di Tonino Perna*
Come sappiamo dal 2008 l’Europa è stata progressivamente colpita dalla crisi finanziaria, che si è tradotta in crisi dell’economia reale, che a sua volta è stata aggravata dalle politiche di austerity imposte da Bruxelles per tentare di salvare le banche, a partire dal quelle tedesche, che erano piene di titoli tossici.
Per la prima volta dagli anni ’50 del secolo scorso, l’Europa è stata travolta da un’onda lunga di impoverimento. Come era successo in Russia negli anni ’90, in Argentina dopo il crac del 2001, così dal 2009 una parte dei paesi europei, soprattutto dell’Europa mediterranea, ha riscoperto il baratto. Non si è trattato certamente di un fenomeno di massa, come era stato in Russia ed in Argentina, ma ha riguardato una parte significativa di queste popolazioni.
In Spagna, ad esempio, si sono moltiplicati i centri in cui si pratica el trueque, così come in Grecia ed in misura minore in Italia e Portogallo. Ma, anche negli altri paesi europei sono cresciute le pratiche di scambio di beni come giocattoli, vestiti, libri, ed altro. Ma, quello che è più interessante è che è cresciuto il numero di pubblicazioni ed articoli su come si possa vivere facendo a meno, sia pure parzialmente, del denaro (1) .
Particolare risonanza ha avuto il caso di Marc Boyle, giovane inglese, che ha scritto un libro sulla sua esperienza (2), iniziata nel 2008, di vivere senza denaro. Così come Daniel Suelo (pseudonimo di Shellaborger) che dall’inizio del 2000 ha preso la decisione di vivere senza un soldo per 12 anni, ma senza farsi mancare un blog ed una rete di persone che lo sostenevano con doni in natura (3). Si può dire “niente di nuovo sotto il sole” perché anche in passato ci sono state esperienze simili, che riguardano singoli individui o piccoli gruppi.
Ma, un fatto è certo: la crisi che ha colpito la gran parte dei paesi europei è stata così pesante da mettere in discussione il “consumismo” che è stata la nuova religione, nata nel mondo occidentale, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso. La crisi ha determinato positivamente le una riduzione significativa degli sprechi alimentari, una riduzione, rilevante nei paesi dell’Europa mediterranea, del consumo di gas e petrolio, che ha comportato una riduzione dell’inquinamento non per scelta dei governi, ma per la caduta del reddito della stragrande maggioranza della popolazione.
Ed è questo il punto dolente. L’uscita dal consumismo, dalla catena “più lavori-più guadagni-più consumi” e dalla follia dell’indebitamento infinito – di famiglie, imprese e Stati – non è avvenuta per una presa di coscienza, ma per necessità. Soprattutto l’impatto della crisi ha colpito le fasce più deboli della popolazione e ridotto decisamente il cosiddetto ceto-medio, fatto perdere ogni certezza anche a coloro che per anni erano stati indicati (e vilipesi) come garantiti.
Come è avvenuto altre volte nella storia, dalle gravi crisi economiche alle guerre, ci sono stati due tipi di reazione. La prima, individualistica, che ha portato singole persone o categorie a pensare di salvarsi da soli e a mettersi in concorrenza con chi è più povero. La seconda è quella dell’economia solidale, della ricerca di altri stili di vita e di più forti legami sociali. In tutta l’Europa del sud duramente colpita dalle politiche di austerity sono nate o si sono rafforzate le forme tradizionali e nuove di economia solidale. Sono tante e variegate: dalle Amap in Francia e Gas. in Italia, che si basano su un rapporto diretto consumatori/piccoli produttori, alla finanza e microcredito solidale, ai condomini “solidali”, alle fabbriche recuperate ed autogestite in Italia, Spagna e Grecia, fino all’introduzione di una grande varietà di monete locali complementari e di “mutual credit”.
Quest’ultima rappresenta la grande novità di questa crisi. In Grecia è nata Tem (Unità Alternativa Locale, leggi La moneta greca che batte l’euro) che è una moneta virtuale nata a Volos nel 2012 , a cui si sono aggiunte altre cinque monete locali in diversi piccoli centri con lo scopo, che è comune a tutte queste esperienze, di rafforzare l’economia locale, e fuggire all’esoso sistema di tassazione. Dal 2011 si può dire che in Francia ogni mese nasca una moneta locale (4). In alcuni casi si tratta di mezzi di scambio che coinvolgono poche decine di persone, in altri – come nel caso di Sol Violette a Tolosa o dell’Abeille a Villeneuve – di migliaia di cittadini e centinaia di commercianti che creano una rete di scambio in cui è possibile usare queste monete locali complementari, spesso finalizzate a rafforzare l’economia ecologica e solidale.
A differenza della Francia, dove la spinta alla creazione di monete locali è venuta essenzialmente dai movimenti “altermondialisti” nel Regno Unito sono soprattutto i municipi, con in testa i sindaci, che stanno battendo “moneta locale” per far fronte alla crisi fiscale dei Comuni. Da Bristol a Brixton (municipio di Londra) a Comuni più piccoli si sta diffondendo nel Regno Unito l’uso di monete locali con cui vengono pagati parzialmente gli stipendi dei dipendenti comunali e con cui si possono pagare una parte delle imposte locali.
E’ una pratica che se fosse adottata in Italia darebbe respiro a tanti Comuni sull’orlo del fallimento. Alcuni segnali ci dicono che stiamo andando in questa direzione anche se in Italia finora sono presenti soprattutto esperienze di monete locali nate su iniziativa di associazioni, come l’arcipelago Scec che è la più diffusa (20.000 aderenti) e conosciuta a livello nazionale. Ma, c’è anche una molto interessante iniziativa di mutual credit – il Sardex (leggi Non vogliamo denaro, ma Sardex)- che ha coinvolto in Sardegna più di mille imprese creando un sistema di credito mutualistico tra imprese che salta le intermediazioni e gli interessi bancari. Un modello di successo che si sta replicando in Sicilia e Piemonte e che ha un precedente illustre come il Wir in Svizzera che opera da più di sessanta anni ed ha ormai un peso significativo nel mondo della piccola e media impresa.
Ci siamo soffermati soprattutto su queste esperienze di uso alternativo del denaro perché ci sembra che una delle grandi novità positive di questa grave crisi che attraversa l’Europa è quella che i cittadini stanno prendendo coscienza che il denaro è una forma di linguaggio – come Braudel, Polanyi, e tanti altri hanno sostenuto – che consente alla società di scambiare beni e servizi come la lingua parlata ci serve per comunicare gli uni con gli altri. Ora, proprio perché è una forma di comunicazione “il denaro” non può che essere un “bene comune” di cui le popolazioni di debbono riappropriare.
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NOTE
1) Vedi ad esempio Francesca Catorci, Senza denaro, Terra Nuova, Roma, 2012. Per il periodo pre-crisi va segnalato il testo di M. Pittau, Economia senza denaro, EMI, Bologna, 2003.
2) Il titolo è The moneyless man, ed è stato tradotto in decine di paesi.
3) Vedi l’articolo su Le Monde Libertaire , Paris, 27/06/2013, su questa esperienza e sul libro che la racconta curato da Mark Sundeen.
4) Vedi Andrea Paracchini, La révolution du colibrì, Asterisk ed., 2013, che dedica alla nascita delle monete locali in Francia un capitolo del suo interessante libro sul nuovo mutualismo francese.
* Questo articolo è stato pubblicato anche da Granello di sabbia, il mensile di Attac Italia, qui scaricabile
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