Il distacco non è ancora avvenuto ma una spedizione argentina che ha sorvolato la zona alla fine di marzo riferisce che mancherebbero solo una ventina di km perché un iceberg ormai molto più grande della Liguria si separi dalla calotta antartica. Uno dei molti esempi di eventi estremi che tendono a diventare “normali e reiterati” e confermano la gravità dei fenomeni connessi al cambiamento climatico, causato e accelerato da scelte tecnologiche presenti in un numero crescente di paesi. Di notevole impatto, nella selezione mensile di notizie curata da Alberto Castagnola, anche i tassi di inquinamento nelle profondità marine e nei centri urbani, quest’ultima segnalata anche dalla scomparsa delle farfalle, e la straordinaria rigità dell’inverno in Mongolia, dove il Fmi non smette di infierire sulla popolazione oppressa da un astratto debito. Il consueto sguardo d’insieme di Alberto Castagnola sulle notizie illumina molti altri gravi segnali di degradazione dell’ambiente ma si sofferma anche sulle aberranti speculazioni come quella che investe in Madagascar la vaniglia, ormai considerata più preziosa dell’oro e quindi destinata a sparire o, più facilmente, a peggiorare vertiginosamente la sua qualità
a cura di Alberto Castagnola
Emergono con sempre maggiore frequenza eventi estremi che tendono a diventare “normali e reiterati” e che confermano la gravità dei fenomeni connessi al cambiamento climatico, causato e accelerato da scelte tecnologiche presenti in un numero crescente di paesi. Per le sue dimensioni, è impressionante la frattura in corso nel manto ghiacciato dell’Antartide, la sua lunghezza e le dimensioni enormi dell’iceberg che comincerà a vagare sui mari, e anche il fatto evidente che nulla possiamo fare per bloccare l’evento. Stesse sensazioni per tutti i dati relativi alla gravità dell’inquinamento dell’aria che respirano decine di milioni di persone in un numero crescente di centri urbani. In questo caso, poi, colpisce il fatto che gli interventi pubblici diretti a contenere il traffico delle auto, sono chiaramente inutili e tutti lo sanno, ma in realtà sono l’unica azione concepibile senza dover intervenire sui motori e sui carburanti dei mezzi. Ultimo fatto evidenziato, l’inquinamento rilevato a diecimila metri sotto il livello del mare, nelle profondità ancora oggi più impressionanti per gli esseri umani comuni, e che invece vengono facilmente raggiunte dalle sostanze contaminate che continuiamo senza sosta a immettere nelle acque. Sarebbe interessante vedere se questa lettura suscita delle reazioni analoghe in chi si abbevera alla informazione di Comune–info.
Clima ed eventi estremi
- Siccità. La siccità nel Corno d’Africa minaccia 17 milioni di persone. Lo ha annunciato la Fao, che ha chiesto un intervento umanitario urgente. La situazione è particolarmente grave in Somalia, ma sono a rischio anche alcune regioni dell’Etiopia e del Kenya. (Internazionale n.1190, 3 febbraio 2017, pag. 92)
- Ventisette bambini sono morti nella provincia di Jowzjan, in Afghanistan, a causa del freddo e della neve. (Internazionale n.1190, 3 febbraio 2017, pag.92)
- Il cambiamento climatico ha aumentato la probabilità di eventi estremi in Europa. Secondo l’Agenzia ambientale Europea, l’impatto del riscaldamento globale sarà avvertito per decenni in modo non uniforme: l’Europa meridionale e quella sudorientale saranno le aree più colpite. Nella parte occidentale saranno a rischio soprattutto le coste e le pianure. Il cambiamento climatico inciderà sugli ecosistemi delle Alpi, su quelli artici e della penisola iberica. (Internazionale n.1190, 3 febbraio 2017, pag.92)
- Smog da caminetto. I caminetti e le stufe a legna sono meno sostenibili di quanto sembrano. L’inquinamento atmosferico di Londra dipende da fattori noti, come il traffico stradale e la mancanza di vento, ma un’altra delle cause principali è il riscaldamento delle case con la legna da ardere. Questo tipo di riscaldamento è considerato ecologico, perché la legna è un combustibile rinnovabile. Ed è anche economico. Però la combustione di materiale vegetale produce sostanze tossiche , come il pm 2,5, il particolato emesso anche da molti veicoli. In alcuni casi l’aria in una casa riscaldata a legna risulta più inquinata di quella vicino ad una strada con molto traffico, con l’aggravante che a casa si dorme e si passa molto tempo. L’uso delle biomasse per produrre energia potrebbe avere senso negli impianti grandi, lontano dai centri urbani. Il New Scientist suggerisce di optare per il riscaldamento a metano o gasolio, e di investire nella coibentazione della casa. L’ideale sarebbe installare una pompa di calore.(,,,) (Internazionale n.1190, 3 febbraio 2017, pag. 92)
- La frattura in Antartide che crea il super iceberg grande come la Liguria. Gli studiosi: colpa del clima, distacco a giorni. Un gigantesco iceberg esteso quanto la Liguria si sta creando in Antartide. Nella parte meridionale della piattaforma di Larsen che si insinua nel mare di Weddel, verso Nord, una frattura ormai lunga 160 chilometri favorisce il distacco di una massa di cinquemila chilometri quadrati , spessa circa 200 metri. Mancano solo una trentina di chilometri perché l’imponente lacerazione larga in alcuni punti anche tre chilometri, raggiunga la fine del suo percorso liberando nelle acque l’imponente isola di ghiaccio battezzata Larsen-C. (…) Questo è l terzo iceberg che si stacca dalla piattaforma, ma è il più grande. Il primo, Larsen-A, con una superficie di 1500 chilometri quadrati si è formato nel 1995, mentre Larsen-B nel 2002 ha raggiunto i 3250 chilometri quadrati. Entrambi si sono sbriciolati in fretta in piccoli frammenti senza produrre conseguenze. “Anche Larsen-C non innalzerà il livello dei mari : ha precisato Eric J. Rignot, glaciologo del Jet Propulsion Laboratory della Nasa a Pasadena. Resta preoccupante la causa che sta aggredendo i ghiacci del continente bianco. “Da diversi anni, ormai, la temperatura delle acque oceaniche è i aumento e questo provoca il cedimento delle masse ghiacciate stabili da secoli”, spiega massimo Frezzotti dell’Enea, appena tornato da una spedizione in Antartide per stabilire dove eseguire un carotaggio nelle profondità al fine di studiare i climi del passato. “Inoltre, aggiunge, questo provoca anche cambiamenti nella circolazione delle correnti marine aggravando la situazione”. Gli effetti sono traumatici per l’ambiente tanto da riuscire a generare collassi di piattaforme con una lunga storia. Larsen-A si era formata quattromila anni fa mentre l’origine di Larsen-B- risaliva addirittura a 12mila anni fa. Un iceberg ancora più grande (11mila chilometri quadrati) si era staccato nel 2001 dalla piattaforma di Ross più a sud. Difficile negare che la Terra si stia riscaldando e le zone polari siano le più sensibili e più vulnerabili ai mutamenti. I primi segni del cedimento di Larsen – C erano stati scoperti nel 2004 prevedendo l’infelice conclusione nell’arco di un decennio. E così si è verificato. ”Il problema più grave, sottolinea Frezzotti, è che il distacco degli iceberg provoca una accelerazione nella velocità dei ghiacciai che scendono dalle montagne alterando pesantemente gli equilibri del continente oltre che i panorami”. E la parte più debole è proprio la regione occidentale dove i ghiacci si sovrappongono ad un mondo frammentato di isole, mentre ad oriente il continente è più solido. (Corriere della Sera, 9 febbraio 2017, pag. 20 cronache, con cartina e foto)
- Uno strato di dieci centimetri di neve si è formato dopo una rara nevicata negli Emirati Arabi Uniti. Le temperature sono scese a due gradi centigradi. (Internazionale n.1191, 10 febbraio 2017, pag.96)
- In fuga dall’acqua. La diga di Oroville, la più alta d’America, potrebbe collassare. In California si teme “l’effetto Vajont”. Evacuate 200mila persone. E’ la diga più alta e ora anche la più fragile, la più pericolosa d’America. Circa 200mila persone hanno dovuto lasciare le case nella valle a sud del Lago di Oroville, nord California. La piogge degli ultimi giorni hanno portato il livello dell’acqua oltre la soglia di allerta. Sabato pomeriggio i tecnici del National Weather Service hanno attivato il canale di scarico, allagando i dintorni disabitati del bacino. Ma domenica la pressione ha bucato il condotto e a quel punto le autorità della Contea hanno informato il governatore della California, Jerry Brown, che ha immediatamente ordinato l’evacuazione di massa. La disposizione è tuttora in vigore. Nel frattempo gli elicotteri cominciavano a scaricare sacchi di cemento nella breccia: un rammendo provvisorio, ma l’unico possibile in questa fase. Nella serata di domenica la situazione sembrava più stabile. Ieri mattina gli ingegneri hanno ispezionato l’impianto, osservando un fenomeno di riflusso. Ma l’allarme resta massimo: nel corso della settimana pioverà ancora e nessuno può garantire quale sarà l’impatto sugli equilibri del lago. (…) Sono invece cominciate le polemiche. La diga di Oroville è alta 230 metri e fornisce acqua potabile ed elettricità. E’ un opera inaugurata nel 1968, quasi 50 anni fa, con criteri antisismici. Per ora la muraglia ha retto bene, ma il problema è il canale di scolo che non era mai stato usato finora. Nel 2005 gli ambientalisti chiesero alla Federal Energy Regulatory Commission di disporre di una copertura in cemento. Ma l’Agenzia di Washington, ai tempi dell’amministrazione del repubblicano George w. Bush, accolse le obiezioni del Departmen of Water Resources , a quell’epoca governata dal democratico, Arnold Schwarzeneng, L’intervento, era l’argomentazione, sarebbe stato troppo costoso. (…) (Corriere della Sera, 14 febbraio 2017, pag. 11 esteri, con mappa e schema generale della zona).
- Fossa delle Marianne. L’inquinamento a 10mila metri sotto i mari. La zona più profonda di tutti i mari, la Fossa delle Marianne, lungi dall’essere incontaminata, è altamente inquinata. A diecimila metri negli abissi del pacifico, in uno dei luoghi più inaccessibili, vivono piccoli crostacei simili ai gamberetti, con una concentrazione record di inquinanti, a volte più alta che nei fiumi cinesi. Lo rivela uno studio sulla rivista Nature Ecology and Evolution. Com’è possibile? Rifiuti e resti di pesci contaminati si inabissano – come attraverso un imbuto – nella Fossa diventando cibo per i crostacei. (Corriere della Sera, 14 febbraio 2017, pag.11 esteri). La contaminazione da pcb degli organismi delle Marianne e delle Kermadec è risultata 50 volte superiore a quella dei granchi del fiume Liao, uno dei più inquinati della Cina. (Internazionale n.1192, 17 febbraio 2017, pag.95)
- L’ombra della fame. Rubkuai, Sud Sudan . In fila per una visita medica in un ambulatorio mobile dell’Unicef. Il 20 febbraio tre Agenzie delle Nazioni Unite hanno dichiarato la carestia nello stato sudsudanese di Unità. Secondo la Fao, il Programma alimentare Mondiale (Pam) e l’Unicef, in Sud Sudan centomila persone soffrono la fame e un altro milione potrebbe essere colpito dalla carestia. In tutto, 4,9 milioni di sud sudanesi, il 40% della popolazione, ha urgente bisogno di aiuti alimentari. La carestia potrebbe colpire anche lo Yemen, la Somalia e il nordest della Nigeria. (Internazionale n. 1192, 17 febbraio 2017, foto grande all’inizio)
- Siccità. Il presidente kenyano Uhuru Kenyatta ha proclamato lo stato di calamità per la siccità che ha colpito metà del paese. Sono a rischio 2,7 milioni di persone. (Internazionale n. 1192, 17 febbraio 2017, pag. 96)
- Elettricità norvegese. La Norvegia detiene il record mondiale di auto elettriche: più di centomila su 5,2 milioni di abitanti. Nel 2016 quasi il 40% delle immatricolazioni riguardava un auto elettrica. A Oslo , la capitale, ci sono parcheggi riservati, strade senza pedaggio, stazioni di rifornimento e corsie privilegiate per l’elettrico. Le auto con il motore tradizionale potrebbero essere messe al bando nel 2025. Nel resto dell’Europa ci sono 500mila veicoli elettrici. La Cina ne ha 600mila e potrebbe espandere la sua flotta a 5 milioni entro il 2020. Gli Stati Uniti seguono con meno di 500mila veicoli elettrici. (…) Da questo punto di vista la Norvegia è favorita , perché il 98% della sua elettricità deriva da impianti idroelettrici. Inoltre, i proventi dell’estrazione e del metano permettono al paese di sostenere il settore tagliando le tasse e ricariche gratuite in stazioni di rifornimento pubbliche. In Europa la diffusione delle auto elettriche potrebbe essere aiutata dall’espansione della rete di ricarica dei veicoli e dal calo dei prezzi delle batterie. Sei anni fa, scrive il Guardian, una batteria costava più di mille dollari per kilowattora, mentre ora costa meno di 350dollari e si potrebbe arrivare presto a meno di 125 dollari. (Internazionale n.1192, 17 febbraio 2017, pag. 96)
- Inquinamento in Polonia ma per il governo è solo demagogia. Novità per la sirena di Varsavia, che vigila sulla Vistola con scudo e spada sguainata. Sul volto delicato della statua quest’inverno è comparsa una mascherina antismog. Come la mitica creatura dal canto prodigioso, anche gli ambientalisti sono in armi nella Polonia che inquina , e d’inquinamento s’ammala. Varsavia, Cracovia e Katowice superano Pechino e New Delhi nella top ten delle metropoli con l’aria più irrespirabile. Delle 50 città più inquinate dell’Unione Europea, 33 sono polacche. Gli attivisti denunciano oltre 40mila morti premature per inquinamento ogni anno. Il governo minimizza, in una pericolosa spirale dove l’autorità liquida le critiche come “fake news” notizie false, argomento ormai ricorrente, alimentando il circuito delle teorie alternative a verità accettate dalla scienza quanto dalla politica. “Non cediamo alla demagogia – dice il ministro dell’Energia Krzysztof Tchorzewski – può esserci più inquinamento ma non per questo si vive meno”. A gennaio i livelli di polveri sottili a Varsavia e a Cracovia hanno raggiunto i 437 microgrammi per metro cubo. La media consentita dalla UE nelle 24 ore di 50 microgrammi: in Francia l’allarme smog scatta quando si superano gli 80, in Polonia la soglia è 300. Effetto di decenni di sviluppo industriale sostenuto dal carbone, che genera oltre l’80 per cento dell’energia elettrica. Si usa il carbone anche per il riscaldamento domestico, spesso combustibile scadente affiancato da plastica e rifiuti in caldaie antiquate. Solo di recente nel paese ha preso forma una vera coscienza ecologista. La destra nazionalista al governo promette nuove regole e programmi per le rinnovabili, ma difende il carbone e le emissioni inquinanti delle industrie, storico fronte aperto con la UE. Le associazioni hanno presentato un reclamo alla Commissione e la “Cina d’Europa” diventa un caso politico. Un occasione per Bruxelles di riattivare un contatto con i cittadini di una Polonia sempre più euro-delusa. (Corriere della Sera, 18 febbraio 2017, pag.26)
- Sette persone sono morte e 55 sono rimaste ferite nel passaggio del ciclone Dineo sul Mozambico Più di 20.000 case sono state distrutte. (Internazionale n. 1193, 24 febbraio 2017, pag. 96)
- Un inverno molto rigido ha causato la morte di circa quarantamila animali da allevamento nelle steppe della Mongolia. In alcune zone le temperature sono scese sotto i 50 gradi centigradi. (Internazionale n.1193, 24 febbraio 2017, pag.96)
Foreste e incendi, miniere e suolo
- Gli incendi nel centro del Cile. A gennaio il fumo di decine di incendi boschivi si è propagato sul Cile centrale. Le alte temperature, i forti venti e una siccità prolungata hanno contribuito al propagarsi delle fiamme. La città di Santa Olga, nella regione del Maule, è stata distrutta. La presidente Michelle Bachelet ha dichiarato lo stato di emergenza per alcune zone del pase e ha annunciato che 43 persone sono state fermate per la loro presunta responsabilità degli incendi. Finora le fiamme hanno bruciato 380mila ettari di terreno. Le vittime sono almeno undici. (…) In base ad un rapporto della Fao, nel decennio 1990-2000 in Cile sono stati registrati circa 5.200 incendi boschivi nella stagione estiva, favoriti dalla prolungata assenza di piogge. Tra il 2015 e il 2016 sono stati segnalati più di 6.700 incendi. (Internazionale n. 1190, 3 febbraio 2017, pag. 93, con foto da satellite)
- Ecuador, le contaminazioni provocate dalla Chevron-Texaco. Un ecocidio di proporzioni immani nell’Amazzonia ecuadoriana. Interi villaggi contaminati. Una vertenza internazionale con una potente multinazionale Usa, la Chevron-Texaco. (…) Per comprendere le origini della vicenda, bisogna tornare agli anni che vanno dal 1964 al 1992. Allora, la compagnia petrolifera Texaco, che si è fusa con la Chevron nel 2001, ha potuto sfruttare le riserve di idrocarburi senza osservare le norme ambientali previste. Due milioni di ettari dell’Amazzonia ecuadoriana sono stati impregnati di petrolio, le persone che abitavano i villaggi del circondario si sono ammalate di tumore, perché i fiumi in cui si lavavano o si alimentavano erano contaminati. In quella porzione di selva tropicale , vivono popoli indigeni ancestrali: Siekopai, Sionas, Cofanes, Waorani, Tetetes, Sansahuari….Nel 1993, 30.000 indigeni e contadini residenti nelle province di Orellana e Sucumbios (nel nord dell’Amazzonia) riuniti nell’Associazione Union de Afectados por las Operaciones de Texaco (Udapt) denunciano la multinazionale e chiedono un indennizzo a un tribunale di New York: per aumentare i profitti,- dicono-, la Texaco ha risparmiato sulla sicurezza delle popolazioni e dell’ambiente, provocando un disastro ambientale. Le indagini mostrano, per esempio, che tutte le “piscine” di piccole dimensioni, che superavano in media i 300 metri quadrati, sono state costruite il più vicino possibile alle fonti di acqua di superficie. In questo modo, ha versato intenzionalmente nei fiumi dell’Amazzonia oltre 16.000 galloni di acqua mischiata ai prodotti usati per l’estrazione , quindi tossica. Considerando che un gallone è pari a 4, 546 litri, si può intuire l’entità del disastro per le popolazioni che hanno dovuto servirsi per anni di quell’acqua. A tutt’oggi, gli svasi di crudo ai quali non è mai stato posto rimedio, hanno intriso di petrolio oltre 1500 chilometri di strade o di sentieri. Oltre 450mila ettari di bosco tropicale amazzonico sono andati distrutti. Secondo la legge ecuadoriana dell’epoca e in base ai contratti la multinazionale avrebbe dovuto utilizzare le tecniche più avanzate possibili per evitare l’impatto ambientale e i danni alla popolazione. Ma non l’ha fatto. (…) (Alias Il Manifesto, 4 febbraio 2017, pag. 16, con il resoconto delle vicende giudiziarie e l’indicazione del film “Un gioco sporco” e del libro relativo)
- L’ex inferno del Che. Gli italiani hanno rinnovato e reso sicura la “tomba cilena”: la miniera di rame dove Ernesto Guevara divenne “rivoluzionario”. “Il becchino ogni giorno, dava sepoltura a sei vittime, tra adulti e bambini in tenera età…” E’ passato un secolo ma la lettura di “Chuquicamata, la tumba del chileno” di Marcial Fugueroa, gela ancora il sangue. Era già allora, quell’immensa fossa nel deserto di Atacama, da cui oggi esce quasi un decimo del rame mondiale, la miniera a cielo aperto più grande del pianeta . E bisogna leggere quel vecchio libro, ammutoliti dall’orrore, per capire cosa significhi oggi, per l’Astaldi, poter sventolare un record che fa onore alla società e a tutti noi italiani: due milioni di ore di lavoro sottoterra “senza un solo incidente”. Perché questo impressionante catino di roccia bianca lungo come sei volte i Fori Imperiali, e profondo più di un chilometro, è stato davvero, per decenni, la tomba di una moltitudine di cileni . In larghissima parte indios andini rinsecchiti dalla fame. Poveretti che per un pugno di cibo accettarono di lavorare in condizioni estreme con picconi, pale e carriole, percorrendo in una nuvola di polvere , che si ficcava nei polmoni, i gironi danteschi che calano a raggiera nel buco arroventato sotto un sole furibondo. Su e giù per i tornanti, piccoli all’occhio come gialli scarafaggi , scendono oggi su ruote di 4 metri di diametro camion immensi da quattro milioni e mezzo di euro, alti come una casa di due piani, larghi sette metri lunghi dodici, che su cassoni di 64 metri quadri riportano dall’abisso fino alla sommità della conca e al grande agglomerato di stabilimenti e depositi e ciminiere 125mila tonnellate al giorno di materiale roccioso da sbriciolare poi in colossali macine e passare infine di ciclope meccanico in ciclope meccanico fino all’uscita delle piastre lucenti da spedire in giro per il mondo. (…) (Corriere della Sera, 17 febbraio 2017, pag. 17)
- Il 9 febbraio sono entrati in sciopero i lavoratori della miniera di rame di Escondida, la più grande del mondo, controllata dall’azienda anglo- australiana Bhp Billiton. (Internazionale n. 1192, 17 febbraio 2017, pag. 25.)
- Alcuni incendi hanno bruciato 50mila ettari di vegetazione nel New South Wales, nel sud est dell’Australia. Le fiamme hanno distrutto alcuni edifici nella cittadina di Uarbry. (Internazionale n. 1192, 17 febbraio 2017, pag. 96)
- Bussi, falde acquifere avvelenate. Dieci condanne per disastro colposo. L’appello ribalta la sentenza sull’ex impianto Montedison in Abruzzo. Puniti i manager. (…) Bussi è considerata la più grande discarica abusiva d’Europa, con 800 mila tonnellate di rifiuti dell’ex stabilimento Montedison. (…) e si citano due studi. Uno del 1972 che riscontrò valori alti di mercurio nei pesci e nei pescatori. E uno del dell’81, che scovò valori “medio-alti” della sostanza in grano, viti e olivi vicini ai siti contaminati. Tutte conferme alle analisi del professor Caracciolo, che già dal 1970 trovò sostanze cancerogene nei capelli degli abitanti del luogo dovute all’assunzione di mercurio attraverso l’acqua delle falde contaminate. (…) (Corriere della Sera, 18 febbraio 2017, pag. 20 cronache)
- Oro blu. Nelle miniere del Congo. Da dove arriva il cobalto conteso dai costruttori di smartphone e dai finanzieri di mezzo mondo? Dai fondi speculativi ai fondi di miniera, dalle auto elettriche del futuro a chi scava a mani nude nelle retrovie del Congo: la catena di distribuzione del cobalto, il minerale di gioielli antichi diventato “oro blu” per le moderne batterie al litio, se si percorre a ritroso passa da umana (e ricca) a disumana (e poverissima). Da Wall Street alle discariche del Katanga. E’ notizia di questi giorni: i finanzieri di grandi società di hedge fund, dalla Svizzera a Shangai, hanno ammassato 6mila tonnellate di cobalto (quasi il 20% della produzione mondiale) , scommettendo sull’impennata de prezzi. I costruttori di smartphone, dai cinesi all’americana Tesla, sono in allarme. Il raro minerale (che alimenta anche i telefonini) diventerà introvabile? Dall’altro capo della “catena” nella Repubblica Democratica del Congo, che ne è il primo produttore, dove pure le elezioni sono diventate rare (“non ci sono i soldi” dice il presidente Kabila) l’altalena dei prezzi non cambierà la vita della gente , specie dei centomila “scavatori clandestini”, (artigianali”) ai margini delle miniere “ufficiali”. Almeno 40.000, denuncia l’Unicef, sono minorenni. Amnesty International ha provato che i grandi costruttori high-tech non sanno da dove arrivi il cobalto degli smartphone. Qualche quintale arriverà dai protagonisti di questo reportage di Federico Scoppa, 41 anni, realizzato tra Lumumbashi e Kolwezi. Alphonse e la sua famiglia, racconta Federico, “scavano tra montagne di detriti già setacciati dalle macchine” senza protezione, per uno o due dollari al giorno. Pagando un pizzo del 30% ai guardiani che chiudono un occhio. I sacchi di materiale sono portati al corso d’acqua dove donne e bambini li “ripassano” alla ricerca dei resti di oro blu. Minatori nei rifiuti, anello (ultimissimo) di una disumana catena. (Corriere della Sera, 25 febbraio 2017, pag. 19 esteri, con foto).
Perdita di biodiversità
- Nemley e gli altri baby scimpanzé venduti per 15.000 euro. Il documentario –inchiesta della Bbc sulla tratta segreta: i mercanti dell’Africa centrale seguiti per un anno.(…) E’ un mercato ricco – sono 3000 secondo l’Onu i gorilla, gli orangutan e gli scimpanzé venduti ogni anno – e violento. Per assicurarsi il bebè i bracconieri uccidono il resto del clan, spesso dieci animali adulti per ogni piccolo, ma la pratica continua nonostante i divieti: i cuccioli sono richiestissimi in Medio Oriente e Asia come animali domestici. Per 4000 dollari l’uno, la Bbc è riuscita anche ad acquistare diversi certificati della Convenzione per il commercio internazionale degli animali minacciati di estinzione, Cites, che fa parte delle attività dell’Onu per l’ambiente e che rende la vendita legale. (Corriere della sera, 2 febbraio 2017, pag. 25 cronache)
- Rivolta trasversale contro i cacciatori di lupi. E’ Sos lupo. Perché il Piano di conservazione e gestione del lupo, messo su dal Ministero dell’Ambiente con il suo istituto di ricerca, l’Ispra, e la consulenza di una settantina di esperti, ha scatenato la rivolta. Il piano prevede 22 misure per affrontare i problemi di “convivenza “ che si sono inaspriti, fra i lupi e gli allevatori. Ci saranno monitoraggio della specie, campagne di informazione sui sistemi di prevenzione naturali (cani pastore, rifugi, recinti elettrificati), gestione dei pascoli, lotta agli incroci con i cani, rimorsi più rapidi dei danni. Come ultima soluzione, qualora gli altri provvedimenti non dovessero dare risultati, è previsto l’abbattimento controllato fino al 5% della popolazione complessiva di lupi in Italia. Dove – stando alle stime perché non esiste alcun censimento in proposito – ci sarebbero fra i 100 e i 150 esemplari sulle Alpi e fra 1070 e 2472 in Appennino, il 18% dei lupi dell’Unione Europea. (Il Manifesto, 2 febbraio 2017, pag. 5; un articolo più ampio sulla stessa fonte il 5 febbraio 2017, pag. 10)
- Almeno otto leoni sono stati uccisi dai bracconieri negli ultimi mesi nella provincia del Limpopo, in Sudafrica. Gli animali, alcuni dei quali ritrovati senza testa e zampe, sono stati avvelenati. (Internazionale n.1190, 3 febbraio 2017, pag. 92)
- Nelle steppe tra Cina e Russia. Mongolia, tra gelo e orgoglio. Dopo il boom, la crisi. Nello straordinario paese dei nomadi, il popolo dona oro e cavalli allo Stato per evitare la bancarotta. La Mongolia, democrazia stretta geograficamente e politicamente tra Russia e Cina, è anche strangolata dal debito pubblico. A marzo scade una tranche di bond da 580 milioni di dollari, le casse dello Stato sono vuote, e il governo si è rivolto a tutti, finora senza trovare nuovo credito. Si sono mobilitati i cittadini, donando soldi in contanti, gioielli, bestiame, anche i cavalli della loro straordinaria cultura nomade per riscattare il paese. Parlamentari e manager di aziende stanno contribuendo alla colletta con sottoscrizioni fino a 100 milioni di tugrik , la moneta locale. Ma siccome l’anno scorso il tugrik ha perso un quarto del suo valore, 100 milioni significano solo 40.000 dollari. Lo slancio di generosità e di orgoglio nazionale della popolazione, è tanto più impressionante se si considera che la Mongolia sta vivendo uno dei suoi inverni più rigidi, con temperature a meno 56 gradi sotto lo zero, venti e siccità che stanno uccidendo il bestiame. Questa situazione climatica si chiama “dzud” nella lingua della steppa. Di solito si presenta una volta ogni dieci anni, ma anche il 2016 era stato anno di “dzud” e aveva causato la perdita di un milione di capi di bestiame e animali, letteralmente essiccati dal gelo. Problemi che si aggiungono a problemi. Ma per il premier Jargaltulga Erdenebat, una soluzione – almeno per il debito – è possibile: il “bailout “, il salvataggio del Fmi. “Il governo spenderà il denaro ricevuto dai cittadini in programmi per la sanità, l’istruzione e la riduzione dello smog”. (…) (Corriere della Sera, 7 febbraio 2017, pag. 17 esteri, con foto)
- La Fao ha lanciato l’allarme per un parassita che minaccia le coltivazioni in Africa tropicale. Si tratta dello Spadoptera frugiperda, una larva che fa parte della famiglia dei lepidotteri. (Internazionale n.1191, 10 febbraio 2017, pag. 96)
- La focena del golfo di California (nota anche come vaquita) il cetaceo più piccolo del mondo è a rischio di estinzione. Secondo il comitato internazionale per la protezione della vaquita (Cirva), ne rimangono solamente trenta esemplari. (Internazionale n. 1191, 10 febbraio 2017, pag. 96).
- La presenza del batterio Xylella fastidiosa, che in Italia ha causato la morte di migliaia di ulivi, è stata rilevata in alcuni alberi delle Isole Baleari, in Spagna. Per evitare il contagio, le autorità hanno distrutto 1900 piante. (Internazionale n. 1191, 10 febbraio 2017, pag.96)
- Protesta a Roma di 50 giardinieri. “Utilizzati per l’emergenza, ora rottamati”. Erano stati assunti dall’ex commissario Tronca, per pulire le ville storiche in occasione del Giubileo e sono stati di sostegno al Servizio Giardini. Ma il contratto che l’amministrazione aveva assicurato di rendere stabile è in scadenza. Ieri hanno manifestato in Campidoglio. (Corriere della Sera, 10 febbraio 2017, pag.7 cronaca)
- Il dramma delle balene in Nuova Zelanda. In più di 400 sulla spiaggia. Fra le ipotesi l’inquinamento acustico in mare . Lotta per salvarle. Ma già 300 sono morte. I globicefali (Globicefhala melas) sono dei delfinidi, più simili ai delfini che alle balene. Predatori, vivono fino a 40 anni e per cercare le loro prede raggiungono profondità anche di 600 metri, dove, nel buio, riescono a rilevarle grazie al vistoso “sonar “ che caratterizza la fronte prominente: una zona ricca di grasso funzionante da lente acustica amplificatrice del segnale. “Può succedere che il capobranco si ammali, perda la capacità di orientarsi e il gruppo lo segua verso l’infelice destino, ma in questo caso erano in troppi. L’ipotesi non soddisfa.”. (Corriere della Sera, 11 febbraio 2017, pag. 25 cronache e molte foto)
- Nella città degli orsi. Mentre un terzo dei 26.000 orsi polari rimasti nell’Artico rischia di scomparire entro il 2050, c’è ancora una città in cui il più grande carnivoro la fa da padrone: si tratta di Churchill, villaggio canadese affacciato sulla Baia di Hudson , che ogni anno viene “invaso” da un migliaio di giganti bianchi. Lunghi fino a tre metri per oltre 600 chili di peso, gli orsi iniziano ad aggirarsi per la tundra del Wapusk National Park all’inizio dell’inverno, quando l’insenatura ghiaccia e comincia la caccia alla foca. Tra febbraio e marzo, invece, è più facile vedere le femmine che accompagnano i cuccioli nelle prime esplorazioni fuori della tana. Per proteggere gli appena 800 abitanti ( e gli orsi stessi), i ranger locali hanno persino creato una hotline per le segnalazioni di avvistamenti. E il fascino della migrazione polare ha attirato pure le telecamere dei documentaristi dello Smithsonian Channel, autori di un’originale serie – reality tv (disponibile in streaming on line) che racconta la vita a Polar Bear Town. (Io Donna, 11 febbraio 2017, pag.162)
- I segreti nel genoma della Quinoa. Pianta coltivata dagli Inca, cresce anche su suoli poveri, non è soltanto “di moda” può aiutare la lotta contro la fame nel mondo. Venerata dagli Inca come pianta sacra, la quinoa viene coltivata da più di 5000 anni sugli altopiani delle Ande ad altitudini comprese tra i 3800 e i 4200 metri. Per gli Inca era la “chisiya mama”, ovvero la “madre di tutti semi”. Sarà un “falso cereale” a risolvere il problema della fame nel mondo. O almeno questa è l’ipotesi di un team internazionale di scienziati che ha quasi completato la mappatura in alta definizione del genoma della quinoa, un “super food” con grandi proprietà nutritive, capace di adattarsi ad ambienti estremi. I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista Nature, alla quale hanno collaborato 33 ricercatori di quattro continenti, coordinati da Mark Tester della King Abdullah University of Science and Technology dell’Arabia Saudita, hanno già permesso di identificare alcuni dei geni chiave che potrebbero consentire in futuro di manipolare questa pianta facendone una risorsa alimentare per il mondo. Rendendola, ad esempio, più corta e robusta , così da diffonderne le coltivazioni in terreni inutilizzati e inospitali, o eliminando l’amarezza dei semi causata dalle saponine, dei composti chimici naturali. Perfetta per i celiaci perché totalmente priva di glutine. Amata da vegani e vegetariani per l’apporto proteico. La quinoa (la pronuncia corretta è keen-wa, non qui-no-a) cresce fino a oltre 4000 metri di quota e alcune varietà sopportano una temperatura di 38 gradi. Nonostante questa caratteristiche e l’alta domanda, la sua produzione è ancora marginale: quasi 200mila tonnellate l’anno, niente a che vedere con le centinaia di milioni dei grandi cereali che si dividono il mercato globale. Se, infatti, non molto tempo fa la quinoa era solo un oscuro “cibo” sudamericano, acquistabile nei negozi di alimenti biologici, oggi invece la troviamo comunemente , e in svariate forme, sugli scaffali dei supermercati. (…) Questa pianta appartiene alla stessa famiglia di spinaci e barbabietola e spesso è considerata erroneamente un cereale, perché se ne ottiene una farina particolarmente ricca di amido. A renderla “speciale” –tanto che la Fao nel 2013 l’ha eletta “Cibo internazionale dell’anno” e le Nazioni Unite l’hanno definita “un’arma perfetta per sconfiggere la fame” – sono le sue qualità. Il quotidiano inglese Guardian l’ha ribattezzata “il beluga dei cereali”, perché è digeribile, proteica e con poche calorie, oltre a essere ricca di fibre, minerali (tra cui magnesio, sodio, fosforo, ferro e zinco) e vitamine B, C ed E. Ha un basso indice glicemico e inoltre contiene tutti gli aminoacidi essenziali che il corpo non è in grado di produrre e che deve regolarmente assumere. Come consistenza somiglia al cous cous, ma è un po’ più croccante, e il suo sapore ricorda quello del riso. Ne esistono oltre 200 varietà. La bianca, la rossa e la nera sono quelle più coltivate e diffuse. Generalmente si consuma bollita, come ingrediente di zuppe, minestre oppure insalate.(…) (Corriere della Sera, 12 febbraio 2017, pag.23 cronache, con dati di produzione e ricette)
- Il ritorno degli avvoltoi. Grifone, monaco, gipeto, capovaccaio, ecco perché volano di nuovo in Italia. Il grifone è ricomparso in un centinaio di esemplari in Sicilia dove è stato reintrodotto, grazie agli interventi della Lipu, nel parco dei Nebrodi, mentre quelli della costa occidentale sarda si sostengono con la liberazione di esemplari esterni donati da governo spagnolo. Nelle Alpi orientali arrivano dalla vicina ex Jugoslavia molti grifoni e a volte il raro avvoltoio monaco osservato nella Riserva del lago del Cornino, tutti attirati dai carnai riforniti – in accordo tra Comuni e allevatori – con animali morti e scarti di macelleria. Nella Riserva del Corpo Forestale sul Monte Velino in Abruzzo si è ricreata , dopo 500 anni di assenza , una popolazione di grifoni che si sta diffondendo nei monti circostanti e nei vicini parchi Nazionali dell’Appennino. Altri grifoni importati veleggiano protetti nelle gole del parco nazionale del Pollino in Basilicata e Calabria. Per il piccolo capovaccaio sono all’opera iniziative di ripopolamento in Puglia, anche con esemplari allevati in Toscana dall’ornitologo Guido Ciccolini. Infine, il maggior successo registrato da una operazione alla quale il Wwf ha contribuito, è il ritorno del mitico gipeto sulle Alpi. Estinto nel Gran Paradiso nel 1912, è stato allevato in vari zoo dell’Austria e liberato in natura. Oggi conta 230 esemplari e si riproduce anche nei parchi nazionali dello Stelvio e del Gran paradiso, costituendo una importante attrattiva per naturalisti e turisti. (Corriere della sera, 13 febbraio 2017, pag.29 cronache, con molte foto)
- L’invasione dei bruchi spaventa il Sudafrica. Stanno conquistando una fetta importante dell’Africa subsahariana. Dallo Zambia allo Zimbabwe, giù fino al Sudafrica è emergenza bruchi. Ne parla Matthew Hill sul Chicago Tribune. Al punto che il ministro dell’agricoltura del governo di Pretoria è dovuto intervenire con investimenti mirati. (Corriere della Sera, 16 febbraio 2017, pag. 30)
- Uno sciame di locuste ha distrutto più di mille ettari di coltivazioni vicino a Santa Cruz, nell’est della Bolivia. Il governo ha lanciato un piano di disinfestazione. (Internazionale n.1192, 17 febbraio 2017, pag. 96)
- In Europa almeno un quarto delle specie di grilli e cavallette potrebbero sparire . Le cause principali sono l’agricoltura intensiva, gli incendi (in particolare in Grecia e nelle isole Canarie) e il turismo. E’ quanto emerge da una indagine durata due anni dell’Unione internazionale per la conservazione della natura, sul rischio di estinzione di un migliaio di specie di questi insetti nel vecchio continente. Cavallette e grilli sono una importante fonte di cibo per gli uccelli e i rettili, e la loro estinzione altererebbe in modo pericoloso la catena alimentare. La loro presenza è un buon indicatore della biodiversità. (Internazionale n. 1192, 17 febbraio 2017, pag. 96)
- Salvate le farfalle di città. Lavanda e ruta sui balconi per salvare le farfalle di città. Il loro numero calato del 69% in vent’anni. Le farfalle in città hanno fatto la storia delle scienze naturali, a partire dalla bison betularia, la specie di falena che dopo il 1850 fu osservata cambiare di colore a Manchester , perché si adattava alle modifiche ambientali causate dalla rivoluzione industriale , e fu una delle prove della selezione naturale teorizzata in quegli anni da Charles Darwin. Ora proprio dal Regno Unito arriva un nuovo allarme per i lepidotteri che vivono in zone urbane: stanno sparendo molto più in fretta che nelle campagne. Negli ultimi 20 anni, rivela una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Ecological Indicators il numero di farfalle urbane è diminuito del 69% contro un calo (peraltro già significativo) del 45% nelle aree rurali. Tra le specie più colpite , la panfila (-78% in città, -17% in campagna) e l’argo bronzeo, diminuita rispettivamente del 75% nei contesti cittadini e “solo” del 23% in quelli rurali. Colpa , ipotizzano gli scienziati dei cambiamenti climatici: in città si sentono più che altrove a causa delle cosiddette isole di calore che fanno aumentare tantissimo la temperatura nelle zone cementificate. Ma anche della progressiva sparizione di aree verdi nei centri urbani, in particolare di quelle incolte, e della diffusione sempre maggiore dei pesticidi nei giardini cittadini. Le città insomma non hanno più gli ecosistemi a ospitare questi insetti. “Le farfalle entrano nelle aree urbane, ma poi non trovano le piante di cui hanno bisogno per sopravvivere”, conferma Gustavo Gandini, professore del dipartimento di medicina veterinaria dell’Università di Milano, e promotore di due progetti che mirano proprio a migliorare gli ecosistemi urbani per gli insetti impollinatori grazie alla collaborazione dei normali cittadini: “Effetto Farfalla” (effettofarfalla.net) che sta portando avanti una sperimentazione pilota a Milano, Ravenna e Bologna, e “Impollina-mi” (www.impollina-mi.org) realizzato in collaborazione con Comune di Milano, Cooperativa Eliante, l’Università dell’Insubria Varese e Fondazione Cariplo. “Invitiamo le persone a piantare sui loro terrazzi, nei giardini condominiali o delle scuole piante che possano ospitare le farfalle. Io per esempio ho messo ruta e finocchio selvatico, di cui si nutre il bruco di macaone (che mangia solo quelle)” Vanno bene anche ortica e cardo, di cui si cibano le larve di Vanessa. E poi lavanda, achillea, verbena e fiordaliso, che forniscono il nettare agli insetti adulti. “Così anche se abito al settimo piano trovo i fiori pieni di farfalle- dice Gandini –Un altro aspetto importante è quello di evitare il più possibile i pesticidi. Tutti possono contribuire e con un lavoro attento possiamo fornire in città un rifugio agli insetti impollinatori, fondamentali per il benessere dell’ambiente. “ La scheda: “Tra le farfalle che è più facile incontrare nelle nostre città ci sono: Macaone, Podalirio, Vanessa dell’ortica, Colia, Icaro Blu, Pieride del navone, Vanessa-c-bianco, Cedronella%. Altra scheda: “Alcune delle piante nutritici per i bruchi: la Ruta, il Trifoglio, l’erba medica, i Nasturzi, i Pruni, il Finocchio selvatico e il biancospino. Quelle di cui si cibano le farfalle sono invece: Lespedeza, Lavanda, Astri, Achillea, Erba cipollina, Verbena, Alisso, Fiordaliso, Aquilegia comune, Malvone, Lino da fiore, Nigella, Girasole messicano, Zinnia, Ortica”. (Corriere della Sera, 18 febbraio 2017, pag. 25 cronache )
- C’è un pezzo di barriera corallina alla foce del Rio delle Amazzoni. La sorpresa dei ricercatori. Si estende per 9.500 chilometri quadrati. E’ il fiume più grande del mondo, per l’immensità del suo bacino; il secondo più lungo dopo il Nilo e quello con la portata più imponente alla foce, pari al volume dei sei fiumi che lo seguono in questa hit parade planetaria. Acque impetuose, melmose, torbide. Nessuno si aspettava di trovare proprio alla foce del Rio delle Amazzoni , dove si incontra l’oceano Atlantico, una barriera corallina che si estende per 9.500 chilometri quadrati. Ancora tutta da esplorare e già minacciata dai pozzi petroliferi. L’equipe degli scienziati dell’Università federale di Rio de Janeiro, capitanata dal professor Rodrigo Moura, ha pubblicato sulla rivista Science l’incredibile ultima scoperta sul “rio Amazonas”, un tesoro nascosto tra i 30 e i 120 metri di profondità davanti allo Stato brasiliano di Amapà, tra il Maranhao e il confine della Guyana francese. Sotto lo sporco e denso “plume” (la massa di materia trasportata dal fiume) si celano gorgonie, alghe rosse, 73 specie di pesci, aragoste, stelle marine e spugne gigantesche, alte fino a due metri. Qualcosa di impensabile, finora: il corallo di norma è molto sensibile alla torbidità e predilige acque cristalline, saline e soleggiate. Tanto è vero che le grandi barriere oceaniche in genere si interrompono bruscamente all’altezza degli estuari dei fiumi. Il Rio delle Amazzoni è probabilmente il fiume più terroso del pianeta, trasporta enormi quantità di sedimenti lungo i suoi 6437 chilometri Apparentemente ,però, proprio alla foce le forti correnti impediscono i depositi e permettono la sopravvivenza di queste preziose colonie di celenterati marini arborescenti, intorno a cui proliferano molte altre forme di vita. E’ la conferma di un’ipotesi avanzata verso la fine degli anni Settanta e confermata dalla grande pescosità di questo tratto di costa, ma mai accertata fino a oggi a livello scientifico. Questo sistema corallino, sostengono i ricercatori che hanno dragato la zona negli ultimi anni, ha caratteristiche molto differenti dai reef finora conosciuti ed è piuttosto “impoverito in termini di biodiversità”. Il suo stato di salute “offre informazioni preziose anche sulla risposta degli ecosistemi corallini al cambiamento climatico”, dicono gli autori del “paper” scientifico che mette in guardia anche dall’ulteriore rischio di un disastro ecologico, provocato dalle esplorazioni petrolifere lungo la costa. Un’ipotesi tutt’altro che remota. “Negli ultimi decenni, sono stati acquisiti 80 blocchi esplorativi per la trivellazione petrolifera nella regione, 20 dei quali sono già attivi- si legge nello studio – Presto produrranno petrolio in prossimità del reef , ma l’analisi ambientale delle società petrolifere e del governo brasiliano è in gran parte fondata su campioni non indicativi”. L’associazione ambientalista Greenpeace a breve manderà sulla foce del Rio delle Amazzoni una delle sue imbarcazioni per monitorare la barriera corallina: “Sono previsti dodici pozzi. Total, Bp e una compagnia locale sono in attesa dell’autorizzazione da parte dell’Istituto brasiliano del medio ambiente per far partire le esplorazioni. In aree estremamente vicine al reef , in un caso ad appena otto chilometri” spiega Alessandro Gianni, direttore delle campagne di Greenpeace Italia. “Chiediamo al Brasile di bloccare qualsiasi permesso e di preservare un ecosistema unico al mondo , di cui non sappiamo ancora nulla, oltre a ribadire il nostro invito a cercare nuove fonti di energia”. (Corriere della Sera, 18 gennaio 2017, pag. 23 cronache).
- Secondo ricercatori sudafricani e britannici, il cambiamento climatico e la pesca eccessiva potrebbero causare l’estinzione dei pinguini del Capo, diffusi in Sudafrica e in Namibia. (Internazionale n.1193, 24 febbraio 2017, pag. 96)
- Alcuni esemplari di carpa erbivora, una specie originaria dell’Asia, sono stati individuati in tre dei Grandi laghi al confine tra Canada e stati Uniti. Secondo gli esperti, la nuova specie mette a rischio gli ecosistemi locali. (Internazionale n. 1193, 24 febbraio 2017, pag. 96)
- Le piante acquatiche riducono la concentrazione in mare di batteri nocivi per gli esseri umani, i pesci e gli invertebrati, scrive Science. Lo studio è stato svolto in alcuni atolli vicino a Sulawesi, in Indonesia. Nelle aree dove erano presenti praterie di piante acquatiche, la concentrazione di batteri Enterococcus era inferiore. Le piante marine potrebbero avere questo effetto grazie alla produzione di ossigeno e di composti che inibiscono la crescita dei batteri. (Internazionale n.1193, 24 febbraio 2017, pag. 96)
- Il cambiamento climatico è già un problema per molti animali. Secondo uno studio pubblicato su Nature Climate Change, il riscaldamento del pianeta ha avuto conseguenze negative su circa la metà dei mammiferi terrestri minacciati e sul 23% degli uccelli minacciati, per un totale di quasi 7000 specie. Finora si pensava che gli animali danneggiati dal cambiamento climatico fossero meno numerosi. (Internazionale n.1193, 24 febbraio 2017, pag,96)
- Meno pesce oggi per averlo domani. Ogni volta che si mangia un pesce, ci sarebbe da chiedersi quante persone nel mondo stiano facendo lo stesso. E come sia possibile soddisfarle regolarmente con migliaia di tonnellate di pescato ogni giorno. Stessa riflessione si potrebbe applicare ai maiali e ai polli. Per i pesci, però, è diverso: alcuni si possono allevare ma molti altri vanno presi dai mari e la loro quantità e capacità riproduttiva è limitata. Il problema è serio e uno studio appena pubblicato dalla Banca Mondiale mostra quanto l’industria della pesca sia irrazionale , quanto faccia male a se stessa , cosa si può fare per migliorare la situazione. Lo studio parte da un dato stimato dalla Fao: quasi il 90% dei bacini di pesca marina sono da considerarsi overfished, che cioè hanno superato il limite dello sfruttamento, oppure sono a quel limite. Tanto è vero che la pesca ha raggiunto da vent’anni un plateau e non cresce: 93,13 milioni di tonnellate nel 1996, 94,65 nel 2014, (nel 2013 si è anche registrato il sorpasso della quantità di pesce da acquacultura , a 101, 14 milioni di tonnellate nel 2014).
Uno degli indici che illustrano l’impoverimento del settore è la media di tonnellate per pescatore: cinque nel 1970, meno di 2,5 nel 2012. La Banca Mondiale ha dunque calcolato quale sarebbe l’equilibrio ideale di una pesca sostenibile, che non impoverisce gli stock e l’economia dei pescatori e dell’industria. L’ha poi confrontato con la situazione attuale e ha stabilito che, a causa dell’eccesso di pesca, il settore perde ogni anno 83 miliardi di dollari (calcolo al 2012). “Miliardi affondati” dice lo studio ma che potrebbero nel tempo essere recuperati “sia effettuando delle riforme della governance dei bacini di pesca, sia permettendo agli stock di pesce un periodo di grazia, per ritornare a un livello più alto, più sostenibile e più produttivo”. Tornare ad un equilibrio ottimale consentirebbe alla biomassa di pesce negli oceani di crescere di 2,7 volte; permetterebbe alla pesca di crescere del 13%; alzerebbe i prezzi unitari dei pesci fino al 24% grazie all’aumento degli stock di specie ad alto valore oggi particolarmente colpite dall’overfishing. Una riduzione annua del 5% della pesca globale per dieci anni consentirebbe di arrivare all’equilibrio ottimale entro 30 anni, quando il pescabile annuo sarebbe di 600 milioni di tonnellate. Meno pesce oggi per averne di più domani. (Corriere della Sera, 26 febbraio 2017, pag. 37)
Salute globale
- Vaniglia a peso d’oro. Il Madagascar produce l’80 per cento della vaniglia consumata in tutto il mondo, scrive Le Monde. Nel 2016 ne ha esportate duemila tonnellate, contro le 1500 dell’anno precedente. Metà sono finite in Europa e un terzo negli Stati Uniti. “Ogni baccello di vaniglia vale ormai come l’oro. Da due anni i prezzi della pianta sono in costante ascesa. Nel 2014 un chilo di baccelli di vaniglia costava 65 euro, mentre l’anno successivo il prezzo è arrivato a 205 euro. Oggi sui mercati internazionali un chilo è scambiato anche a 400 euro”. La vaniglia, sottolinea quotidiano francese, è al centro di un “aberrante speculazione”. I prezzi alti, inoltre, spingono i produttori ad aumentare i raccolti in vari modi con la conseguenza di ridurre la qualità del prodotto. “Nei baccelli il tasso di vanillina, la sostanza che dona la caratteristica fragranza della pianta era all’1,8% nel 2014. L’anno successivo è passato all’1,2% e oggi sta andando sotto l’1%”. (Internazionale n.1190, 3 febbraio 2017, pag. 95)
- Diesel sotto assedio. Misure sempre più restrittive per il gasolio e costi troppo alti per convertire i motori. Ma in Italia resta il carburante più venduto. Il finale potrebbe essere già scritto. Il diesel che scompare, avvolto dalle stesse polveri sottili che, inesorabilmente, continuano ad uscire dal suo tubo di scarico. Perdendo così anche l’ultimo baluardo di resistenza: l’Italia. Nel nostro paese non sembra essersi ancora manifestata una seria intenzione a cambiare abitudine: le vendite di auto ibride crescono (più 40,9% a gennaio, rispetto al gennaio al gennaio 2016) e se le elettriche pure non sfondano (poco più di 1400 unità vendute lo sordo anno), la passione per il motore a gasolio non dà segnali di resa. Al contrario: la quota di mercato nel 2016 (57,3%) supera quella del 2015 (55,7%). La spinta alla crescita del Diesel arriva dalle flotte aziendali, dove ha quote vicine alla tripla cifra e fa pesare ancora quel 15% di efficienza in più rispetto alla benzina. Quanto resisterà l’Italia del gasolio? A sentire gli analisti, non molto: per Alix Partners nel 2030 la quota delle auto a gasolio in Europa sarà del 9%. Inevitabile che anche in Italia le vendite siano trascinate in basso. (…) (Corriere della Sera Motori, 6 febbraio 2017, pag. 44)
- Il terribile destino degli orsi della luna. Ci sono delle abitudini dure a morire che non fanno onore all’essere umano. Una di queste è la pratica dell’estrazione della bile dall’orso vivo, usata come medicina tradizionale : anti infiammatori, creme per le emorroidi, afrodisiaco. Nonostante le ottime medicine nuove, in Cina, in Vietnam e nella Corea del Nord si continuano a tenere in gabbia questi grandi mammiferi in via di estinzione per estrarre , con un sistema che si chiama free dripping, la preziosa bile. Il catetere viene tenuto inserito nella cistifellea e lasciato lì in modo che la bile goccioli, regolata da un rubinetto. La pratica provoca dolori atroci al povero orso che per disperazione spesso tenta di uccidersi. Per impedirglielo, i proprietari estraggono loro i denti e tagliano loro le unghie. I plantigradi più commercializzati si chiamano “orsi della luna” e vengono dal Tibet. Chiusi in strettissime gabbie di bambù (potete vedere le foto su internet), malnutriti, tenuti in condizioni igieniche deplorevoli,sono soggetti a piaghe, deformazioni ossee e infezioni che li fanno soffrire e portare alla morte dopo lunghe agonie. Animal Asiache è una coraggiosa associazione diretta dalla inglese Jill Robinson, fondata nel 1993, rappresentata in Italia da Giuliana Corea (che ha appena pubblicato un prezioso libro di racconti chiamato Gli orsi della luna,ha scoperto che ci sono ancora 10.000 orsi imprigionati in Cina e 2400 in Vietnam. (…) (Corriere della Sera, 7 febbraio 2017, pag. 29)
- Il glifosato nuoce gravemente alla salute. Un milione di firme per spingere l’Europa a inserire l’erbicida più utilizzato (e venduto) nel mondo tra le sostanze cancerogene da mettere al bando.(…) Sul piatto ci sono affari per circa 8,8 miliardi di dollari all’anno entro il 2019. (…) Secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) è una sostanza “probabilmente cancerogena”. (…) Negli Stati Uniti, anche se la California dopo una battaglia legale lo ha appena inserito nell’elenco delle sostanze potenzialmente cancerogene, il glifosato è stato autorizzato senza problemi dall’Environmental Protection Agency.(…) In Italia, con un decreto del Ministero della Salute che ha imposto il ritiro di 85 prodotti fitosanitari e che ha vietato l’utilizzo del diserbante in “parchi, giardini, campi sportivi, aree gioco per bambini, cortili e aree verdi interne a complessi scolastici e strutture sanitarie”. Una buona notizia e una bruttissima: significa che la sostanza potenzialmente cancerogena comunque è stata utilizzata nelle città e nei campi fino a pochi mesi fa (in Italia è il prodotto fitosanitario più venduto e nel mondo – dato relativo al 2012 – ne sono state vendute 718.600 tonnellate. Solo in Lombardia è attivo un sistema di monitoraggio del glifosato nelle acque: tracce della sostanza sono certificate nel 31,8% dei luoghi dove si analizzano le acque superficiali. (…) (Il Manifesto, 9 febbraio 2017, pag. 16)
- Smog a livello di guardia? Anche la pagella ne risente. Anche se le vie respiratorie e il cuore sono gli organi che più risentono dello smog, le sostanze che inquinano l’aria sono nocive perfino per il cervello. ”Uno studio condotto a Barcellona ha mostrato, per esempio, che gli alunni delle scuole elementari in cui l’inquinamento era maggiore avevano più difficoltà cognitive e problemi comportamentali rispetto a quelli che trascorrevano le ore dedicate allo studio in contesti più salubri” spiega P.M Mannucci, già direttore scientifico del Policlinico di Milano e autore, con la giornalista Margherita Fronte, del libro “Cambiamo aria!” (Baldini & Castoldi). “In particolare, i medici spagnoli hanno potuto collegare i problemi riscontrati alla presenza nell’aria delle polveri sottili emesse dal traffico cittadino e non da altre sorgenti”. Non solo: lo stesso tipo di inquinanti è stato associato anche al morbo di Alzheimer, mentre una recente ricerca del Dipartimento di epidemiologia della Regione Lazio, ha trovato una relazione persino con la sclerosi multipla. “Più si indaga sui danni dello smog, più si scopre che la sua tossicità è generalizzata, dato che le particelle più fini, attraverso il circolo sanguigno, raggiungono tutto il corpo” conclude Mannucci, “Probabilmente i danni non sono ancora tutti noti, e questo è un motivo in più per chiedere a chi ci governa misure più efficaci per migliorare la qualità dell’aria. (Io Donna, 11 febbraio 2017, pag. 160)
- La strage dell’amianto nell’Oltrepò. Pavia, due ex manager Fibronit condannati per omicidio colposo.Sono 27 le morti accertate. (…) Nonostante un tasso di incidenza dei tumori da asbesto persino più alto di quello di casale Monferrato, la reazione delle vittime, degli amministratori pubblici e di una giustizia (spesso tentennante) non è stata altrettanto tempestiva e organizzata. Ma comunque la storia giudiziaria dimostra quanto sia difficile provare responsabilità penali (cioè individuali) . Al processo Fibronit, spiegano gli avvocati F.Zavatarelli e M. Carisano, le perizie hanno ragionato sul concetto di “dose accumulo”, cioè l’inalazione reiterata nel tempo delle fibre che hanno generato il mesotelioma, mentre in passato prevaleva il criterio della “dose killer” , cioè la singola esposizione all’origine della malattia. Ancora più difficile da dimostrare. Ma la giustizia guarda al passato: Il presente e il futuro sono i 32 milioni di tonnellate di amianto sparsi in tutta Italia, che ogni anno costano circa tremila vite. (Corriere della sera,11 febbraio 2017, pag.16)
- L’India ringrazia e ripudia Bill Gates. Fa vaccinare 27 milioni di bambini all’anno. Ma ora il Ministero interrompe la “consulenza”. Per fare da sé (e limitare influenze straniere). Autogol pazzesco o segno di maturità? L’India sta estromettendo Bill Gates, l’uomo che ha contribuito a sradicare la polio dal Subcontinente. La sua Fondazione, creata con la moglie Melinda, da fine mese non avrà più la “regia” del programma di immunizzazione. Un programma immenso, che ha salvato tante vite con i suoi vaccini somministrati ogni anno a 27 milioni di bambini e 30 milioni di donne in gravidanza. L’unità strategica di questo piano finora è stata in mano ad un gruppo sostenuto dalla Fondazione Gates, l’Itsu, ma dal 28 febbraio passerà sotto il ministero della Salute indiano, ha annunciato un funzionario. Una portavoce della Gates Foundation cerca di minimizzare. “Stiamo discutendo con il ministero per definire i contorni della prossima fase di supporto tecnico”. Lo stesso Bill Gates diffonde un tweet ottimistico sul suo futuro, forse per non pregiudicare l’esito di questa complicata mediazione con l’autorità. La Gates Foundation potrà pure continuare ad avere un ruolo nel programma, ma a quanto pare limitato, a un livello operativo, finanziando attività come la logistica. Una mossa – spiegano dal ministero della Salute – per evitare interferenze, condizionamenti politici, che peraltro – precisano – finora non si sono riscontrati. Nulla di personale, insomma, contro l’uomo più ricco del mondo (85 miliardi di dollari di patrimonio stima Forbes), partner chiave con la sua Fondazione del global Fund, il fondo mondiale che finanzia la lotta a Aids, malaria e tubercolosi? In realtà l’estromissione del fondatore di Microsoft è l’ultimo atto di un processo partito la scorsa primavera quando Nuova Delhi ha iniziato a limitare la presenza di operatori stranieri nel sistema sanitario . un centinaio di loro, quelli che lavoravano da più di tre anni attraverso agenzie umanitarie non indiane, furono licenziati. “Nessun consulente deve rimpiazzare in modo permanente un funzionario pubblico “ è stata la spiegazione del ministero della salute. Così l’India sta voltando le spalle a una consuetudine che dura dai primi anni ’90. Quella di colmare le lacune all’interno del sistema sanitario con consulenti assunti da agenzie umanitarie e Ong straniere. Con l’arrivo al potere dei nazionalisti indù nel 2014il clima è cambiato. (…) (Corriere della Sera, 12 febbraio 2017, pag. 15 esteri).
- Oltre un milione di vittime. Il sorpasso dell’India: ha il record di crescita di morti per smog. Dopo il sorpasso (invidiabile) sul tasso di crescita, quello (meno lusinghiero) sull’aumento dello smog. L’India ha superato la Cina per l’inquinamento dell’aria e sta diventando il paese dove si muore di più al mondo per quello che si respira. Un milione e 90mila le vittime stimate in un anno, secondo il rapporto State of Global Air, appena pubblicato da due enti americani, l’Health Effects Institute e l’Ihme. Oltre metà dei morti per smog del mondo avviene nelle due potenze asiatiche . 2,2 milioni , distribuiti egualmente nei due paesi. In termini assoluti dunque poca differenza, ma se guardiamo tendenze e percentuali le cose cambiano: in Cina il fenomeno dal 2010 si è stabilizzato mentre in India si sono registrati i più alti livelli di crescita di veleni nell’aria e i mori per smog sono aumentati più del 50% in 25 anni. Pechino da anni ha varato misure importanti per ridurre l’uso del carbone come fonte energetica, mentre New Delhi, malgrado l’impegno sulle rinnovabili, sta agendo più lentamente ( si è impegnata a uniformarsi agli standard Ue sulle emissioni entro il 2020, per dire). Del resto il ministro indiano per l’Ambiente, Anil Dave, minimizza: “Non ci sono dati definitivi nel nostro paese pe stabilire una correlazione diretta ed esclusiva tra decessi e inquinamento dell’aria”. (Corriere della Sera, 16 febbraio 2017, pag. 17 esteri, con foto)
- Aria inquinata, l’Ue riprende (anche) l’Italia. La Commissione europea ha lanciato un ammonimento all’Italia, il secondo, per l’eccessivo inquinamento da biossido di azoto (NO2) soprattutto a Roma, Milano, Torino e nella pianura padana. Provocato principalmente dal traffico stradale. Particolarmente pericolosi sono considerati i motori diesel.(…). Secondo l’istituzione di Bruxelles , l’aria inquinata provocherebbe nell’Ue circa 400mila morti premature ogni anno e causerebbe malattie respiratorie e cardiovascolari a milioni di persone. (…) (Corriere della Sera, 16 febbraio 2017, pag. 17 esteri)
- La medicina di Trump. La decisione del Presidente di bloccare gli ingressi negli Stati Uniti da sette paesi danneggia la formazione medica e il sistema sanitario, scrive il New England Journal of Medicine. Nel 2015 almeno un quinto di tutti i medici in attività negli Stati Uniti erano laureati stranieri. Non esistono statistiche sui medici provenienti dai sette paesi coinvolti , ma i medici a cui tra il 2014 e il 2015 è stato concesso un visto specifico per esercitare la professione sono stati 9.206. Tra i dieci paesi che hanno fornito più medici (1879 in tutto) sei sono a prevalenza musulmana. La Siria è uno di questi dieci, con 165 medici. Ai lavoratori stranieri è stato dato un permesso per esercitare nelle aree rurali ei n quelle urbane dove manca il personale. (…) (Internazionale n.1192, 17 febbraio 2017, pag. 95).
Economia e ambiente
- Un’ economia umana ha bisogno di altri numeri. (…) Ecco perché, ogni anno, il rapporto di Oxfam diventa una lettura insostituibile per chi vuole capirci qualcosa. L’economia globale diventa una materia da scuola primaria quando vediamo che, nel 2016, solo otto persone nel mondo possedevano la stessa ricchezza netta (426 miliardi di dollari) dei 3,6 miliardi di persone più povere. Non ci sarebbe altro da aggiungere. Invece Oxfam, implacabile, ha molto altro da raccontare: sette persone su dieci vivono in paesi in cui la diseguaglianza è fortemente aumentata negli ultimi trenta anni. Allo stesso tempo, dieci tra le più grandi multinazionali hanno generato nel 2015-2016, profitti superiori a quanto raccolto dalle casse pubbliche di 180 paesi e, nella maggioranza dei casi, ci sono riuscite eludendo le tasse. Intanto, 124 milioni di bambini non hanno la possibilità di andare a scuola: lo potrebbero fare , se solo si recuperassero i proventi dell’evasione fiscale delle grandi corporazioni a danno dei paesi poveri. Per non parlare dell’incredibile divario planetario fra gli stipendi dei top manager e quelli dei semplici lavoratori. Una crescita economica per pochi eletti, spesso a scapito dell’ambiente che, invece, appartiene a tutti. E in Italia? Nel 2016, l’uno per cento degli uomini più ricchi era in possesso del 25 per cento di tutta le ricchezza nazionale netta. Da soli, i primi sette miliardari italiani possiedono più ricchezza del 30 per cento più povero dei connazionali. (…) Ecco perché Oxfam ha lanciato una nuova campagna che ha come obiettivo Un economia umana al 99% . Si tratta di un piccolo vademecum di azioni virtuose che cambierebbero lo stato delle cose, a partire da una legislazione internazionale in grado di arginare l’evasione delle grandi società che oggi si nascondono nei tanti paradisi fiscali. Se volete uscire dalla fantapolitica populista e dare un morso alla realtà, basta digitare la parola Oxfam sul vostro motore di ricerca. (Io Donna, 4 febbraio 2017, pag. 128)
- Satelliti in orbita per paese di appartenenza e funzioni svolte. La visualizzazione mostra tutti i satelliti operativi che orbitano intorno alla Terra. I satelliti sono in totale 4256, di cui 1419 operativi. Nel grafico vengono distinti per utilizzo utenti e tipologia, e sono posizionati secondo l’altezza della propria orbita (y) e secondo l’ordine cronologico in cui sono stati lanciati dal 1989 fino a giugno 2016. Sono 65 i paesi ad aver lanciato propri satelliti. Il primato nei lanci è mantenuto da Stati Uniti (576), Cina (179) e Russia (136) . Nella classifica seguono: Multinazionali (98), Giappone (57), Regno Unito (41), India (38), Agenzia Spaziale Europea (33), Canada (28), Germania (24), Lussemburgo (18), Spagna (159), Israele (12). L’Italia è al 23° posto con 7 satelliti.
Sul totale dei satelliti lanciati sono operativi 1419, sono in pratica dei detriti spaziali gli altri 2837. Secondo le funzioni svolte, quelli operativi sono così classificati: Comunicazione (713), Osservazione terrestre (374), Navigazione e Gps (160), Sviluppo tecnologico (105), Scienze spaziali (67).
La fonte dei dati: UNOOSA, United Nations Office for Outer Space Affairs e UCS, Union of Concerned Scientists. (Corriere della Sera, La Lettura, 5 febbraio 2017, pag.12 e 13, con grafico dettagliato)
- Incubo Fukushima, un foro, l’altissima radioattività e i pericoli per l’ambiente. A sei anni dallo tsunami, per la prima volta delle immagini definiscono la portata del disastro. (…) Una telecamera ha filmato l’interno del reattore n.2, trasmettendo oltre a immagini di rovina, un dato estremamente preoccupante : le particelle emesse in quel punto raggiungono i 530 sievert l’ora, una quantità sufficiente per uccidere un essere vivente in pochi minuti. La precedente rilevazione, nello stesso punto, e cioè all’interno del vascello di contenimento, aveva riportato 73 sievert (comunque letali: una persona esposta a un sievert per un ‘ora rischia la morte). Inoltre, dal filmato registrato prima che la telecamera si rompesse, si è scoperto un buco di due metri e tracce di materia nera solida, probabilmente combustibile ormai esausto, alla base della struttura. “ Un livello così alto di radiazioni, se la misurazione esatta, sta ad indicare che il materiale fuso a seguito dell’incidente, non è lontano e soprattutto non è immerso nell’acqua”, ha spiegato alla Tv pubblica Hiroshi Miyano, docente dell’Università Hosei e a capo di una commissione di studio sullo smantellamento della centrale giapponese. (…) Un tecnico della Tepco, che ha chiesto di rimanere anonimo, suggerisce uno scenario gravissimo: “ Il foro è il risultato della fusione del nocciolo E sta a significare che il materiale radioattivo ha la possibilità, se ancora attivo, di tracimare nell’ambiente. Insomma, un ipotetico scenario da “Sindrome cinese”, con l’uranio che “scioglie” qualunque ostacolo cerchi di trattenerlo, sprofondando nella roccia sottostante e inquinando irrimediabilmente – almeno nei tempi umani – l’ambiente naturale. (…) Peraltro, politici e tecnici giudicano un fatto essenziale l’aver identificato per la prima volta dal 2011 tracce di combustibile esausto in uno dei reattori danneggiati. Finora, proprio a causa delle forti radiazioni, tutti i robot inviati alla ricerca delle barre di uranio si erano rotti prima di riuscire a dare qualche risposta. Tuttavia, i 530 sievert misurati nel reattore numero 2 – il più devastato – non permetteranno ispezioni superiori alle due ore prima della distruzione dei circuiti a causa delle emissioni. Dunque la realtà è questa, confermata anche dal governo di Tokyo: i tempi allungano (Tepco prevede che i lavori di bonifica non cominceranno prima del 2021, per concludersi dopo almeno 45-50 anni) e i costi lievitano , fino alla cifra di 170 miliardi di euro. (…) Basteranno? Dal disastro di Chernobyl (1986), l’incidente di Fukushima si sta dimostrando di gran lunga il peggiore della storia dell’energia dall’atomo. Tre ( su sei) i reattori coinvolti. Tutti, a detta degli esperti, hanno sofferto un qualche tipo di fusione. A parte il numero 2, negli altri vascelli la presenza di materiale fuso non è stata ancora localizzata. A marzo, nuovi robot tenteranno di entrare nei reattori per trovare i resti di uranio a sei anni esatti da quando lo tsunami , con onde alte dieci metri, ha provocato quello che in teoria non sarebbe mai dovuto succedere. “Abbiamo paura, dicono dal Giappone, perché la verità, ogni giorno che passa, appare peggiore della più terribile delle fantasie”. “Le radiazioni nell’area della griglia sfondata costringeranno ad adottare schermature ben più consistenti rispetto ai piani finora messi in atto. Restano tuttavia ancora incerte le condizioni per quanto riguarda le contaminazioni del territorio che non derivano dal reattore ma semmai dalle operazioni di raffreddamento degli impianti sempre necessarie mobilitando grandi quantità d’acqua. (Corriere della Sera, 6 febbraio 2017, pag.15 esteri, con foto ).
- Nucleare, la storia infinita di Sogin. I reattori italiani? Sono ancora tutti lì. [La storia impressionante dei ritardi del passato e dei costi sempre in aumento per smantellare i tre impianti, che attendono dal 1987 di essere eliminati. Una spesa di almeno 20 miliardi (calcoli a oggi). N.d.R ] (Corriere della Sera Economia, 6 febbraio 2017, pag.11)
- Onde elettromagnetiche, invisibili inquinatrici. Mentre la società industriale provoca danni percepibili all’olfatto e alla vista, l’inquinamento elettromagnetico è invisibile e inodore. Ma non si possono trascurare gli effetti sia dell’uso massiccio dei mezzi di telecomunicazione – in particolare il telefono cellulare – sia delle infrastrutture e delle attrezzature elettriche. L’uso delle onde non è nuovo, ma le tecniche utilizzate e la scala della loro estensione ci hanno trasportati in una nuova era, che spinge fino alla saturazione l’utilizzo dello spettro hertziano. Non sembra esagerato vedere in ciò lo sfruttamento di una risorsa naturale limitata. (…) Il Centro internazionale di ricerca sul cancro (Circ) ha classificato i campi elettromagnetici ad alta frequenza (telefonia, collegamenti radio tipo Wi-Fi o Bluetooth) nella categoria “possibili cancerogeni per gli esseri umani” (gruppo 2B). Tale classificazione porta a controllare attentamente l’associazione fra l’uso dei telefono portatili e il rischio di cancro. Sono in corso studi di grande portata. Secondo l’OMS, ci sono indizi di un collegamento fra una esposizione di lunga durata alle onde elettromagnetiche e alcune forme di cancro. E’ la conclusione, in particolare, di un’analisi di undici studi epidemiologici nel lungo periodo su utilizzatori frequenti di cellulari. In due decisioni di notevole importanza, la giurisdizione amministrativa tedesca e la Corte di Cassazione italiana, hanno riconosciuto l’esistenza di una patologia professionale legata all’esposizione alle onde magnetiche, rispettivamente per un radarista e un impiegato che usava molto il cellulare. In precedenza, altri studi avevano mostrato un collegamento fra l’esposizione di lunga durata ai campi elettromagnetici a basse frequenze e la comparsa di un tumore maligno. Così nel 2002 il Circ aveva classificato questi campi a frequenze estremamente basse nel gruppo 2B. (…) In Francia, il decreto relativo ai valori limite di esposizione della cittadinanza ai campi elettromagnetici è stato varato il 3 maggio 2002, fra i due turni di delle elezioni presidenziali, in assenza di qualunque concertazione e cortocircuitando il ministro della gestione del territorio e dell’ambiente, l’ecologista Yves Cochet. Il testo si è limitato a riprendere norme tecniche non obbligatorie , fondate su una ricerca già obsoleta, relativa ai soli effetti termici legati all’esposizione nel breve periodo. Contrariamente a una convinzione diffusa (e alimentata) queste soglie elevate non derivano affatto da una politica concertata di salute pubblica, ma traducono principalmente scelte industriali. In pratica queste soglie , già assai contestabili venti anni fa, assicurano una comoda immunità agli operatori delle telecomunicazioni. Inoltre, il rango modesto dei decreti nella gerarchia delle norme solleva una duplice domanda. In primo luogo, perché il potere esecutivo, pur tenuto al principio di precauzione, non ha preso l’iniziativa di rivedere quei valori limite di esposizione, quando lo poteva fare molto facilmente? E perché le giurisdizioni, nella sovrana valutazione dei fatti che è di loro competenza, rimangono ancorate a quei valori contestabili, senza prendere in considerazione i valori di orientamento più protettivi rispetto alla salute umana che già sono riconosciuti in altri Stati? (…) (Le Monde Diplomatique-Il Manifesto, febbraio 2017, pag. 16)
Riflessione
Almeno tre notizie hanno suscitato delle sensazioni “positive”, nel senso che all’immaginazione “dell’uomo della strada” si presentano subito delle idee di intervento magari risolutivo, e che invece sembrano non stimolare mai i centri di potere economico e politico. La prima riguarda le farfalle, animaletti che hanno sempre alimentato le fiabe e l’immaginazione non solo dei bambini e che invece sono sostanzialmente scomparse in quasi tutti i luoghi urbanizzati. In una città capitale, sarebbe proprio impossibile coltivare le piante per la loro alimentazione in qualche vivaio e distribuirle magari gratuitamente ai cittadini che dispongono di spazi e terrazzi o davanzali, in modo da ricostituire un ambiente accogliente per gli animaletti dai tanti colori? La seconda riguarda una pianta alimentare dalle splendide caratteristiche nutrizionali, che potrebbe essere diffusa in molti paesi apparentemente inospitali. Il rischio è che qualche multinazionale agroalimentare se ne impossessi, la muti geneticamente e la brevetti. Immaginare una copertura brevettuale internazionale per alcuni cibi essenziali potrebbe turbare i rapporti di forza o i principi liberisti oggi dominanti? E ancora, il caso della Mongolia un paese di grande estensione con solo tre milioni di abitanti, colpito in passato solo una volta ogni dieci anni da un inverno particolarmente freddo. In questi giorni, però, sta cercando di sopravvivere durante il secondo inverno consecutivo a 56 gradi centigradi sotto lo zero e che ha visto morire un milione dei suoi animali. Ha un debito pubblico, di entità piuttosto modesta rispetto ai debiti accumulati dai paesi industrializzati ed emergenti, e la popolazione si sta svenando per contribuire personalmente a raccogliere le somme necessarie per pagare il debito del suo Stato. Possibile che il Fondo Monetario Internazionale, controllato dai più ricchi paesi del mondo, non riesca a concepire un intervento di cancellazione fuori dalle sue regole, oltretutto di fronte a un evento chiaramente di forza maggiore? Ma forse queste proposte sono troppo sconvolgenti, e l’umanità ha perso la sua capacità di sorprenderci.
SCHEDE PRECEDENTI
- Benvenuti sull’ultima spiaggia
- Siamo nell’occhio del ciclone
- Un pianeta sempre più a rischio
- Stiamo strangolando la terra
- Sono ancora cattive le notizie sul clima
- Il clima dipende anche da noi
- Giocano sulla nostra pelle
- Non aspettiamo la catastrofe
- Basta carbone! O sarà la fine
- Stop all’ecatombe dell’ambiente
- 2016. Un altro anno nero per la terra
- Una moratoria per evitare la catastrofe
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