoscritto a luglio da Edison con Cryn Finance per l’acquisto della maggioranza di Frendy Energy, società a cui fanno capo 15 impianti mini idro in Lombardia e Piemonte, per 20 gigawattora annui, capaci di sostenere i consumi di seimila famiglie. Seguirà poi un’opa sul flottante. ”Nel 2017 abbiamo acquistato 20 impianti mini e investiamo circa 40 milioni all’anno in questo settore.” Per un totale di 120 milioni nel triennio 2016-2018, che salgono a 150 milioni con gli impianti in costruzione. Ci sono poi gli investimenti nell’eolico. Edison ha costituito E21 Energie Speciali alleandosi con F21. “Vogliamo crescere in modo organico e per acquisizioni – continua Monti – Abbiamo un piano di investimenti da 200 milioni di euro in trenta mesi, dedicato agli otto impianti che abbiamo vinto all’asta del Gse. Stiamo aprendo i cantieri. Puntiamo a costruire un polo con F21 che raddoppi l’attuale perimetro di asset pari a 600 megawatt, per generare economie di scala e sinergie. E diventare così il primo operatore nell’eolico”. (…). (Corriere della Sera, L’Economia, 18 settembre 2017, pag. 32).
- Liberare i dalit indiani dal più rischioso dei lavori. Nonostante sia fuorilegge, la pulizia manuale delle latrine è ancora molto diffusa. Anche a causa della “campagna “India pulita” lanciata tre anni fa. Tra metà luglio e metà agosto solo a Nuova Delhi dieci addetti alle pulizie sono morti mentre erano impegnati nella raccolta manuale di escrementi umani dalle strade e dalle latrine a secco e nella pulizia delle fosse biologiche, dei canali di scolo e delle fognature. La pratica, sottopagata e molto pericolosa, è ancora molto diffusa in India, determinata da divari di classe e di reddito, e ancora di più dal sistema delle caste e dal patriarcato. Tutti gli addetti a quest’attività sono dalit (appartenenti alle caste inferiori, e di solito provengono da alcune delle sottocaste più emarginate. In questo lavoro, inoltre, c’è un evidente divario di genere: a pulire, rimuovere e trasportare le feci sono soprattutto le donne. E la paga è bassissima: in alcuni casi 150 rupie al mese, (poco meno di due euro) e uno o due roti (pane tipico del subcontinente indiano) al giorno per ogni famiglia servita. In India è certamente uno dei lavori più rischiosi. Non ci sono dati ufficiali, ma secondo ricerche indipendenti ogni anno pulendo le latrine muoiono almeno 1370 persone, una cifra sicuramente sottostimata. (…). Grazie alle pressioni esercitate dai movimenti per i diritti civili, nel 2013 è stata approvata una legge che proibisce la costruzione di latrine insalubri e l’impiego di addetti alla raccolta manuale dei rifiuti organici. La legge inoltre obbliga il governo a fare una stima del numero effettivo di questi lavoratori e ad attivarsi per trovargli un altro impiego. Ma è stata male applicata. Il censimento del 2011 aveva identificato 180.657 addetti alla raccolta manuale dei rifiuti organici in tutta l’India, ma secondo stime più verosimili sarebbero circa 1,2 milioni. A violare la legge non sono tanto i privati ma gli enti pubblici, soprattutto le ferrovie indiane, visto che sulla maggior parte dei treni ci sono latrine aperte che scaricano sui binari. Gran parte degli addetti alla rimozione di questi rifiuti sono impiegati attraverso appaltatori e guadagnano, nel migliore dei casi, 200 rupie al giorno (circa 2,5 euro). Finora solo un terzo delle carrozze è stato dotato di servizi igienici moderni. (Internazionale n. 1224, 29 settembre 2017, pag. 36).
- Affari sporchi. Le mani impastate di cemento.Sequestrati in Puglia la centrale Enel di Brindisi e alcuni impianti Ilva di Taranto. Per risparmiare sui costi di bonifica avrebbero venduto rifiuti pericolosi a Cementir Italia, sigillata anch’essa dalla magistratura. Solo Enel avrebbe tratto un profitto di 523 milioni in sei anni. 31 gli indagati. Hanno venduto per cinque anni loppa d’altoforno per produrre cemento, non conforme agli standard previsti dalle normative vigenti, e ceneri leggere classificate come rifiuto semplice e che invece, per i suoi componenti , erano da considerarsi pericolose: per questo ieri mattina militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Taranto hanno effettuato un sequestro preventivo della centrale termoelettrica “Federico II” di Brindisi di proprietà di Enel, dello stabilimento di Taranto “Cementir Italia”, nonché dei parchi “loppa d’altoforno, nastri trasportatori e tramogge” siti nell’Ilva di Taranto. Il provvedimento disposto dal gip del Tribunale di lecce, su richiesta del Procuratore della Repubblica, ha colpito 31 indagati, tra dirigenti di Enel, Cementir e Ilva, società indagate anche per presunti illeciti amministrativi. (…) E’ emerso che la loppa d’altoforno venduta da Ilva a Cementir per produrre cemento non fosse conforme alla legge perché presentava criticità connesse alla commistione con scarti e rifiuti eterogenei che ne inficiavano la capacità di impiego nel ciclo produttivo. Quanto alle ceneri leggere vendute dall’Enel di Cerano, secondo gli investigatori la società le aveva classificate come provenienti dalla sola combustione del carbone, classificate come “rifiuto speciale non pericoloso”. In realtà, secondo l’inchiesta, Enel avrebbe usato nel ciclo produttivo combustibili (come il gasolio) generando ceneri contaminate da sostanze pericolose derivanti sia dall’impiego di combustibili diversi dal carbone che dai processi di denitrificazione a base di ammoniaca. In questo modo Enel avrebbe tratto un beneficio economico, risparmiando sui costi legati alla separazione e al corretto smaltimento dei rifiuti. (…) (Il Manifesto, 29 settembre 2017, pag. 1-3)
Riflessioni
Alcuni testi, magari relativi a paesi meno importanti, sono solo delle conferme alle analisi più radicali già formulate. Altri invece aggiungono dei tasselli molto significativi al pensiero ambientalista più avanzato e costituiscono delle basi di intervento estremamente utili, ed è di questi ultimi che preferisco parlare . In primo luogo, le cifre relative alla fame. E’ finito il periodo durante il quale ci potevamo illudere che questo annoso problema si stesse avviando a soluzione (non a scomparire) e siamo tornati ai livelli precedenti alla formulazione dei primi Obiettivi dell’Onu, cioè siamo costretti a constatare che sono passati oltre 15 anni e nulla si è modificato in termini quantitativi. Forse dovremmo rivedere completamente i ragionamenti finora elaborati sul tema, non fosse altro che per affrontare in modo più serio i prossimi decenni di implacabile aumento demografico. Un secondo aspetto mi ha particolarmente colpito, l’incidente avvenuto nel deposito di semi realizzato alle Isole Svalbard, evidentemente considerate il posto più sicuro per garantire in un qualunque futuro, anche il peggiore, la sopravvivenza della specie umana. Ma ciò che ha attratto la mia attenzione non è la natura dell’incidente (che ha messo in discussione la capacità stessa di realizzare rifugi sicuri), quanto il fatto che mentre la sensibilità diffusa verso i drammatici eventi climatici sembra ancora abbastanza scarsa, specie a livello dei governi, gruppi di esseri umani sono talmente sicuri della validità di previsioni e analisi da optare per iniziative dirette a garantire un livello minimo di sopravvivenza a quel che resterà della specie umana. Avranno ragione i pessimisti a oltranza o i catastrofisti pieni di buona volontà? Poi mi sembra necessario evidenziare il fatto che una recente ricerca condotta in Amazzonia abbia scoperto oltre duecento nuove specie, a conferma della necessità di salvaguardare rigidamente l’intero territorio per evitare di distruggere una ricchezza biologica di inestimabile valor prima ancora di averla scoperta . Infine, devo segnalare un traguardo di estremo valore superato da una industria farmaceutica che ha messo a punto un farmaco capace di vincere una malattia mortale come la leucemia. Deve ancora essere sperimentato su larga scala e quindi ulteriormente perfezionato, ma è indubbiamente un risultato finora inimmaginabile. Però l’aspetto che mi ha più colpito è il suo prezzo, vicino al mezzo milione di euro per periodo di cura e quindi inavvicinabile per gran parte dei malati. Ovviamente si tratta di un “prototipo” e quindi vedremo cosa succede quando sarà messo sul mercato; però non posso evitare di pensare che si tratta di uno di quei casi in cui farmaci così preziosi per la salute umana dovrebbero essere sottratti alla logica dei brevetti e messi a disposizione dei malati senza distinzione di reddito. Anni fa, al momento del presunto attacco all’antrace contro il governo americano e di fronte alla necessità di disporre in tempi brevissimi degli antidoti necessari, le formule vennero sottratte ai detentori dei brevetti e messi a disposizione delle aziende che erano in grado di fornire i prodotti salvavita nei tempi disponibili. Perché non si può fare lo stesso in presenza di farmaci particolarmente costosi ma assolutamente necessari, per combattere malattie che finora sono sfuggite ad ogni tentativo scientifico di combatterle?
SCHEDE PRECEDENTI
- Benvenuti sull’ultima spiaggia
- Siamo nell’occhio del ciclone
- Un pianeta sempre più a rischio
- Stiamo strangolando la terra
- Sono ancora cattive le notizie sul clima
- Il clima dipende anche da noi
- Giocano sulla nostra pelle
- Non aspettiamo la catastrofe
- Basta carbone! O sarà la fine
- Stop all’ecatombe dell’ambiente
- 2016. Un altro anno nero per la terra
- Una moratoria per evitare la catastrofe
- L’Antartide che va in pezzi
- Il bollettino segnala una vera disfatta
- Il ritmo letale del consumismo
- Potrebbero mancare meno di 12 anni
- Abbiamo sete ma le dighe la aggravano
- Un pianeta in grande sofferenza
- Messaggi dal pianeta terra
Roberto dice
Perché non scrivi un libro sull’argomento “inquinamento” eccetera, caro Alberto? Così lo leggiamo o lo potremmo leggere fosse ben congegnato. Con questi comunicati mensili e spazianti in ogni luogo è impossibile procedere. Personalmente non mi ci metto nemmeno. Ciao, Roberto