testo di Cristina Volpe Rinonapoli, foto di Roberto Scordino
Ogni sabato pomeriggio dalle 15 alle 18, la comunità kurda si mette in circolo e balla. Siamo ad Ararat un centro che nasce nel maggio 1999 al Campo Boario, nel complesso in disuso dell’ex Mattatoio di Testaccio, a Roma. Uno stabile abbandonato che è diventato uno luogo di accoglienza e di ospitalità, animato da attività artistiche e culturali. Ararat è il monte leggendario sul quale si arenò l’Arca di Noè scampata al Diluvio universale, nonché il nome della prima nave carica di profughi kurdi giunta in Italia. Ararat è anche e soprattutto il monte simbolo dei kurdi e degli armeni, popoli oppressi e dispersi dalla repressione turca.
“La costruzione di questo spazio è stata possibile negli anni grazie allo sforzo dei profughi kurdi stessi, dell’associazione Azad, del Villaggio Globale, dell’associazione Senzaconfine, delle Donne in nero, degli architetti di Stalker, di Un ponte per… e di molti altri. Tutte le attività sono autogestite e autofinanziate dagli ospiti del centro con la collaborazione di volontari e volontarie esterne. Ararat è un punto di riferimento per la diaspora kurda, uno spazio nel quale coltivare la propria cultura e identità. La comunicazione delle ragioni dell’esilio alla società ospitante, ma anche delle bellezze e del valore storico della cultura di provenienza è fondamentale per delle persone che hanno perso molto, e che molto sono state costrette a lasciare dietro di sé”. Puntuale e semplice la presentazione dal sito internet che descrive lo spazio.
È sabato e noi siamo lì insieme a tante altre persone per i corsi di balli Kurdi. L’insegnante una bellissima ragazza dai lunghi capelli, occhi truccati che le rendono il viso ancora più espressivo, ogni danza ha una storia, i passi sono precisi, seguono il ritmo, raccontano di un popolo in continuo riscatto di identità. Il ballo rappresenta un legame con la propria terra, accorcia le distanze dai villaggi lasciati in fuga, rielabora i lutti e tiene accesa la volontà di una lotta. “Ho perso due fratelli, e molti amici al mio villaggio quando è stato assediato” racconta una donna dal sorriso sincero e triste che ci offre un thè, al piano di sopra il corso comincia, è prossima una data molto importante: il Newroz, il capodanno curdo, la festa che più rappresenta questo popolo. Con l’entrata della primavera il 21 marzo, si celebra il Newroz per ricordare la vittoria degli oppressi sugli oppressori.” La leggenda narra infatti che un re-orco rende il popolo in schiavitù e miseria senza mai saziarsi della sua brama di ricchezza e potere. Un giorno infausto, il re pretende dai suoi sudditi i loro figli per cibarsene. Kawa, un umile fabbro del villaggio, è padre di un bambino che viene rapito dalle guardie per fare da banchetto alla tavola del re. Kawa si ribella al triste destino di suo figlio e decide di partire alla volta del castello in cerca del tiranno per ucciderlo. Il popolo tutto allora si rianima e trova il coraggio di reagire. Il castello viene bruciato con il re dentro, il fuoco ha ridato la vita e la libertà. Il popolo è finalmente libero dalla tirannia”.
Un ragazzo spiega che non è solo la festa del popolo Kurdo: “Noi vogliamo aprirci a tutti, le danze per noi sono un modo per spiegare la nostra cultura è molto importante che ci siano anche tanti italiani, è un modo per integrare ed integrarci”, seguono i balli e la narrazione, nella stanza – attaccata al muro – fa da sfondo, una cartina geografica che traccia il sogno proibito: un Kurdistan libero e autonomo, un ‘area vastissima che confina con Iran, Turchia e Siria, ci indicano vari territori ed è l’antropologia di un popolo” questo ballo narra di donne Kurde che si riunivano sulle montagne per raccogliere erbe medicinali e ballavano in cerchio ”ed ancora” questo è il ballo che si fa dopo una vittoria per aver difeso il proprio villaggio dall’attacco dell’Isis”.
La puntualità con cui il gruppo – in cerchio – nelle danze guidato dalla maestra di ballo che detta il ritmo, è dettata anche dagli imminenti festeggiamenti dove giorno e notte al campo boario si festeggerà il Newroz, un appuntamento che chiama tutta la città in adunanza, fissato per in una tre giorni dal 24 al 26 marzo, quest’anno più che mai importante, anche il centro Ararat è sotto minaccia di sgombero, come molti altri luoghi in città, al momento a livello internazionale non è riconosciuto il Kurdistan, questo luogo rappresenta in Italia un po’ un’ambasciata, dunque la sua vitale importanza.
Piedi sbattuti a terra, a ritmo, e chi non riesce ad andare insieme al gruppo, viene portato dai ragazzi Kurdi in un’altra stanza perché “è facile imparare basta lasciare i problemi a casa ed abbandonare il corpo” con la fierezza di un popolo che sorride e non si stanca di combattere.
L’appuntamento è per il 24, 25, 26 marzo fra balli e convivialità, per un Kurdistan libero.
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