Gli Stati Uniti oggi producono l’85 per cento di beni in più rispetto al 1987. Per farlo, impiegano solo due terzi dei lavoratori che c’erano allora. A differenza degli slogan urlati nella campagna elettorale di Trump, però, le statistiche ufficiali non indicano la delocalizzazione, la presenza dei migranti o l’aumento delle tasse come fattori decisivi nel produrre questa situazione. La maggior parte della perdita di posti di lavoro si deve all’aumento dell’automazione e della robotizzazione delle industrie. Con il maggior utilizzo di intelligenza artificiale, l’automazione si estenderà ancora e gran parte dei presunti nuovi “posti di lavoro”, promessi ad esempio da Ford e General Motors con uno slancio di patriottica preferenza nazionale, saranno realizzati per i robot. L’automazione e la robotica, però, non sono certo delle novità. La “novità” è il salto esponenziale nello sviluppo dell’intelligenza artificiale e la convergenza con questa e con altre nuove tecnologie, come la nano e la biotecnologia, che si sta diffondendo ben oltre la produzione industriale. Un processo di convergenza che il Grupo ETC, dal 2001, chiama BANG (bit, atomi, neuroni, geni) e il Forum di Davos, dal 2016, chiama “quarta rivoluzione industriale”
di Silvia Ribeiro
Uno tra i principali fattori su cui Donald Trump si è basato nella sua campagna – e che adesso usa per giustificare assurde misure anti-migranti, alte tasse sulle importazioni e altro – è stata la promessa di ridurre la perdita di posti di lavoro. Tuttavia, secondo le statistiche ufficiali degli Stati Uniti, la maggior parte della perdita di posti di lavoro nel Paese è dovuta all’aumento dell’automazione e della robotizzazione delle industrie. Gli Stati Uniti producono oggi l’85 per cento di beni in più rispetto al 1987, ma con una forza lavoro di due terzi di quella che esisteva allora (FRED Economic Data). La previsione è che con il maggior utilizzo di intelligenza artificiale, l’automazione si estenderà a più industrie e settori, eliminando ulteriori posti di lavoro.
Le industrie, come Ford e General Motors, che recentemente hanno annunciato che rimarranno o rilocalizzeranno gli stabilimenti negli Stati Uniti, hanno già una parte importante della loro produzione automatizzata e la stanno aumentando. Gran parte dei presunti nuovi “posti di lavoro” che creeranno, saranno in realtà realizzati per i robot. General Motors si vanta di essere l’azienda automobilistica che più ha investito in nuove tecnologie, compreso lo sviluppo di veicoli senza guidatore, che si tradurranno, anch’essi, in meno posti di lavoro (autisti, consegne di prodotti e altri settori).
Carrier, che ha annunciato che due stabilimenti per la produzione di impianti di climatizzazione rimarranno negli Stati Uniti anziché insediarsi in Messico (decisione esibita come successo di Trump), ha ammesso davanti alla stampa che gli incentivi fiscali promessi da Trump, saranno utilizzati per aumentare in modo significativo l’automazione dei suoi stabilimenti: con ciò aumenterà i suoi profitti a medio termine ma ridurrà i posti di lavoro (Business Insider 5/12/16).
Il New York Times ha chiesto a Trump, in qualità di presidente già eletto, se i robot avrebbero sostituito i lavoratori che avevano votato per lui. Trump, allegramente, lo ha riconosciuto “Lo faranno, ma noi costruiremo anche i robot” (NYT, 23/11/16 https://tinyurl.com/juymes5).
Solo che, per adesso, a livello mondiale il paese con maggiore produzione di robot industriali è la Cina che ha già realizzato grandi investimenti per essere anche il primo produttore mondiale di robot applicati all’agricoltura e a nuovi settori della produzione industriale. (NYT25/1/17https://tinyurl.com/hwm d4p6).
Negli ultimi decenni, il trasferimento di grandi stabilimenti di produzione industriale in Messico e in altri paesi del Sud, si è verificato perché le multinazionali hanno trovato modi per aumentare esponenzialmente i loro profitti, sfruttando una situazione di salari bassi o infimi, condizioni pessime e pessimi diritti del lavoro e un terreno impune nei confronti dell’inquinamento e della devastazione ambientale oltre a evitare il pagamento delle tasse nella loro sede. Tutto questo è stato assicurato e potenziato con i trattati di libero commercio. Il ritorno di alcuni stabilimenti industriali negli Stati Uniti si basa su una rivalutazione dei loro vantaggi comparativi a partire dalla crisi attuale. Sicuramente, una delle componenti è la minaccia di Trump di imporre alte tasse sulle importazioni, ma la nuova ondata di automazione “intelligente” gioca un ruolo chiave. Se Trump, come ha promesso alle imprese, le sovvenziona con denaro pubblico per uno sviluppo più rapido verso la nuova generazione di automazione intelligente, questo senza dubbio costituisce una parte dell’equazione dei profitti di queste imprese. È chiaro che a Trump serve anche come presunta dimostrazione di forza e come immagine di chi sta invertendo la perdita di posti di lavoro.
Tuttavia, le previsioni sulla quantità di posti di lavoro che in questo paese andranno persi a seguito dell’applicazione industriale di nuove forme di robotica e di intelligenza artificiale, variano tra il 9 e il 47 per cento, a seconda dello studio che si prende in considerazione. A livello globale, recenti rapporti dell’OCSE, dell’Università di Oxford e del Forum di Davos -tra i più citati in merito-, prevedono, tutti, una maggiore perdita netta di posti di lavoro di quanto è già avvenuto: una tendenza che, sostengono, ha avuto un’accelerazione a partire dal 2000. L’UNCTAD, la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, prevede che nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, fino a due terzi dei posti di lavoro possono essere sostituiti da robot. (UNCTAD2016,https://tinyurl.com/zu 2r3vc)
L’automazione e la robotica, però, sono lontane dall’essere delle novità. La “novità” è il salto esponenziale nello sviluppo dell’intelligenza artificiale e la convergenza con questa e con altre nuove tecnologie, come la nano e la biotecnologia, che si sta diffondendo ben oltre la produzione industriale. Tra gli altri settori, si sta diffondendo nell’agricoltura e nel settore dell’alimentazione, nei trasporti, comunicazioni, servizi, commercio, industrie estrattive: con molteplici impatti sull’ambiente, la salute e anche sul lavoro.
Un processo di convergenza che nel Grupo ETC, dal 2001, chiamiamo BANG (bit, atomi, neuroni, geni) e che il Forum di Davos, dal 2016, chiama “quarta rivoluzione industriale”. L’automazione degli ultimi decenni ha comportato un aumento della produttività, ma non maggiore benessere sociale, bensì il contrario: ristagno salariale e aumento della disuguaglianza. Da notare che gli otto uomini più ricchi del pianeta -che concentrano più ricchezza che la metà della popolazione mondiale- sono in maggioranza imprenditori informatici o la loro attività è fortemente legata alla digitalizzazione e robotizzazione.
E secondo i rapporti prima menzionati, l’espansione della nuova ondata di automazione “intelligente” eliminerà più posti di lavoro di quanti ne genererà, colpendo anche settori diversi da quelli che già sono stati sostituiti da essa. Come Trump cercherà di risolvere questa contraddizione è un enigma.
Articolo pubblicato sul blog di Silvia Ribeiro con il titolo Trump, empleo y robots
Traduzione per Comune-info: Daniela Cavallo
Daniele dice
Conoscere i diritti fondamentali dell’uomo è come avere una panda in autostrada e gli altri tt un porche..sai che arrivi perche anche tu hai 4 ruote…una ruota dice:mangiare.l’altra: bere l’altra:dormire e l’ultima: do LOVE….
Come tutte le altre persone