Nei territori è più evidente l’aggressione della crisi, ma la dimensione delle comunità territoriali è anche quella che permette con più facilità la possibilità di un’inversione di rotta verso un’idea di città e di territorio, basata sulla riappropriazione sociale dei beni comuni. Per questo, ricorda Marco Bersani nel nuovo libro Dacci oggi il nostro debito quotidiano, in molte realtà metropolitane (da Barcellona e decine di città in Spagna, alle esperienze italiane di «Decide Roma» e «Massa Critica» di Napoli, per citare solo le più note) c’è chi mette in discussione il regime del debito pubblico e tenta di riprendersi il «comune», sia nel senso del luogo (città, comuni e territori) sia nel senso del «comune» come percorso di autogoverno dal basso
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di Marco Bersani*
La necessità di un approccio sistemico alla crisi del modello liberista comporta come prioritaria la focalizzazione sulla dimensione territoriale, per almeno due motivi: il primo è legato al fatto di come siano proprio i comuni e le comunità territoriali uno dei luoghi di precipitazione della crisi, perché è sulla ricchezza sociale delle stesse (territorio, patrimonio pubblico, beni comuni e servizi pubblici) che si gioca la partita della loro messa sul mercato; in secondo luogo, la dimensione delle comunità territoriali è quella che permette con più facilità l’assunzione di una visione sistemica e la possibilità di un’inversione di rotta verso un modello di città e di territorio, basato sulla riappropriazione sociale dei beni comuni, una nuova finanza pubblica e sociale, una nuova economia sociale territoriale e sulla democrazia partecipativa.
Per questo, la parola d’ordine, praticata in molte realtà metropolitane, Riprendiamoci il Comune (lanciata in particolare da Attac Italia) – da declinare sia nel senso del luogo (città, comuni e territori), sia nel senso del «comune» come percorso di autogoverno dal basso che contrasti ogni privatizzazione e superi in avanti le difficoltà del «pubblico» – sta progressivamente producendo importanti connessioni fra diverse esperienze neo-municipaliste in differenti realtà europee (da Barcellona e decine di città in Spagna, alle esperienze italiane di «Decide Roma» e «Massa Critica» di Napoli, per citare solo le più conosciute).
Sono tutte esperienze che provano a produrre l’autoorganizzazione del «comune» fuori e dentro le istituzioni, a partire da alcuni punti di azione definiti:
a) l’audit del debito e della finanza locale;
b) il bilancio partecipativo;
c) la produzione di una carta dei beni comuni urbani;
d) la riappropriazione di beni comuni e servizi pubblici come istituzioni sociali della comunità territoriale;
e) l’avvio di pratiche per una nuova economia sociale territoriale;
f) l’espansione delle forme di democrazia partecipativa dal basso e di autogoverno sociale.
Embrioni di un futuro possibile dentro i conflitti metropolitani.
Per un’economia socialmente ed ecologicamente orientata
I cambiamenti climatici in corso, la drammatica diseguaglianza sociale a livello planetario, le guerre e i conflitti permanenti, le migrazioni di massa impongono ormai un radicale cambiamento di rotta: il modello capitalistico va abbandonato, mentre diviene urgente la costruzione di un altro modello economico che sia socialmente ed ecologicamente orientato.
In questo senso, la riappropriazione collettiva della ricchezza sociale, dei beni comuni e della democrazia sono strettamente connesse e divengono l’unica possibilità per un futuro degno per tutte e tutti.
Va posta con forza la questione del lavoro e della produzione: se oggi il lavoro è orientato allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla donna e dell’uomo sulla natura, occorre riporre il tema del «cosa», «come» e «per chi» produrre, aprendo la strada alla drastica riduzione del tempo di lavoro, alla redistribuzione sociale del lavoro necessario, e al diritto a un reddito universale di esistenza.
Va posta inoltre la questione della territorializzazione dell’economia, secondo il principio per cui «tutto quello che può essere prodotto in un dato territorio, lì deve essere realizzato», consentendo progressivi percorsi di auto-organizzazione sociale ed economica.
Va affrontato infine il tema delle risorse necessarie per questa radicale trasformazione sociale. In queste pagine** abbiamo provato a dare la risposta. Che trova inoppugnabile conferma in un dato del recente studio (Oxfam, 2017) sulla distribuzione della ricchezza nel mondo: le otto persone più ricche del pianeta dispongono a oggi di un patrimonio equivalente alla ricchezza totale posseduta da 3,6 miliardi di persone, la metà più povera del pianeta stesso.
Si tratta, in ultima analisi, di procedere a un rovesciamento radicale dei concetti di spazio e di tempo, così come imposti dalla dottrina neoliberale: se in quest’ultima, lo spazio si amplifica a dismisura, fino a trasformare l’intero pianeta in un unico grande mercato, e il tempo delle scelte si restringe drasticamente, fino a considerare come scadenza l’indice di Borsa del giorno successivo, occorre immaginare un modello sociale che operi inversamente, restringendo lo spazio verso l’ambito delle comunità territoriali, ed estendendo esponenzialmente il tempo delle scelte, la cui misura dev’essere il buen vivir delle future generazioni.
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* Marco Bersani, fondatore di Attac Italia, è stato fra i promotori del Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua e della Campagna «Stop TTIP Italia» è inoltre socio fondatore di Cadtm Italia.
** Testo tratto da Da oggi il nostro debito quotidiano. Strategie dell’impoverimento di massa (DeriveApprodi). Titolo originale del paragrafo Centralità del «comune». Di seguito l’indice completo del libro.
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redazione di Comune dice
Il libro di Marco Bersani “Dacci oggi il nostro debito quotidiano” sarà presentato al Parco della Cellulosa (via della Cellulosa 132), a Roma, venerdì 7 luglio.