Se vogliamo evitare lo scenario peggiore, dobbiamo agire subito, ha detto Robert Redford al Sundance festival contro il riscaldamento globale. Negli ultimi trent’anni alcune regioni dell’Asia centrale e del Medio Oriente hanno perso metà delle acque di superficie, che sono le più accessibili. Abbiamo però il dovere di immaginare un mondo diverso, grazie a forme alternative di economia, agricoltura, educazione, partecipazione e democrazia, dice Cyryl Dion in Domani, il documentario visto da un milione di spettatori in Francia. L’ultima selezione di notizie del 2016 curata da Alberto Castagnola mostrava in un quadro d’insieme le ragioni di un allarme sempre più drammatico ma anche qualche segnale significativo di controtendenza, come la crescita della consapevolezza nell’evitare gli sprechi alimentari perfino in un paese generalmente considerato pigro come l’Italia
a cura di Alberto Castagnola
La fine dell’anno ha permesso di valutare meglio la situazione della crisi climatica, poiché è ormai ampiamente confermato che gli ultimi mesi e anni sono stati particolarmente caldi. Lo scioglimento della banchisa nell’Antartide e la riduzione della estensione dei ghiacci nell’Artico ne sono la prova più evidente e inconfutabile; a queste immagini si aggiungono l’andamento delle temperature e la densità della presenza di anidride carbonica nell’atmosfera, che ha superato le 400 parti per milione e tende ancora ad aumentare. Di conseguenza vi sono più “zone morte”, cioè senza esseri marini viventi in molti mari e lo “sbiancamento” cioè la sparizione dei coralli nelle maggiori barriere sembra procedere ad una velocità maggiore del previsto. E ancora , la qualità dell’aria nelle principali capitali causa un numero molto rilevante di perdite premature di vite umane . Tutti questi fenomeni procedono nella stessa direzione e confermano le previsioni dell’IPCC, ma intanto abbiamo fatto passare due anni, – dei sei (2015-2020) nei quali gli scienziati avevano chiesto la massima concentrazione degli interventi volti a modificare radicalmente il cambiamento climatico in corso -, senza fare nulla di adeguato in questa direzione. E i modesti impegni assunti a Parigi e il blocco delle trivellazioni nei mari artici del Canada e degli Stati Uniti potrebbero essere svuotati dalle strategie ambientali del nuovo presidente americano. Il bilancio di fine anno non è certo tranquillizzante.
Clima ed eventi estremi
- Il 28 novembre una struttura di cemento e acciaio è stata posta sul reattore di Cernobyl interessato dall’esplosione del 1986. La copertura , alta 108 metri e larga 162, impedirà perdite radioattive per i prossimi cento anni (Internazionale n. 1182, 2 dicembre 2016, pag. 39, con foto)
- Il Sundance contro il riscaldamento globale. Stati Uniti. Forse come simbolica risposta a Trump, il festival crea il suo primo programma a tema sul clima. Il Sundance festival ha svelato i sessantasei film in concorso. E ci sono pochi dubbi sul fatto che i recenti sviluppi della politica statunitense abbiano influenzato la selezione. (…) Tra i film in programma Chasing coral, di Jeff Orlowski, sul decadimento della barriera corallina; Trophy di Shaul Schwartz e Christina Clusiau sulla miliardaria industria della caccia; Water or Power: a California Heist di Marina Zenovich, un indagine sull’intricato sistema idrico californiano. “Il mio impegno contro il riscaldamento globale è cominciato quarant’anni fa” ha commentato Robert Redford, fondatore del festival. “Se vogliamo evitare lo scenario peggiore dobbiamo agire subito, anche se ci troviamo davanti ad apatia, indifferenza o ostilità”. (Internazionale n. 1183, 8 dicembre 2016, pag. 92)
- La banchisa nel mare di Amundsen, in Antartide, si sta assottigliando da decenni. Il processo è cominciato probabilmente nel 1945, quando l’acqua marina ha superato per la prima volta una cresta di roccia sul fondo e si è insinuata tra il ghiaccio e la superfice rocciosa. Da allora l’acqua marina, che ha una temperatura più alta del ghiaccio, contribuisce allo scioglimento della parte inferiore della banchisa, scrive Nature. (Internazionale n. 11 82, 2 dicembre 2016, pag. 120; nella foto, iceberg tabulari nella baia dell’isola del Pino, in Antartide).
- Almeno nove persone sono morte nel passaggio dell’uragano Otto sulla Costarica. (Internazionale n. 1182, 2 dicembre 2016, pag. 120)
- Una rara nevicata di novembre su Tokyo, in Giappone. Era da più di cinquant’anni che a Tokyo non nevicava nel mese di novembre. (…) Anche se l’ultima nevicata a novembre risale al 1062, è la prima volta che la neve resiste per terra da quando sono cominciate le registrazioni nel 1875.(…) La nevicata precoce è stata causata dallo spostamento di una massa di aria fredda proveniente dall’Artico. Secondo i meteorologi giapponesi , l’ondata di maltempo è collegata all’oscillazione artica, un sistema climatico che interessa l’emisfero settentrionale. Di solito l’alta pressione alle medie latitudini non permette all’aria fredda a bassa pressione dell’Artico di penetrare. Ma a volta sistemi con una pressione più debole possono aprire una breccia in questa barriera lasciando che l’aria fredda passi e arrivi più a sud, come in questo caso (Internazionale n. 1182, 2 dicembre 2016, pag. 123; con foto da satellite).
- I sindaci contro il diesel. Seguendo l’esempio di Tokyo, altre quattro città, Parigi, Città del Messico, Madrid e Atene, metteranno al bando i motori diesel entro il 2025, incentiveranno i trasporti pubblici urbani e investiranno in infrastrutture per gli spostamenti a piedi e in bicicletta. La decisione è stata presa al vertice dei sindaci C40, che si è tenuto a Città del Messico, come misura per ridurre l’inquinamento e tutelare la salute dei cittadini. Rispetto al motore a benzina, il diesel rilascia meno anidride carbonica, ma può generare maggiori quantità di polveri sottili e ossido di azoto. (Internazionale n. 1183, 8 dicembre 2016, pag. 119)
- L’attività sismica in Oklahoma, negli Stati Uniti, dovrebbe presto ridursi e tornare nella norma. L’aumento dei terremoti è legato all’estrazione di metano e petrolio, in particolare all’immissione di acqua nei pozzi. Secondo Science Advance, la legge che ha imposto la riduzione del 40% del volume d’acqua immessa ridurrà in pochi mesi l’attività sismica. (Internazionale n. 1183, 8 dicembre 2016, pag. 119)
- La vita marina nella baia del Bengala, nell’oceano indiano nordorientale, sta scomparendo. Questa regione di 60mila chilometri quadrati è una nuova “zona morta” scrive Nature Geoscience, cioè una zona con livelli di ossigeno troppo bassi. Le zone morte sono in aumento a causa del riscaldamento globale e dell’inquinamento da fertilizzanti agricoli. (Internazionale n. 1183, 8 dicembre 2016, pag. 120)
- L’inquinamento gigante da polveri sottili. L’alta pressione stabile sul nostro paese allontana le piogge. Ma avvicina anche le pericolose polveri sottili. I tecnici dell’Arpa Lazio colorano la mappa della qualità dell’aria dei prossimi tre giorni ed è un allarme in crescendo. Nel fine settimana sulla capitale si allarga la “zona rossa”, quella in cui i livelli delle Pm10 sono più elevati e più dannosi. (…) Ma quella delle targhe alterne è una strategia parziale e di corto respiro: come più volte sottolineato dagli ambientalisti, l’aria può migliorare solamente con provvedimenti strutturali che favoriscono la mobilità alternativa. La riprova arrivò proprio alla fine dello scorso anno con i dati choc dell’Arpa che dimostrarono un aumento dei livelli delle Pm10 proprio durante i blocchi del traffico: il 30 dicembre ,infatti, sforarono ben 11 centraline su 13. (…) La capitale è soffocata dallo smog che, secondo lo studio europeo Aphekom, uccide 1278 romani all’anno e aggrava le patologie respiratorie dei soggetti più deboli, anziani e bambini. Mantenere le emissioni al di sotto dei limiti di guardia – spiega lo stesso studio che ha messo a confronto la qualità dell’aria di dieci capitali europee – farebbe guadagnare un anno di vita in più a ogni residente della città eterna al di sopra dei trent’anni e porterebbe a un risparmio complessivo di due miliardi di costi sanitari. (Corriere della Sera, 9, 10 e 11dicembre 2016, pag. 1, 3 e 29 della cronaca).
- Gas serra. La nube dell’anidride carbonica che sovrasta i continenti. E’ un ‘immensa nube che sovrasta i continenti mostrandoci in 3D consistenza e distribuzione dell’anidride carbonica(C02), uno dei principali responsabili del riscaldamento della Terra. Mai si era avuta una raffigurazione così precisa della minaccia gassosa, frutto di dati raccolti dal satellite OCO-2 della Nasa. Con due anni di dati e 100mila sondaggi al giorno i super computer hanno l’elaborato l’inquietante figura e permesso di stabilire valori preziosi: il 50% della Co2 resta in atmosfera, il 25% viene assorbito dagli oceani e l’altro 25 dalle terre emerse. Premesse utili per interventi futuri. (Corriere della Sera, 16 dicembre 2016, pag. 25 cronache, con foto).
- L’emergenza inquinamento a Roma. Smog, divieti ignorati (e furbetti impuniti). (…) Come se ci fosse un tacito accordo: i limiti ci sono, e severi, ma rispettarli è una opzione riservata ai meno scaltri. Se poi qualcuno ha la sfortuna di incappare nelle rare pattuglie di polizia municipale se la cava con una multa. Dicono che a Roma se ne fanno un migliaio al giorno, ma le statistiche sono poco affidabili. Chi viene sorpreso a circolare con l’auto non in regola entro la zona determinata per il divieto deve pagare 160 euro: il doppio della sanzione stabilità per chi posteggia la bici in sosta vietata. Non è prevista la decurtazione di punti dalla patente, ne il sequestro del mezzo. Bensì il semplice invito a uscire dall’area inibita, ma chi non lo segue e viene ribeccato si prende solo una seconda multa. Eppure i presupposti per sanzioni esemplari ci sarebbero. Uno studio del Dipartimento di epidemiologia della Regione Lazio pubblicato ieri da Repubblica ha accertato come le poveri sottili abbiano ucciso nel 2015 a Roma mille persone: 12mila in dieci anni. Ma di fronte alle ragioni che spingono il traffico allucinante in una città nella quale si muovono 850 veicoli a combustione interna ogni mille abitanti, compresi 700mila tra scooter e moto, nemmeno la morte fa qualcosa. E insensibili ai divieti, le centraline continuano a sforare. In questa colossale pantomima ci sono responsabilità di tutti. Innanzitutto dell’amministrazione. E’ mai possibile che per conseguenze tanto pesanti le punizioni siano così lievi e che non si adottino misure minime, vietando l’accesso ai pullman turistici entro l’anello ferroviario? Per non parlare delle decine di migliaia di deroghe concesse a una platea sterminata di soggetti, dai medici ai giornalisti. Gravi sono pure le responsabilità di chi deve controllare, certo. (…) (Corriere della Sera, 16 dicembre 2016, pag. 29 cronache).
- La divisione delle acque. Negli ultimi trent’anni alcune regioni dell’Asia centrale e del Medio Oriente hanno perso metà delle acque di superficie, che sono le più accessibili. Altrove si sono invece formate nuove riserve, per un totale di 148mila chilometri quadrati di acque di superficie permanenti e 29mila stagionali. La distribuzione delle acque è stata elaborata al computer a partire dall’archivio Landsat: tre milioni di foto satellitari dal 1984 a oggi. Le variazioni , spiega Nature, sono gli effetti sia dell’attività umana (irrigazione, dighe), sia dei cambiamenti climatici. Le mappe evidenziano che il 52 per cento dell’acqua di superficie è concentrata in Nordamerica, dove vive meno del 5% della popolazione mondiale, mentre l’Asia, con il 60 percento della popolazione , ne ha il 9 per cento. (Internazionale n. 1184, 16 dicembre 2016, pag.121).
- Almeno dieci persone sono morte nel passaggio del ciclone Vardah su Chennai, nel sud est dell’India. Circa ventimila persone sono state costrette a lasciare le loro case. (Internazionale n.1184, 16 dicembre 2016, pag.122)
- Alcune regioni della Francia e la capitale Parigi sono state colpite dal più grave inquinamento degli ultimi dieci anni. Lo smog è stato aggravato dall’alta pressione e dall’assenza di vento. (Internazionale n. 1184, 16 dicembre 2016, pag. 122).
- L’acqua in cartone. Negli Stati Uniti è comparsa nei negozi l’acqua minerale confezionata in scatole di cartone , come il latte o le zuppe. Un lettore di Grist si chiede se questo imballaggio sia più sostenibile delle bottiglie tradizionali. La risposta , secondo la rivista ecologista, è positiva ma solo in parte. I cartoni per bevande sono composti per il 76 percento da cartone. Questo materiale deriva dagli alberi ed è quindi rinnovabile, a differenza della plastica che è prodotta con il petrolio. Tuttavia, oltre al cartone sono presenti anche altri materiali, come la plastica polietilene e e in qualche caso l’alluminio. Questa struttura a strati ne rende più difficile il riciclo. (…) “Di qualsiasi materiale siano fatti, questi contenitori sono un grande spreco di materie prime ed energia”, ricorda la rivista ecologista “e sono assolutamente non necessari”. A parte le situazioni di emergenza, negli Stati Uniti c’è un ottima fornitura di acqua potabile dal rubinetto. (Internazionale n. 1184, 16 dicembre 2016, pag. 122).
- E se domani. Secondo Cyril Dion, per anni alla guida di una ong e autore, insieme a Mèlanie Laurent, del documentario Domani siamo tutti sopraffatti dai proclami catastrofici sul futuro del pianeta e della civiltà, e abbiamo un gran bisogno di esempi positivi. Abbiamo cioè il dovere di immaginare un mondo diverso, grazie a forme alternative di economia, agricoltura, educazione, partecipazione e democrazia. Dion ha conquistato oltre un milione di spettatori in Francia, il premio Cèsar per il miglior documentario 2016 e la distribuzione in 27 paesi tra cui l’Italia, dove Lucky Red lo fa ora uscire anche in dvd e blu ray (luckyred.it/ domani). (Internazionale n.1184, 16 dicembre 2016, pag. 112)
- Patto Obama – Trudeau sull’Artico, stop “per sempre” alle trivellazioni. (…). Per gli Stati Uniti , sulla carta si tratta di un veto “permanente” che riguarda il 98% delle acque federali in Artico – 465mila metri quadrati a nord dell’Alaska – cui si aggiunge un’ampia zona dell’Atlantico, tra Virginia e Maine, sede di canyon corallini di “di insostituibile valore ecologico”. (…) Ma la decisione di martedì si differenzia per il suo carattere di “irrevocabilità” , anche se non ferma le trivellazioni già in corso (nel mar di Beaufort operano tra le altre Shell, Eni, Repsol)e le esplorazioni nel Pacifico e nel Golfo del Messico. In Canada tutte le acque artiche saranno off limits, con verifica ogni cinque anni, ma restano “aperte” alle trivellazioni quelle di Newfoundland e Labrador, cuore dell’attuale produzione petrolifera offshore. (…) Secondo alcune stime, nel Grande Nord si trova il 13% del petrolio, il 30% del gas naturale, il 20% del gas liquido naturale non ancora localizzati. Oggi tre quarti del territorio della “macro regione fredda” è controllata da Canada e Russia ma molte zone sono contese. Mosca avrebbe in Artico un potenziale petrolifero stimato in 100 miliardi di tonnellate. Tutto da sfruttare. Secondo il Ministero dell’Energia russo, il costo di perforazione della piattaforma artica varia dai 350 ai 700 milioni di dollari, ma le aspettative di profitti futuri sono alte: per il 2030-2035, è previsto un aumento della produzione fino a 31-35 milioni di tonnellate. (Corriere della Sera, 22 dicembre 2016, pag.17; vedi anche Il Manifesto del 22 dicembre 2016, pag. 7 e 15)
- Se questo è inverno. Dai 20 gradi in più all’Artico ai 14 a Cortina. Termometri da record e allarme per il clima. (…) Lo stesso Polo Nord è sotto osservazione perché un’onda di calore sta avvolgendo la zona artica registrando temperature di cinque gradi oltre la media a partire da novembre. Secondo un rapporto dell’Environmental Change Institut di Oxford le temperature in alcuni punti sarebbero addirittura di 20 gradi superiori alle medie di stagione. “Un ondata di calore del genere dovrebbe verificarsi soltanto una volta ogni mille anni” ha detto alla Bbc il dottor Friederike Otto. Secondo l’esperto, qualsiasi modello teorico non aiuta a decifrare la situazione se non si inserisce il contributo dei gas serra portato dalle attività umane. All’origine della situazione ci sono delle correnti calde in arrivo dal Nord Atlantico che favoriscono la formazione di nubi creando un effetto serra sull’intera area. Il dato allarmante ora diffuso si aggiunge a quello dei ghiacci che quest’anno in dicembre hanno raggiunto un’estensione minima di 4,14 milioni di chilometri quadrati. Il dato pone il 2016 al secondo posto dopo l’anno record 2012 quando si arrivò soltanto a 3,9 milioni di chilometri quadrati. Temperature e ghiacci ridotti sono ovviamente correlati. Da ricordare che queste misure sono effettuate a partire dal1979, anno in cui la superficie dei ghiacci artici raggiungeva un minimo ben superiore di 6,9 milioni di chilometri quadrati. La discesa è progressiva e costante e un impatto negativo è già evidente nell’esplosione delle alghe che sulla superficie dell’Oceano Artico, dal 1997 al 2015, sono aumentate del 47% nella loro estensione. (…) (Corriere della Sera, 27 dicembre 2016, pag. 27 cronache, con tabelle e grafici).
Foreste e incendi, miniere e suolo
- Decine di incendi dolosi hanno distrutto 13mila ettari di vegetazione in Israele e in Cisgiordania (Palestina). Le fiamme hanno danneggiato centinaia di case nella città israeliana di Haifa. (Internazionale n. 1182, 2 dicembre 2016, pag. 120)
- Circa 36 milioni di alberi sono morti da maggio a causa della siccità in corso da più di sei anni in California, nel sud ovest degli Stati Uniti. (Internazionale n. 1182, 2 dicembre 2016, pag. 120)
- Almeno 53 persone sono morte negli ultimi giorni negli incidenti avvenuti in due miniere di carbone nella provincia dell’Heilongjiang e in quella della Mongolia Interna. (Internazionale n. 1183, 8 dicembre 2016, pag.41)
- Corea del Nord. Il 30 novembre il Consiglio di sicurezza ha rafforzato le sanzioni contro Pyongyang dopo i recenti test nucleari e missilistici. In particolare, è stato fissato un tetto alle esportazioni di carbone verso la Cina. (Internazionale n. 1183, 8 dicembre 2016, pag. 41)
- Tra ottobre del 2015 e settembre del 2016 gli incendi hanno distrutto 26.273 ettari di vegetazione in Guatemala, più del doppio rispetto all’anno precedente. (Internazionale n. 1184, 16 dicembre 2016, pag. 122)
- Diritti sotterrati in miniera. Il settore estrattivo è uno dei pilastri dell’economia marocchina. Ma i minatori lavorano in condizioni precarie, senza tutele, e ogni rivendicazione viene repressa. Miniera di Imiter, nella provincia di Tinghir, nel sud est del Marocco. Questa miniera d’argento è gestita dalla Società metallurgica di Imiter (Smi), filiale del gruppo Managem (miniere in arabo), che a sua volta fa parte della Società nazionale d’investimento (Sni), la holding della famiglia reale. Appartengono al gruppo Managem quattro tra le prime dieci imprese per fatturato nel settore dell’energia e delle miniere in Marocco. Omar l. (che ha chiesto, come gli altri intervistati, di non rivelare il suo nome per intero 9 è prudente. Lui e i suoi colleghi temono le rappresaglie del datore di lavoro, la Glomine, un’agenzia di lavoro interinale che opera nella miniera di Imiter. “Le compagnie minerarie in questa zona esercitano pressioni enormi per bloccare qualunque forma di protesta dei lavoratori”, spiega Omar. Dopo una breve parentesi nel 2011, le mobilitazioni sono quasi scomparse a causa della repressione dell’organizzazione sindacale e della divisione dei lavoratori, che hanno contratti diversi. Nessuna indennità. Il sud est del Marocco è pieno di metalli preziosi: manganese, barite, ferro, ematite, cobalto, sale, zinco, piombo, pirofillite, argento e oro. Queste ricchezze naturali danno vita ad un’intensa attività estrattiva. Se si escludono i fosfati, nella regione di Draa Tafilalet si concentra il 40 percento delle concessioni minerarie del paese. Qui negli ultimi cinque anni sono stati dati 350 permessi per condurre ricerche nel sottosuolo. Da decenni la Managem controlla i principali siti minerari, e tre delle sue otto miniere marocchine si trovano nella regione di Draa Tafilalet: Bou Azar, Imiter e Bleida, oltre a una fase di preparazione a Skoura. Lo scopo principale di questi siti è massimizzare i dividendi degli azionisti del gruppo, quotato in borsa, con una organizzazione che permette di nascondere gli interessi della famiglia reale e del re Mohammed VI. Ma dal 2011 in poi le attività della società reale, la Sni, sono finite più volte alla ribalta. I metodi di gestione delle risorse umane sono stati contestati dai minatori e la questione delle condizioni di lavoro nelle miniere è stata scaricata sulle agenzie interinali. La miniera di Bou Azar, 550 chilometri a sud di Casablanca, è uno dei siti storici della Managem. Qui l’estrazione di cobalto e di oro cominciò nel 1930, durante l’occupazione francese. L’Sni sospese le attività nel 1983, per riprenderle quattro anni dopo. I minatori furono richiamati al lavoro attraverso una agenzia interinale e da allora hanno contratti precari.(…) Secondo un calcolo dei minatori sindacalizzati, tra il 2005 e il 2012 sono stati registrati undici decessi. Le cause erano diverse. Caduta di massi, incidenti legati ai macchinari o all’uso di esplosivi in zone vietate come i pozzi abbandonati. “Se la miniera disponesse di un’unità per la salute e la sicurezza sul lavoro come prevede la legge, gran parte di questi incidenti si sarebbe potuta evitare” osserva una fonte che preferisce restare anonima ad Agdz, una località della regione di Draa Tafilalet. Nonostante le richieste, la direzione della comunicazione del gruppo Managem non ha voluto rilasciare dichiarazioni.(…) Gli impegni del Marocco nell’ambito della convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici non fanno neppure un accenno al settore minerario. Un silenzio che si spiega con l’influenza dell’ufficio reale dei fosfati nell’economia nazionale. (…) (Internazionale n.1184, 16 dicembre 2016, pag. 75)
Perdita di biodiversità
- Un patrimonio a rischio. Secondo il Centro di eccellenza per gli studi sulla barriera corallina , Arc, la distruzione della Grande barriera corallina procede molto più rapidamente di quanto stimato, scrive The Age. Lo stato di sbiancamento dei coralli è dovuto al riscaldamento globale, all’inquinamento e allo sviluppo urbanistico della zona costiera. Il governo centrale ha annunciato che investirà 32 miliardi di euro per contrastare il problema ma, accusano gli scienziati e gli ambientalisti, lo stato del Queensland insiste nella costruzione della più grande miniera di carbone del paese, a duecento chilometri dalla costa, scrive il Guardian. (Internazionale n. 1182, 2 dicembre 2016, pag. 36)
- I fenicotteri di Bombay saranno sfrattati per far posto a un aeroporto. Nella megalopoli indiana, oggi Mumbai, dopo il monsone, arrivano 40.000 volatili rosa: la necessità di un nuovo scalo li scaccerà via. (SETTE n. 48, 2 dicembre 2016, pag. 48).
- Caribù. La popolazione dei caribù nel centro nord dell’Alaska, negli Stati Uniti, si è ridotta da 70mila esemplari a 22mila dal 2010. Non si conoscono le cause del declino, ma secondo alcuni esperti potrebbe essere stato causato da un inverno molto lungo e rigido nel 2013, che ha impedito agli animali di alimentarsi. (Internazionale n.1183, 8 dicembre 2016; pag. 120).
- L’ambito ermellino. L’ermellino ha due soli abiti, ma quello invernale è talmente bello che gli uomini di più alto rango hanno fatto di tutto per appropriarsene. Con il risultato di portare quasi all’estinzione questa creatura agile e flessuosa, un piccolo mammifero carnivoro che vive sulle nostre Alpi, dove va alla ricerca di topolini e arvicole, sue prede abituali. L’ermellino veste d’estate un abito leggero, di color nocciola, adatto alle belle giornate soleggiate. E, quando le temperature si abbassano, lo sostituisce con una calda e comoda pelliccia invernale tutta bianca, che lo rende invisibile sulla neve, se non fosse pe un vezzoso pennacchio nero all’estremità della coda. Così non rischia di attirare l’attenzione dell’aquila reale e degli altri predatori che battono le Alpi. Potreste incontrarlo allo Stelvio o sulle Dolomiti. E non vi deluderà perché, a dispetto della cattiveria di chi lo ha cacciato senza pietà per abbellire mantelli di re e di alti magistrati, di prelati e di rettori, ama vivere vicino agli uomini. (Io Donna, 10 dicembre 2016, pag. 206)
- Del bambù d’Italia non si butta niente. Ecologica, resistente, redditizia. La pianta simbolo dell’Oriente sta conquistando gli agricoltori nostrani, soprattutto i giovani. Perché si può sfruttare nel settore alimentare, tessile e nel design. E c’è già chi pensa al vino. (…) E’ solo da un paio d’anni che uno dei simboli dell’Oriente estremo viene coltivato in modo sistematico da Nord a Sud della penisola. Complice il perfetto tepore mediterraneo: non c’è luogo migliore in Europa. C’è anche l’urgenza di alternative alle colture tradizionali. “Non volevo morire di mais”: Franco Zuttioni mostra il suo ettaro di bambuseto a Medea, ai piedi del Carso goriziano. Perché mais e soia e vigne e grano non rendono. Non solo per i prezzi ormai irrisori, pure i terreni non ne possono più. Un ettaro di bambù arriva a produrre ossigeno come un intero bosco. I suoi fitti e solidi rizomi sotterranei drenano la pioggia e compattano il terreno. Resiste agli incendi E fra germogli, culmi e fogliame è tutto utilizzabile: dall’alimentare al tessile, dal design alle costruzioni. E’ così richiesto che i ricavi prospettati seducono qualunque agricoltore. Con un investimento di 15mila euro per un ettaro se ne possono ricavare 70mila l’anno. E’ una pianta a suo modo diabolica: alcune tra le 1400 tipologie di bambù possono resistere fino a 20 gradi sotto zero, l’ultima piantagione in Italia è inerpicata a San Candido,(Bz), a quasi 1200 metri di altitudine. E’ infestante: bisogna tracciare un solco perché le radici trovino il vuoto e si fermino. E ancora: il bambù assorbe e filtra i peggiori metalli pesanti, lo sa chi si occupa di disinquinare le tante aree industriali dismesse e avvelenate. (…) Un primo test nella propria azienda agricola di Saludecio, nel riminese, e poi un pensiero in grande. Così è nato il Consorzio Onlymoso, che fornisce le piante certificate e stringe accordi per la raccolta di canne, germogli e rizomi, assiste i coltivatori “e presto saremo pronti a piazzare i prodotti ai migliori buyers europei”. Non contento, Pecci ci è accorto che anche negli States non esiste niente di simile. E così ha appena aperto una filiale anche a Miami. Per capire cosa sia il consorzio bisogna andare a Faenza. Serre lunghe e strette, 432 per la precisione su dieci ettari di terreno, sono lo scrigno delle piantagioni. Qui ogni singola pianta viene curata, pulita, monitorata da una trentina di lavoranti esperti. Sotto il film plastico cresce un mondo umido e vegetale che entra nelle narici e si appiccica alla pelle. Si cammina immersi tra un verde magnetico e il florido fogliame delle specie tropicali. “In questo paese bisogna riforestare” non si stanca di ripetere Stefano Pesaresi. A oggi, in tutta Italia, si calcola ci siano 1500 ettari a bambù. E le richieste sono continue. (…) Secondo alcune ricerche, i potenziali consumatori solo nel settore food si aggirano sui sette milioni in Italia e 70 in Europa. Per soddisfare la richiesta si potrebbero mettere a bambù tra i 30 e i 50mila ettari. Il labirinto più grande del mondo. Duecentomila piante, alte da 30 centimetri a 15 metri, di venti specie diverse: formano il più grande labirinto di bambù esistente . A volerlo, ispirandosi a uno dei temi preferiti di Jorge Luis Borges, è stato Franco Maria Ricci che l’ha creato (insieme con un museo, una biblioteca, un archivio, spazi per esposizioni temporanee) con gli architetti Pier Carlo Bontempi e Davide Dutto. Per perdersi in questo dedalo verde, bisogna andare a Masone, vicino a Fontanellato, in provincia di Parma. (Io Donna, 10 dicembre 2016, pag. 64-68)
- L’allarme mondiale. Le giraffe ”specie a rischio”. L’estinzione silenziosa: in trent’anni il 40% in meno. Se ne contavano oltre 150mila esemplari, oggi sono appena 500. Un calo del 40%, che precipita le giraffe nella categoria delle specie vulnerabili dell’Unione mondiale per la conservazione della natura. (…) Ufficialmente la specie è una sola, Giraffa camelopardalis, , ma a settembre le analisi del dna hanno rivelato una diversità tale da poterle suddividere in quattro specie (meridionale, settentrionale, Masai e reticolata). Assai simili per l’aspetto, se non per dettagli come la forma delle macchie , ma geneticamente diverse come orsi polari e bruni. Se si adottasse questa classificazione, l’esiguo numero di esemplari di ogni specie apparirebbe ancora più allarmante. Non è un problema dell’Africa ma del mondo intero. (Corriere della Sera, 9 dicembre 2016, pag. 25 cronache).
- Migliaia di oche delle nevi sono morte dopo essersi posate, durante una tempesta di neve, sulle acque tossiche di un laghetto in una miniera di rame abbandonata nel Montana, nel nord degli Stati Uniti. (Internazionale n. 1184, 16 dicembre 2016, pag.122)
- Tra nuovi recinti e alberi da frutto. La lotta per la vita dell’orso marsicano. I plantigradi più a rischio del mondo abitano nel Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise. Quest’anno sono sopravvissuti nove cuccioli. Non è un orso qualsiasi. L’Ursus arctos marsicanus Altobelli, dal nome dello scienziato molisano che l’ha descritto, dovrebbe essere più vicino all’orso delle caverne (Ursus spelaeus) che non a quelli del Nord Europa. I 50/60 esemplari che si aggirano nelle foreste dell’Appennino centrale – con centro nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, (50mila ettari, nato nel 1922), non hanno , nonostante il loro valore, una vita facile. Solo dal 1971 al 2015, 112 orsi sono stati rinvenuti morti. Negli ultimi 45 anni la media è stata di circa 2,5 esemplari l’anno. Le cause, nonostante siano protetti, sono in primo luogo le fucilate di cacciatori e bracconieri (21 nel periodo in esame) e poi avvelenamenti da parte di allevatori o bracconieri (otto casi più due sospetti). Nove sono finiti sotto le ruote delle auto e sei sotto il treno Sulmona –Campobasso. Alcuni altri, deceduti per cause diverse, incrementano la lista delle perdite, che non consente, anche per l’esiguità dell’habitat protetto, un significativo aumento della consistenza, nonostante le nascite (undici nel 2012, sei nel 2013, undici nel 2014, cinque nel 2015, e dieci, di cui nove sopravvissuti, nel 2016). (…) (Corriere della Sera, 22 dicembre 2016, pag. 31 cronache).
- Corsa per la salvezza. L’allarme: “Il ghepardo a rischio estinzione”. Così la scomparsa del loro habitat e l’uomo minacciano i mammiferi più veloci al mondo. Il 77% dei suoi habitat residui si trova in aree non protette. Quando si parla di lui è impossibile non parlare della sua velocità: da zero a 100 chilometri orari in meno di tre secondi e oltre 110 chilometri l’ora per distanze brevi, il più veloce in assoluto fra i mammiferi. Ma adesso per il ghepardo la corsa è un’altra quella contro il tempo. Bisogna fare qualcosa e farla in fretta per evitare che all’anagrafe scientifica – dov’è registrato come Acinonyx Jubatus – non compaia accanto al suo nome la parola “estinto”. L’allarme arriva da uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, di fatto l’ultimo censimento della popolazione dei ghepardi che sopravvivono allo stato selvatico. Si stima ne esistano soltanto 7100 esemplari al mondo e se i dati dei ricercatori sono corretti significa che questi mammiferi sono stati cacciati dal 91% del loro territorio. Gli scienziati della Zoological Society of London, di Panthera e della Wildlife Conservation Society, che hanno condotto lo studio, accendono i riflettori sui felini più veloci al mondo e per la prima volta sono così preoccupati da chiedere alla Iucn (sigla dell’Unione Internazionale per la Coservazione della natura), di aggiornare il loro status: non più specie “vulnerabile” ma “a rischio”, appunto. (…) Qualche numero per capire meglio. Nel solo Zimbabwe la popolazione è passata in 16 anni da 1200 esemplari a 170 (l’85% in meno) mentre l’Iran è rimasto l’unico paese in cui resiste la sottospecie conosciuta come “asiatica”: 50 ghepardi in tutto. (…). (Corriere della Sera, 28 dicembre 2016, pag. 29 cronache)
Salute umana
- Il dolcificante che ingrassa. L’aspartame, il dolcificante senza calorie, potrebbe impedire il dimagrimento delle persone e contribuire allo sviluppo di malattie metaboliche come il diabete. IL composto, rivela uno studio condotto sui topi, interferisce con un enzima presente nell’intestino che previene i problemi di metabolismo negli animali. I topi nutriti con aspartame, spiega Applied Physiology, Nutrition and Metabolism, ingrassavano di più e avevano condizioni metaboliche peggiori. (Internazionale n. 1182, 2 dicembre 2016, pag. 119; su tutti i problemi legati all’aspartame vedi anche: M.M. Robin, Il veleno nel piatto, Feltrinelli Serie Bianca, Milano, settembre 2012, capitoli 14 e 15)
- La Cina soffre di diabete. In Cina ci sono cento milioni di persone che soffrono di diabete (di tipo 1 e di tipo 2).il numero più alto al mondo. Si stima che nei prossimi 15 anni saranno 151 milioni. Si è passati dallo 0,9 per cento di malati del 1980 all’11,6 per cento del 2010. Diversi fattori hanno contribuito all’aumento: l’invecchiamento della popolazione e cause prevenibili come lo stile di vita, sempre più occidentale, l’obesità e l’inquinamento . Anche il sistema sanitario è in parte responsabile. In Cina mancano programmi di screening e di sorveglianza a lungo termine, e interventi per le popolazioni ad alto rischio. Le cure sono scadenti e frammentarie, commenta The Lancet, l’eccellenza si trova solo nei grandi ospedali. Il sistema sanitario dovrebbe invece garantire una gestione integrata e interdisciplinare del diabete. (Internazionale n. 1182, 2 dicembre 2016, pag. 119)
- Gli interferenti endocrini e la fabbrica delle bugie. Un’inchiesta di Le Monde svela che la Commissione Europea sta facendo di tutto per evitare una regolamentazione troppo severa di queste sostanze pericolose per la salute. Tutto o quasi si riduce a poche parole: “Gli interferenti endocrini possono essere trattati come la maggior parte delle sostanze chimiche preoccupanti per la salute umana e per l’ambiente”. E’ su questa semplice frase, tratta dal parere pubblicato nel 2013 dall’Autorità Europea per la Sicurezza alimentare (EFSA), che Bruxelles basa la sua proposta di regolamentazione degli interferenti endocrini, sostanze molto diffuse che possono alterare il sistema ormonale anche a basse dosi. Contro la proposta, che dovrebbe essere votata tra poco dai Paesi dell’Unione europea, si sono schierate compatte Francia, Danimarca, Svezia e l’insieme delle organizzazioni non governative, convinte che non tuteli la salute pubblica e l’ambiente. Anche la comunità scientifica, rappresentata dall’Endocrine Society – una società scientifica che riunisce 18mila ricercatori e specialisti del sistema endocrino – si oppone alla proposta. Un’opposizione sorprendente, visto che la Commissione europea assicura di basarsi su uno studio scientifico dell’Efsa. La spiegazione di questa singolare divergenza va cercata in una serie di documenti interni dell’amministrazione europea che Le Monde è riuscito ad ottenere. I documenti mostrano chiaramente che la frase chiave su cui si basa la proposta di regolamentazione della Commissione europea era stata scritta ancora prima che lo studio cominciasse davvero. Nel dicembre del 2012 l’Efsa aveva già espresso delle “conclusioni/raccomandazioni in un’email indirizzata agli esperti che aveva riunito per realizzare lo studio: Gli interferenti endocrini e i loro effetti nocivi dovrebbero essere trattati come qualunque altro prodotto chimico preoccupante per la salute umana o per l’ambiente”. La frase chiave è già presente. E la riunione di avvio della ricerca si era svolta solo pochi giorni prima. Alla fine di marzo del 2013, cioè tre mesi dopo, la stessa frase figurerà nel parere pubblicato dall’agenzia. (…) Anche se può sembrare banale, la “frase dell’Efsa” ha in realtà un’importanza considerevole: se gli interferenti endocrini fossero davvero dei prodotti come gli altri, allora non ci sarebbe alcun bisogno di una regolamentazione più severa. L’industria dei pesticidi, la più coinvolta nella vicenda, lo ha capito molto bene. Le sue lobby principali – l’Associazione europea per la protezione delle colture (Ecpa), Crop.Life International, Crop.Life America – e i gruppi agrochimici tedeschi come Basf o Bayer fanno continuamente ricorso alla “frase dell’Efsa” nei loro documenti e nelle comunicazioni con le istituzioni europee. Di fatto la frase incriminata assume un’importanza fondamentale per la regolamentazione europea dei prodotti fitosanitari. Nel 2009, il parlamento europeo aveva votato un nuovo “regolamento sui pesticidi”. Secondo il testo di legge i pesticidi identificati a priori come “interferenti endocrini” non potevano più essere venduti, tranne nei casi in cui l’esposizione a queste sostanze fosse stata giudicata trascurabile. Per applicare la disposizione era quindi necessario adottare dei criteri scientifici per definire cosa sono gli interferenti endocrini. E visto che nella proposta di Bruxelles sono considerati dei prodotti chimici come gli altri – è la frase dell’Efsa” che lo dice – non ci sarebbe bisogno di proibirli a priori. La Commissione ha quindi modificato il testo votato dal parlamento: in base alla sua proposta basterà valutare i rischi che gli interferenti presentano caso per caso, se si dovessero verificare problemi dopo che sono stati messi in commercio. In altre parole si tratterebbe di un controllo a posteriori. (…) In una nota del 10 ottobre, Francia, Danimarca e Svezia dicono esattamente la stessa cosa (del presidente della commissione ambiente del parlamento europeo) stimando che la Commissione non ha il diritto di tornare sulla “scelta politica del legislatore”. Un rimprovero imbarazzante, visto che sull’argomento la Commissione è già in una situazione di illegalità. Infatti la corte di giustizia europea l’ha condannata nel dicembre 2015 per il ritardo nella identificazione dei criteri di identificazione degli interferenti endocrini che avrebbero dovuto essere pubblicati entro la fine del 2013. Nonostante le critiche, la Commissione afferma di essere autorizzata ad “aggiornare” il regolamento sulla base dell’evoluzione dello “stato delle conoscenze scientifiche”. Cioè la famosa frase incriminata dell’Efsa, su cui si basa la sua argomentazione. (…) Da sapere. I rischi per il sistema ormonale. Gli interferenti endocrini sono sostanze chimiche presenti in moltissimi oggetti di uso comune (plastiche, mobili, elettronica, cosmetici, imballaggi) e nei pesticidi (come il glifosato). Possono interferire con il sistema ormonale degli animali, compresi gli esseri umani. Sono sospettati di essere all’origine di gravi malattie: tumori, diabete, obesità, infertilità, disturbi neurocomportamentali. Preoccupano in particolare le conseguenze che potrebbero avere nelle fasi più delicate dello sviluppo come la gravidanza o la pubertà. Uno studio guidato da Lenardo Trasande, dell’Università di New York, stima che in Europa gli interferenti endocrini hanno un costo economico e sanitario per la società di 157 miliardi di euro all’anno. Da sapere. L’appello degli scienziati. In un appello pubblicato da Le Monde il 30 novembre2016, quasi cento scienziati chiedono all’Europa e alla comunità internazionale di agire contro gli interferenti endocrini. I ricercatori accusano le industrie di essere “mercanti del dubbio”, di deformare programmaticamente le prove scientifiche per dare l’impressione che ci sia una controversia scientifica, quando in realtà non è così. Si tratta dello stesso meccanismo messo in opera sul cambiamento climatico o, in passato, sugli effetti del fumo: una manipolazione dei dati che è costata la vita a milioni di persone”, scrivono i ricercatori. (Internazionale n. 1183, 8 dicembre 2016, pag.116-117; per una analisi approfondita del problema vedi anche: M.M. Robin, Il veleno nel piatto, Feltrinelli serie bianca, Milano, settembre 2012, capitoli 16-19)
- Egitto, contro le mutilazioni. Il 4 dicembre è entrata in vigore una legge che innalza fino a quindici anni di carcere la pena per chi pratica la mutilazione genitale femminile. Questa pratica, che risale ai tempi dei faraoni, è illegale in Egitto, ma è ancora diffusa soprattutto nelle zone rurali. La legge prevede anche fino a tre anni di carcere per chiunque obblighi una bambina o una donna a sottoporsi all’operazione, sottolinea Enca. (Internazionale n. 1183, 8 dicembre 2016, pag.33)
- Fumare fa male sempre. Fumare è sempre nocivo per la salute. Anche le persone che fumano meno di una sigaretta al giorno hanno un rischio di mortalità precoce superiore del 64% rispetto ai non fumatori, mentre chi fuma da una a dieci sigarette ha un rischio superiore dell’87 per cento, scrive la rivista Jama Internal Medicine. Sembra quindi che smettere di fumare abbia sempre effetti positivi sulla salute, anche quando si fumano poche sigarette al giorno. (Internazionale n. 1183, 8 dicembre 2016, pag. 119).
- Medicine no logo. Il caso dei farmaci equivalenti. Efficaci e meno costosi ma in Italia non decollano. Stiamo parlando di quelle medicine “fotocopia” che possono essere prodotte da chiunque (a patto che si rispettino regole severe, fissate dalle autorità sanitarie), quando il brevetto delle molecole originali, detenuto dalle aziende farmaceutiche ,scade (in genere dopo dieci anni dalla commercializzazione): l’equivalente viene venduto con il suo nome chimico e non con quello commerciale “di fantasia” scelto all’inizio dall’azienda produttrice. Il primo farmaco equivalente autorizzato in Italia vent’anni fa nel 1996 fu la ticlopidina, un anti colesterolo, il cui nome commerciale era Tiklid. (…) Con quali vantaggi? Di ordine economico, innanzitutto. Per definizione, un farmaco equivalente deve costare almeno il 20 per cento in meno rispetto al suo antenato di marca. E il suo uso può far risparmiare quei sistemi sanitari che, come in Italia, offrono gratuitamente i farmaci ai cittadini (salvo il ticket). Ma può far risparmiare anche i cittadini, perché oggi esiste, in Italia, quel famoso “prezzo di riferimento” dell’equivalente, il più basso, che il sistema sanitario rimborsa: se il paziente vuole l’analogo “griffato” (a brevetto scaduto, più costoso, paga la differenza di tasca sua. E spesso è spinto a chiedere il “griffato” perché non è adeguatamente informato sul vero valore del farmaco equivalente e pensa che il “griffato” sia meglio. Difatti, nonostante le prove scientifiche dimostrino come gli equivalenti siano paragonabili ai griffati, il loro consumo in Italia stenta a decollare anche se è in aumento, come dimostra un articolo appena pubblicato dalla Fondazione Gimbe (Gruppo italiano per la medicina basata sull’evidenza) sulla rivista “Evidence”. (Corriere della Sera, 14 dicembre 2016, pag. 40 con statistiche).
- Non sprechiamo più. Attenzione alle etichette e avanzi riciclati: cala la quantità di cibo che buttiamo via. Ora l’Italia fa meglio di Germania e Francia. Famiglie che con orgoglio si portano a casa gli avanzi del ristorante. Single attenti a controllare l’etichetta dei cibi per non lasciarli scadere. Associazioni no profit che si mobilitano per ritirare i pasti avanzati dalle mense. Gli italiani sono diventati nemici dello spreco. Complice anche la risi: nulla di meglio che sentirsi virtuosi e nello stesso tempo preservare il portafogli. I rifiuti urbani a Milano sono scesi dalle 711,6 tonnellate del 2009 alle 665,6 del 2014. Meno 6,5% in cinque anni. E nel 2015 il dato si è stabilizzato nonostante gli arrivi di Expo. Meno rifiuti, quindi. E più riciclo. Anche quando si parla di alimentari. Ogni italiano butta 164 chili di cibo l’anno. Contro i 169 dei francesi, i 171 dei tedeschi e i 187 degli svedesi. In Europa siamo i più attenti nella lettura delle etichette. (…) Ma quanto sprecano gli italiani? Secondo l’Università di Bologna in tutta la filiera nel 2015 si sono buttate 6,9 milioni di tonnellate di cibo buono, per un valore di 15,6 miliardi di euro. (lo 0,95% del Pil). La stima comprende gli sprechi reali delle famiglie per un valore di 12 miliardi l’anno. Insomma, c’è ancora tanto da fare. La legge Gadda incentiva i Comuni a tagliare la Tari, la tassa sui rifiuti, a mense e attività produttive che donano le eccedenze. Per ora i Comuni che sfruttano l’opportunità sono una decina. Qualcuno sta pensando di aggiungersi, Varese in (…) (Corriere della Sera, 14 dicembre 2016, pag. 27 cronache, con tabelle e grafici.)
- L’olio di palma fa male, anche ai diritti. Un pericolo non solo per la salute e l’ambiente. Amnesty International documenta le condizioni di lavoro nelle piantagioni indonesiane collegate al colosso Wilmar: tra sfruttamento, mansioni più che usuranti, minori costretti ad aiutare i genitori e land grabbing. Emerge così la grande bugia del “sostenibile certificato”. Anche oggi, come ogni giorno, c’è chi trascorre la giornata raccogliendo frutti a 20 metri di altezza ( come un palazzo di 6 piani), servendosi di un asta che pesa 12 chili. E’ il popolo del palma, in Indonesia, fotografato da Amnesty International in un vibrante rapporto di denuncia. Indagini, interviste e fotografie che smascherano la grande bugia del “palma sostenibile certificato” da Rspo (Roundtable on Sustainable Palm Oil). Bambini di otto anni devono rinunziare alla scuola, all’infanzia, per affrontare un lavoro che strema il fisico e brucia le mani. Un soccorso necessario ai loro padri che, se entro fine giornata non riescono a consegnare una tonnellata di raccolto, perdono una quota della già misera paga. (…) Violazioni simili si verificano nei confronti degli addetti alle unità di manutenzione degli impianti (per lo più donne). Qui c’è un carico di lavoro quotidiano. Se la lavoratrice non riesce a smaltirlo, si accumula al giorno successivo. Il volume di lavoro da svolgere è misurato in quantità di prodotti chimici da spargere nella piantagione. Per esempio, alla Pt Milano bisogna spruzzare nove serbatoi di prodotti chimici ogni giorno, oppure diffondere da 15 a 17 sacchi di fertilizzante. Ma se viene a piovere, la paga salta o viene dimezzata. Oltre che faticosa, questa mansione prospetta rischi sanitari anche gravi. Tra i prodotti chimici che i lavoratori devono diffondere ve ne sono alcuni molto pericolosi per la salute, vietati sia dall’Unione Europea sia dalla stessa Indonesia, Tra i quali il paraquat. (Il Manifesto, 15 dicembre 2016, pag.12-13)
- Il farmaco che provoca l’anoressia. Inchiesta su sette funzionari del ministero. Roma, la sostanza vietata si trovava nelle farmacie. L’ipotesi di disastro colposo. Sette alti dirigenti del Ministero della Salute sono sotto inchiesta da parte dei militari della finanza (nucleo tutela spesa pubblica) per il reato di disastro colposo. I nomi non sono ancora stati iscritti nei registri della Procura ma sono in corso una serie di verifiche perché, tutti assieme, avrebbero omesso di vigilare sul regime delle sostanze anoressizzanti. Ossia questi farmaci che, da oltre un ventennio, sono nel mirino della Food and Drug Administration, ma che in Italia hanno viaggiato per molto tempo su un binario ambiguo: formalmente vietati, potevano essere acquistati in farmacia sotto forma di preparati galenici. L’ultima sostanza interdetta è stata la fenilpropanolamina/norefredina (maggio2015) che sostituiva la fendimetrazina, molecola killer del giovane Luigi Marzulli dal quali indirettamente ha origine quest’inchiesta. Ma conviene partire dagli ultimi anni. E in particolare dal 2013 quando la Procura, – proprio in seguito al decesso Marzulli – dispone il sequestro e il ritiro dal commercio della fendimetrazina appunto. E’ già chiaro che qualcosa al Ministero della Salute non funziona perché quella sostanza in realtà bandita non è stata inserita nella tabella delle sostanze da vietare nei prodotti galenici. E dunque continua a essere venduta senza difficoltà dietro prescrizione medica. (…) Il ragionamento degli investigatori sulla pericolosità della sostanza è chiarissimo. Ed è avallato anche dalla revoca dal commercio di un gruppo di sostanze contenenti fenilpropanolamina, quali il Denoral, Temporinolo, Zerinetta, Baby Rinolo. E allora se sono state revocate queste sostanze assai più diffuse, perché mai ha continuato a viaggiare sul bancone delle farmacie tanto a lungo il preparato galenico? (…) (Corriere della Sera, 15 dicembre 2016, pag. 21)
- Ebola, vaccino efficace al 100%. L’unico vaccino che si è riusciti a sperimentare contro il virus Ebola su un numero sufficiente di persone ha dato una copertura del 100%. Lo annuncia l’Oms che pubblica su Lancet i risultati del test su quasi 12mila persone. Il vaccino rVSV-ZEBOV è stato sperimentato in Guinea alla fine dell’epidemia del 2014 col metodo dei “cerchi concentrici”. A ogni nuovo caso di contagio venivano identificati i contatti più stretti e i “contatti dei contatti” e in una prima fase del test ad ogni anello – composto da circa 80 adulti – era somministrata la vaccinazione subito o dopo tre settimane. Dopo la pubblicazione dei risultati preliminari il vaccino è stato offerto a tutti subito, anche ai bambini con più di sei anni. Nelle persone vaccinate subito non c’è stato nessun nuovo caso, 23 fra quelle vaccinate con ritardo. Il risultato, secondo l’Oms, fa sperare che la prossima epidemia non sarà senza difese come quella di due anni fa, che provocò 11.300 morti. (Corriere della Sera, 24 dicembre 2016, pag. 23 cronache).
Economia e ambiente
- Shell, Eni e Total: sfida sulle rinnovabili. Tutti i big dell’oro nero puntano sull’energia verde in previsione del “picco” che indicherà l’inizio del declino. E dopo il barile….. Solo pochi giorni fa Ben van Beurden, direttore esecutivo principale della Shell (la seconda major mondiale dopo la Exxon), è stato chiaro: le energie rinnovabili? Non è più il momento di stare a guardare e poi decidere se saltarci dentro, noi siamo attivi e faremo delle acquisizioni. Qualcun altro, come la francese Total lo ha già fatto la scorsa primavera spendendo più di un miliardo di dollari per Saft, produttore di batterie per immagazzinare energia solare. Più o meno nello stesso periodo anche l’Eni di Claudio Descalzi annunciava un piano per realizzare i suoi primi megawatt in pannelli solari. Solo segnali? Ormai non più, soprattutto dopo che l’accordo di Parigi è entrato formalmente in vigore e gli impegni presi nella capitale francese un anno fa da 195 Paesi devono trasformarsi in fatti. La via. Il percorso non sarà lineare ma secondo la narrazione corrente il trend è ormai avviato: il “re” delle fonti di energia – il petrolio – è destinato all’abdicazione e l’unico interrogativo sembra essere solo quando ciò accadrà. Per dare una idea del sommovimento in atto basti pensare che se si volesse centrare l’obiettivo di limitare in due gradi l’innalzamento delle temperature del pianeta, la richiesta di energia al 2040 non solo dovrebbe crescer meno del 10% (con una popolazione mondiale in crescita da 7,2 a 9,2 miliardi di persone), ma la quota riservata al petrolio dovrebbe ridursi drasticamente (dal 31 al 22%) e quella delle rinnovabili più che raddoppiare (sopra il 30%). Una progressiva sostituzione che andrebbe di pari passo con l’affermazione della mobilità elettrica. Ed è del tutto naturale che sia così, visto che più della metà del petrolio estratto nel mondo (il 54%) finisce nei serbatoi di qualche mezzo di trasporto, mentre il resto è utilizzato nella chimica, nell’industria e nella produzione di elettricità di molti paesi emergenti che ancora si servono di olio combustibile. Certo, anche qui il percorso appare lungo e tormentato: lo scorso anno lo stock globale di auto elettriche nel mondo ha superato la soglia simbolica del milione di unità, ma rimane pur sempre un millesimo del parco mondiale di vetture. Tuttavia, con gli impegni alla decarbonizzazione già presi da Stati e istituzioni si può già prevedere che nel 2025 si arrivi a 30 milioni di veicoli elettrici e a più di 150 milioni nel 2040. Il che significherebbe mettere fuori gioco almeno 1,3 milioni di barili al giorno di petrolio. Per farsi una idea: più di quanto consumi un Paese come l’Italia. I conti. Se poi si fosse coerenti con l’ipotesi dei “due gradi” la diffusione di veicoli elettrici potrebbe addirittura cancellare sei milioni di barili di petrolio al giorno ( e la domanda mondiale oggi è pari a 96 milioni di barili). Addirittura , secondo Bank of America- Merrill Lynch, se la penetrazione dei veicoli elettrici raggiungesse un quarto delle vendite annuali allora il petrolio potrebbe raggiungere il “picco” di domanda nel 2025. Praticamente dopodomani per i tempi di investimento delle major e di tutto il settore petrolifero (…) Petrolio sempre più “nero” e sempre meno “oro”, quindi? Certo, ma non è detta l’ultima parola. Il blocco degli investimenti nell’upstream degli ultimi due anni , dovuto alla guerra dei prezzi appena sospesa con il taglio della settimana scorsa, potrebbe tradursi in una improvvisa carenza di petrolio nei prossimi anni . E il colpo di coda di “re” petrolio potrebbe costare ancora parecchio caro. (Corriere della Sera – Economia, lunedì 5 dicembre 2016, pag.2)
Una riflessione finale
Alcune notizie meritano di essere evidenziate, poiché costituiscono la prova della scarsa attenzione e capacità dei governi di affrontare problemi cruciali e scientificamente ben conosciuti e analizzati solo perché interessi economici ben individuati oppongono una strenua resistenza rispetto a qualunque intervento di regolamentazione di interesse sociale. Gli interferenti endocrini (una molteplicità di prodotti chimici in grado di influire anche in piccole quantità sul sistema ormonale umano), ma anche l’aspartame, il dolcificante presente in migliaia di prodotti di consumo, sono stati oggetto da tempo di studi e analisi scientifiche, accurati e verificati. Eppure, la sola idea di proporre una regolamentazione viene duramente respinta, influendo pesantemente perfino su organismi come la Commissione Europea. Anche le valutazioni politiche o le reazioni di organismi scientifici o popolari sono assolutamente scarse rispetto alle drammatiche conseguenze per la salute umana che subiamo da tempo. Cosa si può fare per suscitare delle reazioni adeguate? Forse dovremmo avviare una serie di pressioni (a tutti i livelli delle società, prolungate nel tempo) che abbiano come unica motivazione la salvaguardia della salute globale.
SCHEDE PRECEDENTI
- Benvenuti sull’ultima spiaggia
- Siamo nell’occhio del ciclone
- Un pianeta sempre più a rischio
- Stiamo strangolando la terra
- Sono ancora cattive le notizie sul clima
- Il clima dipende anche da noi
- Giocano sulla nostra pelle
- Non aspettiamo la catastrofe
- Basta carbone! O sarà la fine
- Stop all’ecatombe dell’ambiente
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