Siccità, alluvioni, eventi estremi e altri fenomeni apparentemente lontani, che invece molti studi scientifici seri mettono in relazione ai cambiamenti climatici e ai danni alla salute e all’ambiente che essi apportano. L’utile selezione di notizie curata da Alberto Castagnola, nella sua visione d’insieme, ci aiuta a comporre un’immagine aggiornata e in movimento della velocità e della direzione autolesionista verso cui viene spinto ogni giorno da chi lo governa il pianeta che abitiamo
a cura di Alberto Castagnola
Le notizie riportate confermano la drammatica coesistenza di fenomeni di siccità e di alluvioni; l’emergere di eventi estremi come gli incendi e i danni alla salute connessi al cambiamento climatico; l’accentuarsi negli ultimi mesi del riscaldamento globale. Finito El Niño, i danni arrecati da un fenomeno “naturale” molto accentuato riguardano almeno cento milioni di persone. Infine, molti studi altamente scientifici continuano a stabilire specifiche correlazioni tra l’andamento del clima e fenomeni apparentemente lontani o ritenuti diversi. Le nostre letture del mondo che ci circonda devono essere approfondite e moltiplicate, pena essere trascinati in situazioni mai immaginate o assolutamente non previste.
Vorremmo poi ricordare ai lettori che queste schede sono in realtà un po’ meno di una rassegna stampa, in quanto sono faticosamente redatte sfogliando un numero piuttosto ridotto di giornali e di settimanali. Rappresentano solo un tentativo di dare le maggiori informazioni in circolazione sugli eventi che caratterizzano il cambiamento climatico, accostandole però una all’altra e seguendole per alcuni mesi. Abbiamo cioè sentito il bisogno di sopperire, almeno in parte, ad una grave mancanza della stampa quotidiana, che continua a fornire sul clima e sull’ambiente solo delle notizie brevi e sporadiche, in genere non contestualizzate o commentate se non in modo superficiale e con qualche raro e scarso approfondimento molto casuale.
La maggior parte delle popolazioni, specie nei paesi maggiori inquinatori, non riesce quindi a percepire nella loro complessità e drammaticità l’evolversi dei più gravi fenomeni che devastano il pianeta. Speriamo sia evidente negli articoli e nei saggi la massima priorità che Comune attribuisce agli eventi di rilevanza ambientale; accanto ad essi abbiamo ritenuto opportuno mettere a disposizione queste schede che vogliono solo rappresentare un ulteriore, modesto strumento al quale tutti possono accedere per conseguire una maggiore consapevolezza della vita di un pianeta a rischio.
1.Cortina di fumo. Il fumo provocato dagli incendi scoppiati a Fort McMurray nello stato dell’Alberta, in Canada. Le autorità locali hanno dichiarato lo stato d’emergenza e tutti gli abitanti della città (novantamila persone) sono stati costretti a lasciare le case. Le fiamme coprono una superficie di oltre 1500 chilometri quadrati e ci vorranno settimane, forse mesi, per spegnerle. L’incendio è scoppiato il primo maggio e si è diffuso rapidamente a causa del clima secco, delle temperature superiori alla media stagionale e del forte vento. (Internazionale n. 1153, 13 maggio 2016, con foto del 4 maggio).
2.Italiani sempre più in sovrappeso, sono il 36%. – Nel 2014 più di un terzo della popolazione adulta (36,2%) é in sovrappeso, mentre poco più di una persona su 10 é obesa (10,2%). Complessivamente, il 46,4% dei soggetti di età uguale o superiore a 18 anni é in eccesso ponderale. In Italia, nel periodo 2001-2014, é aumentata la percentuale delle persone in sovrappeso (33,9% contro 36,2%), soprattutto é aumentata la quota degli obesi (8,5% contro 10,2%). È quanto emerge dalla XIII edizione del Rapporto Osservasalute 2015, l’analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell’assistenza sanitaria nelle Regioni italiane presentata oggi a Roma all’Università Cattolica.
3.Le differenze rilevate sul territorio sono considerevoli e si conferma il divario Nord-Sud e Isole: le regioni meridionali presentano la prevalenza più alta di persone obese (Molise 14,6%, Abruzzo 13,1%; Puglia 11,9%) e in sovrappeso (Campania 41,5%, Calabria 39,6% e Puglia 39,4%) rispetto alle regioni settentrionali, che mostrano i dati più bassi di prevalenza (obesità: Pa di Trento 7,5% e Pa di Bolzano 8,1%; sovrappeso: Pa di Trento 28,5% e Valle d’Aosta 31,5%). Il problema dell’eccesso di peso è cresciuto molto nelle regioni settentrionali: confrontando i dati con quelli degli anni precedenti e raggruppando per macroaree (Nord-Ovest: Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia; Nord-Est: PA di Bolzano, PA di Trento, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna; Centro: Toscana, Umbria, Marche, Lazio; Sud: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria; Isole: Sicilia, Sardegna) si osserva che, dal 2001, nella ripartizione con livelli più bassi di persone in sovrappeso (il Nord-Ovest) si è registrato il maggior aumento di persone con eccesso ponderale (in sovrappeso e obese). Diversamente, nelle Isole la percentuale è rimasta abbastanza stabile negli ultimi anni.
4.Il fenomeno del sovrappeso aumenta con l’età. Nello specifico, il sovrappeso passa dal 14,9% della fascia di età 18-24 anni al 46,5% tra i 65-74 anni, mentre l’obesità dal 2,4% al 15,7% per le stesse fasce di età. Nel 2014 i bambini di 8-9 anni in sovrappeso sono il 20,9%, i bambini obesi sono il 9,8%, compresi i bambini gravemente obesi che da soli sono il 2,2%. Complessivamente, i bambini che presentano un eccesso ponderale (comprendente sia il sovrappeso sia l’obesità) raggiungono il 30,7%. Il dato è in diminuzione rispetto al periodo 2008-2009 al 2014 quando si registrava una quota di bambini in condizioni di obesità pari al 12%; diminuzione anche per il sovrappeso, nel biennio 2008-09 erano il 23,2% dei bambini. Il rapporto Osservasalute sottolinea che se mamma e papà hanno studiato, i bimbi sono più in forma: all’aumentare del grado di istruzione dei genitori, infatti, diminuisce la quota di figli in eccesso ponderale e nelle famiglie in cui vi è almeno un genitore obeso la prevalenza di bambini in eccesso di peso è maggiore. Si conferma una spiccata variabilità interregionale, con percentuali tendenzialmente più basse nell’Italia settentrionale e più alte nel Meridione: dal 13,4% di sovrappeso nella Pa di Bolzano al 28,6% in Campania; dal 4% di obesità nella Pa di Bolzano al 19,2% in Campania. Si stima che nella popolazione di 6-11 anni il numero di coloro che presentano un eccesso ponderale sia pari a circa 1 milione e 50.000 bambini, di cui 336 mila obesi. (Agenzia DIRE, 5 maggio 2016)
3.Pesticidi nei fiumi, quali sono i rischi? Più pesticidi in fiumi, laghi e torrenti italiani. La presenza di sostanze chimiche in acque di superficie è in crescita ed è stata riscontrata anche in quelle estratte dal sottosuolo per l’irrigazione. Sono i dati contenuti nell’ultimo rapporto pubblicato da Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che lo invia ai Ministeri competenti affinché costituisca eventuale spunto di interventi. Ma gli esperti tranquillizzano: “ Non ‘è rischio per la salute, siamo molto al di sotto della soglia di sicurezza per l’uomo”. I pesticidi sono presenti nel 63,9% dei punti controllati e nel 21,3% si registrano concentrazioni superiori agli standard di qualità ambientale. Aumentati soprattutto fungicidi e insetticidi. Residui di pesticidi sono stati rinvenuti in profondità protette da strati geologici difficilmente permeabili. L’aumento è del 20% nelle acque superficiali, del 10% nelle acque sotterranee; queste ultime risultano inquinate nel 31,7% dei casi; glifosato e altri agenti chimici contaminano il 64% di laghi e ruscelli. (Corriere della Sera, 10 maggio 2016, pag. 23, con grafici e tabelle)
- Incendi. Almeno il 10% degli edifici di Fort McMurray , nella provincia canadese dell’Alberta, è stato distrutto dagli incendi che hanno causato l’evacuazione dei 90.000 abitanti. Le fiamme hanno bruciato 200.000 ettari di vegetazione. (Internazionale n. 1153, 13 maggio2016, pag. 108)
- Clima incendiario. Un inverno secco e temperature incredibilmente superiori alla media hanno preparato il terreno all’enorme incendio, ancora in corso, che ha colpito la provincia canadese dell’Alberta. La città canadese di Fort McMurray, a circa 650 chilometri da Calgary, è cresciuta molto in fretta sulle sponde del fiume Athabasca. Negli anni settanta la popolazione è triplicata, e da allora è quasi triplicata di nuovo. La crescita è stata alimentata da un’unica attività: l’estrazione di petrolio da una formazione rocciosa di sabbie bituminose grande quanto la Florida. Quando il prezzo del greggio era alto a Fort Mc Murray circolavano tanti di quei soldi che la città è stata soprannominata Fort McMoney. (…) Nessuno conosce con esattezza le cause dell’incendio- forse un fulmine o una scintilla provocata da una persona – ma è chiaro perché, una volta innescato, sia divampato così in fretta. L’Alberta ha avuto un inverno insolitamente secco e mite. Le precipitazioni sono state circa la metà della norma e la poca neve si è sciolta presto. Aprile è stato un mese eccezionalmente caldo, con temperature sempre al di sopra dei 20 gradi. : due giorni fa il termometro segnava 32 gradi, una quindicina in più della massima normale di maggio. Pur essendo difficile collegare direttamente un disastro ambientale al cambiamento climatico, nel caso di Fort McMurray il nesso è piuttosto evidente. In Canada, come negli Stati Uniti, e in gran parte del mondo, l’aumento delle temperature prolunga la stagione degli incendi. L’anno scorso il fuoco ha bruciato quattro milioni di ettari negli Stati Uniti, la superfice più vasta mai colpita. I cinque anni più devastanti sono stati tutti nell’ultimo decennio. In base a uno studio della guardia forestale statunitense pubblicato ad aprile, “il cambiamento climatico ha protratto le stagioni degli incendi , che ora sono in media di 78 giorni più lunghe rispetto al 1970”. Negli ultimi trent’anni, l’area distrutta ogni anno dal fuoco è raddoppiata e per la forestale è probabile che “raddoppierà ancora entro la metà del secolo”. Secondo alcuni scienziati, che hanno analizzato i sedimenti lacustri dell’Alaska per ricavare informazioni sugli incendi boschivi degli ultimi diecimila anni, negli scorsi decenni il fuoco è stato sia insolitamente frequente sia insolitamente dirompente. “Questa combinazione indica la transizione a un regime di attività senza precedenti” hanno concluso. Siamo tutti responsabili. Un commentatore ha sintetizzato bene la situazione, definendo “ironia nera” l’incendio che ha colpito Fort McMurray. La città, si è sviluppata grazie alle sabbie bituminose, che producono un carburante ad alta emissione di anidride carbonica. Quanta più ne viene rilasciata nell’atmosfera, tanto più caldo diventa il mondo e tanto più probabili saranno gli incendi devastanti. Sollevare questioni ambientali nel bel mezzo di una tragedia umana significherebbe passare per insensibili. E sarebbe senz’altro sbagliato imputare agli abitanti di Fort McMurray il disastro che li ha colpiti. Come ha detto Andrew Weawer, climatologo canadese e parlamentare dei Verdi nell’assemblea legislativa della Colombia Britannica: “La verità è che siamo tutti consumatori di derivati del petrolio”. Non ammettere il legame, però, significherebbe passare per ben altro. Siamo tutti consumatori di petrolio, per non parlare di carbone e gas naturale, quindi abbiamo tutti contribuito all’attuale inferno. Dobbiamo riconoscere le nostre responsabilità e rimediare. Il prossimo incendio sarà stato annunciato e nessuno potrà lavarsene le mani e non sentirsi complice.(Elizabeth Kolbert, New Yorker, Stati Uniti; Internazionale n. 1153, 13 maggio 2016, pag. 105, con foto)
- In bicicletta tra lo smog. Muoversi in bicicletta o a piedi a Londra e a New York fa bene alla salute, tanto da compensare ampiamente i rischi legati allo smog che si respira. A Delhi, invece, che è dieci volte più inquinata, basta pedalare cinque ore alla settimana per cancellare gli aspetti positivi. E’ quanto emerge da una ricerca dell’Università di Cambridge, che ha simulato le conseguenze dell’attività fisica regolare all’aperto, tenendo conto dell’intensità e della durata, in relazione ai livelli di polveri sottili registrati in 1662 aree del mondo. In media i rischi superano i benefici dopo sette ore di bici e 16 ore di camminata al giorno. Solo nell’1% delle città i livelli di inquinamento sono così elevati che è meglio non pedalare per più di mezz’ora al giorno. A conti fatti, concludono i ricercatori su Preventive Medicine, è più che giustificato incoraggiare le persone a camminare e a usare la bici in città. (Internazionale n. 1153, 13 maggio 2016, pag.106)
- Sfuggire al deserto. Nel corso di questo secolo alcune regioni del Medio Oriente e del Nordafrica diventeranno troppo calde e spingeranno molte persone ad emigrare. Una ricerca dei Max Planck Institutes pubblicata su Climate Changes, prevede, nella migliore delle ipotesi, un aumento di quattro gradi centigradi delle temperature, che nelle notti d’estate supereranno i 30 gradi e raggiungeranno i 46 gradi di giorno. Saranno sempre più frequenti le ondate di calore e le tempeste di sabbia. Se le emissioni di gas serra continueranno ad alimentare il riscaldamento globale, chi vive in queste regioni dovrà aspettarsi 200 giorni molto caldi all’anno. (Internazionale n.1153, 13 maggio2016, pag. 106).
- Siccità. Secondo le Nazioni Unite, nello Zimbabwe 4,5 milioni di persone sono a rischio a causa della siccità. Internazionale n.1153, 13 maggio 2016, pag. 108). (Internazionale n.1153, 13 maggio 2016, pag.108)
- Mare. Le acque marine hanno sommerso una parte delle isole Salomone. Secondo Environmental Research Letters, le foto aeree e satellitari relative e a33 isole, scattate tra il 1947 e il 2014, mostrano che sono scomparse cinque isole coralline dotate di vegetazione. In altre sei l’avanzamento del mare ha distrutto due villaggi. L’erosione è maggiore nei punti dove l’innalzamento del mare, legato al cambiamento climatico, interagisce con la forza delle onde. (Internazionale n.1153, 13 maggio 2016, pag.108)
- Antilopi. Le antilopi addax, note anche come antilopi dalle corna a vite, sono a rischio di estinzione in Niger, la loro regione d’origine e nel resto dell’Africa a causa della riduzione dell’habitat e del bracconaggio. (Internazionale n. 1153, 13 maggio 2016, pag.108)
- Spegnere davvero. “Una volta c’era una differenza tra acceso e spento, ora è più complicato”, scrive il New York Times. Gli apparecchi che assorbono energia elettrica quando sono in stand by o spenti fanno aumentare le bollette e consumano di più, contribuendo al cambiamento climatico. Secondo una stima del Berkeley Lab, in una tipica casa statunitense ci sono una cinquantina di dispositivi. Nel complesso, questo spreco energetico può arrivare a rappresentare un quarto della bolletta domestica. Per esempio, una lavatrice moderna assorbe sette watt quando è accesa ma non sta lavando e quattro watt quando è spenta. Un computer portatile assorbe 48 watt quando è in carica e 27 quando è spento e collegato alla linea elettrica. Può sembrare poco, ma sul lungo periodo gli sprechi aumentano. In una settimana il portatile consuma 4,5 kilowattora di elettricità, in un anno circa 235. Il consumo energetico è elevato anche perché molti dispositivi vengono spenti raramente. Un esempio tipico è il router che assorbe circa 4 watt, oppure il frigorifero o la macchina del caffè. Tutti gli elettrodomestici che sono connessi a internet, che hanno un orologio interno o che possono memorizzare la programmazione consumano continuamente piccole quantità di energia. Contro questo spreco sarebbe utile misurare il consumo nascosto dei propri apparecchi. E poi usare le multiprese con interruttore, per scollegare tutti i dispositivi con un gesto solo quando non si usano. (Internazionale n.1153, 13 maggio2016, pag.108)
- Un budget extraterrestre. Australia. “La settimana scorsa il ministro del Tesoro Scott Morrison ha presentato un budget che sembra riferirsi ad un altro pianeta”, scrive Michael Lucy su The Monthly. “Nel suo discorso ha insistito sui posti di lavoro, la crescita e il futuro ma non ha fatto alcun accenno al clima e all’ambiente. I laburisti hanno fatto un pò di più. Bill Shorten almeno ha parlato di cambiamento climatico e si è impegnato a portare il paese, entro il 2030, al 505 di energia ricavata da fonti rinnovabili. I Verdi si sono spinti un po’ più in là, promettendo di arrivare al 90% entro quell’anno. Ma nessuno dei due obiettivi è sufficiente: nel 2016 la riduzione drastica delle emissioni dovrebbe essere l’impegno primario di ogni budget e piano di governo. Un bilancio serio sul lavoro e la crescita tratterebbe il cambiamento climatico come una minaccia seria. E i politici che pensassero davvero al futuro anche oltre le elezioni ammetterebbero che gli impegni presi finora (come l’accordo di Parigi) sono inadeguati. (Internazionale n.1153,13 maggio 2016, pag. 32)
- Risarciti gli ex schiavi bambini. Strappati alle famiglie, sfruttati e abusati, fino al 1971. Ora ottengono un rimborso. Difficile pensare che in un Paese civile e democratico, incistato nel cuore dell’Europa, possa essere esistita la schiavitù. Eppure anche la libera e pacifica Svizzera ha nel suo armadio un simile scheletro. E non stiamo parlando di una storia vecchia di qualche centinaio di anni, buona per i libri di storia. Una forma di schiavitù, che ha riguardato i bambini, è stata realtà fino a qualche decennio fa, precisamente fino al 1971. Per decenni, diecine di migliaia di bambini furono prelevati a forza dalle loro case e costretti a lavorare, a volte furono vittime di abusi sessuali, in molti casi vennero utilizzati come cavie per testare nuovi farmaci, e non si sa quanti furono sottoposti a sterilizzazione. Erano soprattutto orfani, o figli di famiglie povere per diverse ragioni considerate non in grado di mantenerli, oppure erano figli di madri nubili o di padri alcolizzati. Operazioni che seguivano un preciso schema, chiamate “collocamenti coatti” e definite “misure coercitive a scopo assistenziale”. Molti avrebbero voluto seppellire questa parte della storia del Paese, girare pagina e dimenticare. Nel 2013 il governo ha ufficialmente chiesto alle vittime sopravvissute e chissà, forse sperava di mettere così la parola fine. Ma l’anno successivo un’iniziativa popolare, chiamata “Per la compensazione “ e promossa da un uomo d’affari , Guido Fluri, raccolse circa 110mila firme che chiedevano al governo la creazione di un fondo di 500 milioni di franchi per risarcire almeno sul piano economico, le vittime di schiavitù ancora in vita. Ci sono voluti quasi due anni di discussioni, ma ora il governo sembra orientato ad accettare la compensazione, anche se per una cifra inferiore, 300 milioni di franchi. Un compromesso che non piace a socialisti e Verdi, ma che dal governo può essere considerato un successo visto che le posizioni iniziali dell’Unione Democratica di Centro erano di totale chiusura: “Non è corretto utilizzare fondi pubblici per sopperire alle sofferenze del passato”, era la motivazione del loro no. E poi: “Si rischia di sommare ingiustizia a ingiustizia, perché chi può stabilire chi ha davvero sofferto?”. Logiche che però non hanno prevalso, dato che ora un accordo pare proprio essere stato raggiunto e i circa 12mila ex “bambini collocati” ancora in vita riceveranno 25.ooo franche ciascuno. Basteranno a chiudere le ferite? (SETTE n.19, 13 maggio 2016, pag.58)
- Costretti a sposarsi. Ghana. I ragazzini schiavi della pesca vengono ora “imprigionati” con il matrimonio. James Kofi Annan era anche lui un piccolo schiavo dei pescatori del lago Volta. Da tanti anni, i bambini vengono rapiti – e molto spesso, più semplicemente comprati direttamente dai loro genitori, poverissimi, anche a dieci euro – nelle regioni profonde del Ghana per essere mandati sulle sponde del bacino artificiale più grande del mondo (come l’intera Umbria), creato nel 1966 sbarrando il fiume Volta con la diga di Akosombo e trasferendo 76mila abitanti dei villaggi e centinaia di migliaia di animali. Da allora, oltre che fonte principale di irrigazione , la sua acqua crea posti di lavoro con l’industria della pesca. Ed è qui – oltre che naturalmente sulla costa del Paese dell’Africa occidentale – che, da anni, si è diffusa la pratica dello schiavismo dei ragazzi. Almeno 7-10mila minorenni ( ma c’è chi ne conta più del doppio), dagli 11-12 anni in su, vengono utilizzati dai loro sfruttatori che li pagano ovviamente pochissimo (43 euro a settimana) e li costringono a lavorare 12-15 ore al giorno, spesso dall’una di notte, in condizioni di estremo pericolo. E infatti sono in molti a morire affogati. Qualcuno riesce però a scappare , e a tornare a casa: come appunto, James Kofi Annan, che nel 2003 ha fondato la Ong Challenging Heights, con cui combatte per tanti dei ragazzini di cui conosce bene la condizione e la disperazione. Ed è proprio lui a denunciare ora una nuova vessazione: sempre più spesso , infatti, le giovanissime vittime del traffico di umani vengono costrette – praticamente poco più che bambini – a sposarsi e a rendere quindi senza uscita la loro condizione. Una violenza punibile con il carcere fino a dieci anni, che di fatto però è ben difficilmente perseguibile. Challenging Heights ha lanciato un progetto per fermare i genitori che mandano iloro figli sul lago o sulle rive dell’oceano, a lavorare e a contrarre nozze forzate. “devono essere informati dei rischi che corrono i loro figli e loro stessi, ha detto James Kofi Annan. Che è riuscito a ottenere la collaborazione del ministero della Protezione sociale. (SETTE n.19, 13 maggio 2016, pag.57).
- Vendonsi leoni causa siccità. Zimbabwe. Elefanti, leoni, rinoceronti, leopardi, bufali. Tutti in vendita. “Quanti ne cederemo, non lo sappiamo: dipenderà anche dalle richieste “, ha detto Caroline Washaya-Moyo, portavoce della Parks and Wildlife Management Authority di Harare. Ma che lo Zimbabwe abbia deciso di vendere le sue ricchezze naturali è ormai un fatto. La ragione è semplice: la siccità che ha costretto già 4 milioni di abitanti a chiedere aiuto e rischia di decimare la popolazione dei parchi naturali. I compratori, naturalmente, dovranno essere altri parchi, pubblici o privati; di certo in una diecina di paesi dell’Africa del Sud la “fame” di anomali selvaggi è alta, e anche se di prezzi ancora non si parla, è evidente che le richieste arriveranno. La vendita potrebbe servire a leoni e rinoceronti ad avere una nuova casa ove sopravvivere alla siccità, una delle peggiori degli ultimi decenni, e alle amministrazioni dei parchi a superare la crisi, particolarmente grave nel paese del despota Robert Mugabe. Probabile che i primi ad andare saranno gli elefanti: 54mila su 80mila si trovano nell’Hwange National Park, che dichiara di avere il quadruplo della capienza ideale. (SETTE n.19, 13 maggio 2016, pag. 57)
- Le difficoltà dell’Alaska. “L’ultima frontiera degli Stati Uniti è in difficoltà”, scrive Bloomberg Businessweek. Il boom petrolifero cominciato quarant’anni fa, che ha reso l’Alaska uno degli stati più ricchi del paese, è finito. Non solo perché i prezzi del greggio sono crollati, ma anche perché la produzione è in calo”. Nel 1981 l’Alaska estraeva due milioni di barili di greggio al giorno, un quarto dell’intera produzione statunitense. Ma negli ultimi dieci anni il giacimento della Prudhoe bay, il più grande del Nord America, ha cominciato ad esaurirsi, e oggi l’Alaska estrae 500mila barili al giorno. “Il crollo è stato devastante , visto che il 90% del bilancio pubblico dipende dalle entrate petrolifere. L’Alaska ha un deficit di 4 miliardi di dollari e, secondo gli esperti, potrebbe arrivare all’insolvenza entro due anni”. Il governatore dello stato, Bill Walker , vuole aumentare le tasse e tagliare le spese per sanare i conti. Ma ha davanti un compito proibitivo: non sarà facile imporre queste misure , dal momento che i 730mila residenti in Alaska sono i cittadini statunitensi con il più basso tasso di imposizione fiscale e il più alto livello di spesa pubblica pro capite. (Internazionale n. 1153, 13 maggio 2016, pag.114)
- E se la Terra diventasse il “Pianeta delle Tigri” ? Il prossimo anno della Tigre? Sarà il 2022. E non solo per il segno zodiacale del calendario cinese. Ma soprattutto pe un obiettivo ambizioso: il TX2, ovvero raddoppiare il numero di tigri nel mondo. Dall’India alla Malesia oggi ce ne sono 3890. Poche in confronto alle 100mila di appena un secolo fa. La buona notizia però è che finalmente il loro numero è tornato a crescere , grazie ai limiti imposti al bracconaggio e alla distruzione delle foreste. Salvare loro significa salvare tutta la natura del Sud Est asiatico. Sperando che servano meno di 100 anni per ripristinare la popolazione felina originaria. (Giorgia tasso, Io Donna, 14 maggio 2016, pag.38)
- L’Alberta brucia ancora. A Fort McMurray , nello stato canadese dell’Alberta, le autorità hanno ordinato l’evacuazione di 19 campi dove vivono i lavoratori degli impianti di estrazione del petrolio, a causa degli incendi scoppiati all’inizio di maggio. Le fiamme sono ancora fuori controllo e si estendono su una superficie di circa 2400 chilometri quadrati (un’area tre volte più grande della città di New York). Serviranno settimane prima di riuscire a spegnerle. “Finora circa 90mila persone sono state costrette ad abbandonare le loro case”, scrive il Toronto Star. Dall’inizio degli incendi la produzione di petrolio canadese si è ridotta di oltre un milione di barili e questo ha contribuito a far aumentare il prezzo del barile di greggio. (Internazionale n.1154, 20 maggio 2016, pag.28)
- Immediato. L’ultimo aprile è stato il più caldo dal 1880. Non solo: è stato il settimo mese consecutivo sopra la media. Gli effetti catastrofici del cambiamento climatico cominciano a superare i limiti oltre i quali ogni intervento rischia di arrivare troppo tardi. Ma c’è una causa di questo cambiamento di cui si parla poco. Il documentario Cowspiracy, di Kip Andersen e Keegan KUHN, prende spunto da un rapporto del 2006 della Fao in cui si spiega che i processi coinvolti nell’allevamento di animali generano il 18% delle emissioni globali di gas serra legate alle attività umane, una quota superiore a quella dell’intero settore di trasporti (stradali, aerei, navali e ferroviari) responsabili del 13,5 % di gas nocivi. L’allevamento è anche la causa principale del degrado ambientale e del consumo di risorse, (per produrre un solo hamburger sono necessari 2500 litri di acqua, come rimanere sotto la doccia per quasi tre ore di fila). La domanda di Kip Andersen è semplice: “Come mai non ne sapevo niente?” Non dovrebbe essere in cima alla lista delle priorità di tutte le organizzazioni ambientaliste? Comincia a questo punto una parte surreale del documentario: Andersen cerca di intervistare i responsabili di Greenpeace, che però si rifiutano di incontrarlo. E con le altre organizzazioni non va meglio: riesce a parlare con qualcuno, ma le risposte sono evasive o tendono a minimizzare il problema. Eppure i numeri della Fao, che poi in uno studio più approfondito del 2013 sono stati rivisti leggermente al ribasso (14,5% anziché 18), sono accusati di sottovalutare l’impatto dell’industria alimentare. Un rapporto del 2009 del Worldwatch Institute, condotto da due studiosi legati alla Banca Mondiale, aggregando diversamente i dati disponibili sostiene che gli allevamenti sono responsabili del 51% delle emissioni di gas serra. La reticenza delle organizzazioni ambientaliste è dovuta probabilmente a un insieme di fattori. Invitare a non mangiare carne, pesce, latte e uova è impopolare, e queste organizzazioni hanno bisogno del sostegno di tanti iscritti per sopravvivere, quindi privilegiano le battaglie in un certo senso più facili, che non richiedono scelte individuali drastiche. Poi certo l’industria alimentare è molto forte e ha una grande capacità di condizionare le scelte dei cittadini. Infine, in diverse parti del mondo chi contesta gli allevamenti rischia la vita: in vent’anni in Amazonia sono stati uccisi 1100 attivisti dei movimenti che si oppongono al disboscamento. Cambiamento climatico, consumo e inquinamento delle risorse, deforestazione, perdita della biodiversità; e poi naturalmente le conseguenze sulla salute delle persone, i dubbi etici legati all’uccidere e al mangiare animali, le condizioni dei lavoratori di questo settore: il punto è che mentre intervenire sulle altre forme di inquinamento (trasporti, industria, produzione di energia, edilizia) richiede molto tempo ed enormi sforzi congiunti di governi e aziende, ridurre significativamente il consumo di carne, pesce, latte e uova non solo avrebbe un effetto rilevante e immediato sul cambiamento climatico, ma soprattutto è una decisione che può prender chiunque, in ogni momento. E’ una scelta che pensavamo di poter rimandare ai nostri figli. Forse non è più così. (Giovanni De mauro; Internazionale n. 1154, 20 maggio 2016, pag.7) .
- Disastro ambientale. Il Vietnam è alle prese non solo con il disastro ambientale peggiore della sua storia, ma anche con forti disordini sociali. Dall’inizio di aprile milioni di pesci morti sono spiaggiati lungo 200 chilometri di costa in quattro province che vivono di pesca e allevamento ittico. Il 28 aprile il governo ha ammesso che si tratta di un “serio disastro ambientale” con gravi conseguenze economiche. A causare la moria di pesci si pensa sia l’acciaieria taiwanese Formosa, che scarica materiale tossico tramite un tubo che corre per 1,5 chilometri in mezzo al mare, scrive Thanhnien News. Il ritardo con cui il governo ha reagito e la mancata indagine sulla causa del problema, hanno provocato la rabbia di migliaia di cittadini, che sono scesi in piazza a Ho chi Min City l’1 e l’8 maggio sfidando la polizia. (Internazionale n.1154, 20 maggio 2016, pag.36)
- La saga del glifosato. “E’ improbabile che l’assunzione di glifosato tramite gli alimenti sia cancerogena per gli esseri umani”, sostiene il Joint Meeting on pesticides residues (Jmpr), una commissione congiunta dell’Oms e della Fao. La nuova valutazione conferma quella dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, (Efsa), ma non quella dell’agenzia dell’Oms per la ricerca sul cancro (Iarc), che aveva classificato il pesticida come “probabilmente cancerogeno”. Ufficialmente le due valutazioni non sono in contraddizione perché la Iarc classifica le sostanze mentre il Jmpr ha fatto una valutazione del rischio. Si prefigura però un conflitto d’interessi per due membri del Jmpr, che fanno parte di un Istituto finanziato anche dall’industria alimentare. (Internazionale n. 1154, 20 maggio 2016, pag. 108)
- Ambiente. Il cambiamento climatico ha rimpicciolito il piovanello maggiore, un uccello migratore che nidifica nelle zone artiche e sverna in Africa. Negli anni più caldi i pulcini sviluppano becchi più piccoli del normale, scrive Science. Da adulti, quando raggiungono le zone tropicali, questi individui hanno difficoltà a catturare i molluschi che vivono tra la sabbia. Il riscaldamento del pianeta riduce quindi la capacità di sopravvivenza di questi uccelli. (Internazionale n.1154, 20 maggio 2016, pag. 108)
- Fulmini. Cinquantanove persone sono morte colpite dai fulmini durante una serie di tempeste in Bangladesh. (Internazionale n.1154, 20 maggio 2016, pag.110)
- Alluvioni. Almeno cento persone sono morte dalla fine di marzo nelle alluvioni che hanno colpito l’Etiopia. Duecentomila persone sono state costrette a lasciare le loro case. (Internazionale n. 1154, 20 maggio 2016, pag. 110)
- Carpe. Le autorità australiane hanno annunciato un piano per eliminare l’80% delle carpe rilasciando nei fiumi un virus dell’herpes. Le carpe, considerate una specie invasiva, sono state introdotte nel paese dai coloni europei nel 1859. (Internazionale n. 1154, 20 maggio 2016, pag. 110)
- Mare. Più di trecento balene, tonnellate di salmoni d’allevamento, sardine, gamberetti, molluschi. Dall’inizio dell’anno l’aumento delle alghe tossiche nel sud del Cile continua ad uccidere la fauna marina. La “marea rossa” formata da microalghe colpisce periodicamente il litorale del paese, ma quest’anno il fenomeno è più forte e più esteso, probabilmente per gli effetti del Nino, ma forse anche a causa dell’acquacultura. Si sospetta che lo sversamento in mare dei salmoni morti abbia peggiorato la situazione. (Internazionale n. 1154, 20 maggio 2016, pag. 110).
- Ogm. Per la prima volta da vent’anni, nel 2015 le aree del mondo coltivate con piante geneticamente modificate sono diminuite. Il calo dell’1 % è dovuto a una diminuzione di tutte le colture, convenzionali e modificate. Alcuni produttori, come gli Stati Uniti, potrebbero anche essere vicini alla saturazione. (Internazionale n. 1154, 20 maggio 2016, pag. 110, con grafico 2000-2015).
- il fumo sopra le nuvole del Canada. In questa foto scattata dal satellite Aqua si vede una voluta di fumo sopra un banco di nubi nei cieli dei territori del Nord Ovest canadese. E’ molto probabile che venga dall’incendio scoppiato all’inizio di maggio in Alberta, vicino Fort McMurray, ma potrebbero aver contribuito anche altri roghi nelle province di Saskatchewan e Manitoba. “La foto, spiega Richard Kleidman, esperto di scienze dell’atmosfera del Goddard Space Flight Center della Nasa, “ è un ottimo esempio di aerosol sopra le nubi, un fenomeno di grande interesse per i ricercatori”. Gli aerosol sono minuscole particelle trasportate dall’aria che si trovano per esempio nel fumo, negli inquinanti atmosferici, nella polvere e nella cenere vulcanica. Gli scienziati sanno che possono incidere pesantemente sul clima, ma alcuni aspetti del modo in cui agiscono vanno ancora studiati. In particolare non è chiara l’interazione tra gli aerosol e le nubi, soprattutto quando gli aerosol le superano. Sempre più studi indicano che gli effetti degli aerosol “assorbenti” di colore scuro, comuni nel fumo, sono molto diversi a seconda che le particelle si trovino sulle nubi o in un cielo limpido. In genere nel cielo azzurro il fumo raffredda l’atmosfera terrestre. In presenza di nubi, invece, quando il fumo sale più in alto di uno strato nuvoloso, l’effetto è opposto: le particelle riscaldano l’atmosfera. Quanto è più luminoso è lo strato delle nubi, tanto maggiore è il riscaldamento. Anche se alcune ricerche hanno dimostrato l’influenza degli aerosol sopra le nubi, solo pochi modelli climatici ne tengono conto. Questo in parte perché nelle raccolte di dati satellitari sugli aerosol si tendono ad escludere le immagini con i cielo coperto, perché le nubi rendono più difficile misurare con precisione gli aerosol. Gli scienziati, però, stanno mettendo a punto nuove strategie per l’analisi degli aerosol al di sopra delle nubi. (Adam Voiland, Nasa; Internazionale n. 1154, 20 maggio 2016, pag. 111, con foto).
- Strage di pesce e legalità. Sulla costa è disastro ambientale. “Colpa di formosa ma a pagare sono i pescatori”. Partiamo da due dati. Primo, l’anno scorso , il Vietnam ha incassato quasi sei miliardi di euro dalle esportazioni di pesce. Secondo: ogni giorno, da settimane, sulle rive di un tratto di costa lungo 350 chilometri, tra la regione di Ha Thin a quella di Hue, si arenano qualcosa come cinque milioni di pesci morti. Evidentemente avvelenati. Ecco perché, in almeno due occasioni, nelle scorse settimane, centinaia di persone si sono radunate nel centro di Hanoi, davanti all’Opera House e ad Ho Chi Minh City, secondo centro del paese, a protestare . Centinaia non sembrano tante, ma va tenuto conto che se i media hanno riportato la notizia del disastro ecologico, sulle dimostrazioni è stata messa la sordina. E inoltre, più in generale, le manifestazioni in Vietnam sono di solito spente sul nascere: proprio come quella nella capitale, terminata rapidamente con l’arresto di diecine di persone. A dire il vero, un presunto colpevole per l’avvelenamento c’è: sono in molti a essere convinti che la strage di pesci sia stata provocata da una acciaieria di proprietà di un gruppo di Taiwan, la Formosa Ha Tinh Steel Corporation, che si trova nella Ving Ang Economic Zone. L’indizio è più – come si suol dire – di una pistola fumante: nei giorni precedenti alla moria, ha confermato il ministero dell’ambiente vietnamita, la compagnia ha pulito le proprie condotte fognarie. E queste tubature si allungano per un chilometro e mezzo in mare. I pesci morti, purtroppo, sono anche quelli di fondale, a dimostrazione del fatto che l’inquinamento qualunque sia la causa, è andato letteralmente in profondità. Mettendo in ginocchio l’industria della pesca e dell’allevamento del Vietnam centrale. (…). (SETTEn.20, 20 maggio 2016, pag.45)
- Città del Messico sempre più calda. La temperatura a Città del Messico è cresciuta di oltre tre gradi negli ultimi tre anni, una media assai superiore a quella del riscaldamento globale. La causa è la crescita urbana senza controlli, in una regione che era scelta secoli fa dai suoi primi abitanti per il clima ameno, temperato dall’altitudine. Ora invece si sono moltiplicate le giornate di caldo intenso, in una città dove l’aria condizionate e i ventilatori non sono la norma. I meteorologi spiegano che la temperatura media nel 1986 era stata di 20,1 gradi, mentre quella del 2015 è arrivata a 23, 9. La città è cresciuta fino a venti milioni di abitanti, occupando i boschi circostanti. Le ondate di caldo intenso sono passate da 2-5 all’annofinoa una ventina. Da anni le autorità tentano anche di ridurre il traffico caotico e l’inquinamento. (SETTE n. 20, 20 maggio 2016, pag. 43)
- Clima. Il Nino più intenso degli ultimi 35 anni è ufficialmente finito. Le temperature dell’acqua del pacifico tropicale sono tornate normali, ma le siccità e le omdate di calore degli ultimi 18 mesi rischiano di lasciare quasi cento milioni di persone senza cibo. (Internazionale n. 1156, 2 giugno 2016, pag.98)
- Inquinamento. L’aria inquinata potrebbe far aumentare le morti fetali. Dall’analisi di tredici studi epidemiologici i ricercatori dell’Università Finlandese di Oulu hanno evidenziato una relazione tra l’esposizione a polveri sottili (pm10), monossido di carbonio e diossido di azoto e il rischio di morti in utero, in particolare nel terzo trimestre di gravidanza. Per confermare o invalidare questa correlazione servono ulteriori studi, scrivono gli autori dell’analisi su Occupational & Evironmental Medicine. (Internazionale n. 1156, 2 giugno 2016, pag. 98)
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