Nella seconda Taverna Comunale, aperta in un incantevole casale in pietra della periferia romana, abbiamo letto e ricordato il pensiero e la buona vita di Ivan Illich. La straordinaria accoglienza del Laboratorio sociale autogestito 100 celle è stata capace non solo di farci sentire a casa ma di far vivere a diverse decine di persone un modo di stare bene insieme, di cum-vivere sorridendo. Un modo leggero e profondo. Certo, anche i broccoletti, i fagioli contadini e il vino naturale hanno fatto la loro parte. Provare a cambiare le relazioni sociali che dominano il mondo intorno a una tavola è un difficile e affascinante esercizio di libertà, farlo al Casale Falchetti è un piacere
di Comune
Il sole si affaccia finalmente tra le nuvole. Qua e là, in terra, le tracce di un sorprendente tappeto bianco. L’ha creato la gragnola, che non é neve né grandine, caduta intensa nel primo mattino. Lo riflette la lucentezza dei rami degli alberi secolari che circondano il casale. Intorno palazzoni. Dietro l’orto sinergico e comunitario. In un angolo, un triangolo rosso Zona 30 della ciclofficina indica il limite di velocità e ricorda che i ciclisti e i pedoni sono più liberi e importanti di chi va in auto. Lo striscione del mercato contadino, aperto la seconda domenica di ogni mese, sovrasta il cancello d’ingresso. Benvenuti a Casale Falchetti, Roma.
Il primo febbraio abbiamo riaperto qui la Taverna Comunale, dopo l’appuntamento andato in scena a Scup in dicembre (Un linguaggio da taverna). L’abbiamo fatto, grazie al Laboratorio sociale autogestito 100 celle e al suo Gruppo di acquisto solidale, in un antico e accogliente casale di pietra frequentato da molte donne. Una splendida isola nella periferia romana ferita dalle solite armi da taglio, come l’abbandono e il degrado di un parco archeologico immenso. L’isola è un’occupazione che racconta una storia lunga e importante scritta dalla resistenza ribelle di un gruppo di cittadini aperti e molto tenaci.
Nella biosteria Saltatempo, tra i tavolini e le sedie di legno, prendono posto più di quaranta persone. Per il pranzo, nel teatro del casale, saranno poco meno del doppio. Arriviamo dalla stazione Tiburtina, con Aldo Zanchetta venuto da Lucca a raccontare di una collana di libri dal titolo ambizioso: Ripensare il mondo (Hermatena). Le notizie del giorno, secondo tv e quotidiani, non aiutano a farlo: “La crisi ha superato la sua fase più acuta, promette il ‘premier’”, “Forza Italia è spaccata, torna il rischio elezioni”. Pare un rumore di fondo lontano, una vecchia radio fuori sintonia che non riesce a trovare alcuna eco in questa taverna. Mondi lontani, altri mondi.
La convivialità e l’autonomia
I primi libri della collana avviata da Zanchetta sono di due amici eccellenti e lontani di Comune: “Ripensare il mondo con Ivan Illich”, lo ha curato Gustavo Esteva, “Crisi. La rapina impunita” è di Jean Robert, entrambi vivono in Messico. La conversazione si snoda fluida in un’atmosfera molto piacevole intorno al pensiero di un implacabile dissacratore di istituzioni (dalla medicina alla scuola) e miti (dallo sviluppo al lavoro), Ivan Illich. “L’ho conosciuto a Città di Castello, durante un incontro promosso dal mensile L’Altrapagina – racconta Aldo – era piuttosto stanco dopo la sua relazione. Conviveva da molti anni con un tumore sul viso che chiamava ‘la mia mortalità’ e che curava con medicine naturali autoprodotte. Ivan mi ha preso sotto braccio e ha sussurrato: ‘Andiamo a commettere un reato‘. Siamo andati fuori e ha acceso la sua pipa da oppio. Poi, all’epoca aveva già settantasei anni, ha fatto una cosa incredibile: si è messo in verticale a candela. É rimasto così per un paio di minuti ed è tornato in piedi con un salto. Allora abbiamo cominciato a chiacchierare”.
Ci sono attenzione, buonumore e un tono molto conviviale in questo momento al Casale. Ce n’è un gran bisogno in tempi grigi come questi, sentenzia qualcuno. Del resto, la parola che meglio esprime il pensiero del fondatore del Cidoc resta proprio quella “convivialità” che dà anche il titolo al libro più noto di Illich. Non va confusa, però, con la coabitazione fraterna e solidale di una comunità, scrive Gustavo Esteva. La società conviviale di Illich è un’altra cosa, è la società che rifiuta la dittatura della produzione industriale estesa a ogni ambito della vita. È la società che cambia il mondo mettendo al centro l’autonomia, l’autogestione comunitaria e la creatività delle persone. Con questa accezione, ha spiegato, possiamo distinguere anche gli strumenti in conviviali e non, e possiamo ripensare il nostro rapporto con loro.
La maestra Michela e l’Università della terra
“Leggere Illich mette in discussione molte certezze”, dice Michela, maestra a Napoli. “Sempre più spesso nel mio mestiere mi chiedo cosa devo fare. Come posso proporre un apprendimento diverso?” domanda. “Io non fornisco ricette per cambiare l’uomo e rifare una società nuova – ha scritto Illich – Una cosa però è certa: una pluralità di strumenti limitati e di organizzazioni conviviali stimolerebbe una diversità di modi di vita”. Le domande, si osserva, sono quasi sempre più importanti delle risposte, che saranno molte, diverse tra loro e non prive di limiti. Vivere con le domande aiuta a riprendere il cammino, a continuare a cercare, ad aprire strade e inventare percorsi. Per qualche sosta importante, comunque, ricorda Aldo, non mancano i luoghi straordinari come le Universidad de la tierra nelle quali non contano i diplomi, i voti, gli esami, i testi scolastici. Si sperimenta un apprendimento differente. Accade in Messico, dove Illich ha vissuto a lungo, a Oaxaca, dove Unitierra è stata fondata da Gustavo Esteva e Sergio Beltrán. Altre esperienze, col medesimo nome ma molto diverse (di modelli non c’è alcun bisogno) tra loro, esistono in Chiapas e negli Stati Uniti. Sono università “scalze”, per camminare domandando.
A una scuola sociale del genere, una scuola “de-scolarizzata” nella quale mettere in comune saperi, pensiero critico, pratiche, attività di ricerca tra coloro che vivono il cambiamento nei territori, pensa da tempo Pina, tra i primi occupanti del Casale Falchetti e prima regista della nostra taverna di oggi. “Questo spazio ha una sua storia e un proprio genius loci, uno spirito del luogo alimentato dalle relazioni sociali che qui si costruiscono ogni giorno – spiega – A modo suo, anche Comune costruisce ogni giorno, per questo è un dono di cui nutrirci. Conosciamo bene anche la condizione estremamente difficile in cui si trova chi lo fa, quindi ospitare una Taverna Comunale e un incontro su Illich ci è sembrato naturale, una parte bella e importante del nostro percorso”.
La filosofia e i broccoletti
La nostra chiacchierata continua, mette insieme racconti e letture, ricordi e testimonianze dirette della vita di Illich. Come il suo desiderio di conoscere le persone intorno a un tavolo e a un buon bicchiere di vino, l’amore per il camminare e l’amicizia, la partecipazione alla resistenza contro il nazismo, la straordinaria conoscenza d’una decina di lingue. Non mancano gli spunti per approfondire: Illich e Marx, la possibilità di vivere la crisi come grande opportunità, il ruolo della scienza, e poi la leggerezza, la vita quotidiana, la rivoluzione senza la conquista dell’apparato dello Stato, la complessità. Dall’attigua cucina comincia a diffondersi un profumo di cibo buono. Zanchetta conclude con le parole di Giorgio Agamben, tratte dall’introduzione a “Genere” (riproposto nell’autunno 2013 da Neri Pozza): “Molti segni lasciano congetturare che, anche in questo ambito, il pensiero di Illich abbia raggiunto l’ora della sua leggibilità. Ma questa non sarà possibile fino a quando la filosofia contemporanea non si deciderà a fare i conti con questo maestro celeberrimo e, tuttavia, ostinatamente mantenuto ai margini del dibattito accademico”. L’acqua per la pasta ha preso a borbottare sopra il grande fornello, chiama a raccolta.
Una lavagna ricorda il menù: pasta con i broccoletti (o alla amatriciana, per chi preferisce), tortillas e tortini di verdure di stagione, insalata di fagioli contadini, carote-zenzero e cannella, finocchi, dolci vegan e vino naturale bianco e rosso.
Sofia e Claudio, i piatti e i mestoli
Una delle più giovani partecipanti alla Taverna si chiama Sofia. Ha undici anni, occhi curiosi e lunghi capelli neri. Prima di prendere posto a tavola, le anticipiamo lo scoop del giorno: domenica 15 marzo la Taverna Comunale sarà piena di bambini e bambine. Al Cinema Palazzo facciamo il pane insieme e poi mangiamo intorno a grandi tavoli. Ci sarà anche un coro niente male. Se poi c’è il sole, ci prendiamo pure una piazza del quartiere di san Lorenzo, quella dei Sanniti. Per dirla con Rigoni Stern, ne usciremo tutti un po’ più com-pagni e com-pagne. Sofia e la sua mamma sono state le prime a prenotare.
La cucina di Casale Falchetti ha due porte: quella della biosteria e quella che affaccia sul piccolo cortile da cui è possibile raggiungere il bar e il teatro. Luciana, Giovanna, Antonella, Stefania, Maria Rita, Paola, Daniela indossano grembiuli e sono alle prese con pentoloni, piatti e mestoli. Hanno lasciato quelle porte aperte perché sanno che in cucina le relazioni tra le persone possono cambiare in modo più naturale: è il segno del loro fare comunità a cominciare dalla vita quotidiana. Comunità aperte e mai escludenti, naturalmente. Comunità libere e pronte a intrecciare storie, abitudini, sapori.
Uno dei ragazzi che autogestiscono il bar del casale si chiama Claudio, avrà poco più di vent’anni. Riempie lentamente le brocche di vetro con l’acqua (del rubinetto) e con il vino, aiuta a preparare i tavoli e chiede se in cucina serve ancora una mano. Alberto, invece, durante il pranzo alterna il servizio ai tavoli, le chiacchiere sulla decrescita, vivaci scambi di opinione sul metodo migliore per la preparazione dei broccoletti (s’è alzato all’alba per pulirne una collina) e commenti sul fermento milanese dei No Expo. Molti lo salutano ricordando i corsi sull’economia solidale di cui è stato uno dei formatori.
Martina vive ad Albano Laziale, sui Castelli Romani, ed è una ricercatrice di antropologia culturale. Ci teneva a partecipare e a conoscere il mondo di Comune. Presto manderà un articolo sugli ecovillaggi.
Il vino e il caffè, il tombolo e la bici
Si chiacchiera e si ride, si racconta e si ascolta, si mangia e si beve. Un incontro così è “interessante e gioioso, vivificante, fertile”, dice Claudio di Cemea, che mostra una profonda conoscenza delle passioni e della vita spirituale di Illich: “Gozzovigliamo, compagni. Come diceva Illich, il vino nos une!”.
Siamo al caffè e ai primi saluti. Molti però vogliono dare una mano a liberare i tavoli. Gea, vent’anni, ha già le idee piuttosto chiare su come si sta bene in un luogo del genere, tra cooperazione e spontaneità. Così aiuta a svuotare il teatro: ci sono tavoli, panche e sedie da riportare sotto il bel porticato. Luis, pelo corto, zampe agili e tanta voglia di giocare, non si allontana un istante da lei. Prima di salire in bici per tornare a casa, Claudia si ferma ad aiutare e intanto racconta del suo sito sul turismo ecologico e della scelta coraggiosa di ridurre l’orario di lavoro in un call center. Ci parla anche del blog della sua amica Azzurra, anche lei venuta alla taverna. È dedicato a un pezzo veramente pregiato quanto forse sottovalutato dell’universo dell’autoproduzione, il tombolo. Ribellarsi facendo il tombolo, sensazionale.
Se la rivoluzione si facesse in Laboratorio, annotiamo noi, abiterebbe di certo a Centocelle. Grazie, siete stati fantastici.
Ps. Ci scrive Carla: “Vorrei ringraziarvi per la bella giornata che avete organizzato domenica. Mentre si leggevano i brani dei libri e si commentavano era come essere intorno a un fuoco e si sentiva quel fermento interiore che coinvolgeva i presenti. Anche la convivialità durante il pranzo è stata un arricchimento e un bel modo per progettare la vita in una società diversa. Un caro saluto a tutti”. Ci vediamo al Cinema Palazzo.
[nggallery id=94]
Daniela Cavallo dice
Semplicemente bello. Mentre leggevo l’articolo mi sembrava di essere lì con tutti voi e con tutti coloro che leggono, apprezzano, amano Comune-info e lo sentono parte del proprio quotidiano e del proprio futuro. Insomma c’ero assieme a tutti coloro che idealmente e con il cuore vi sono sempre vicini. Grazie Comune-info
Daniela C., Vicenza
Pasquale Milite dice
Il mio sogno. Chissà se riuscirò ad arrivarci …
Pasquale M., Nocera Inferiore
Antonio dice
Anche noi, nel piccolo comune di Lastra a Signa, alle porte di Firenze sviluppiamo, nella nostra Osteria del Leone un progetto simile.
Si tratta di un piccolo circolo Arci dove per presidente abbiamo una ragazza africana e ogni giorno prepariamo da mangiare per gli operai ad un prezzo politico di 8 euro con due primi a scelta 3 secondi a scelta vino ed acqua. Facciamo tantissime altre attività sia politiche che d’integrazione sociale . Il posto è incantevole e risulta essere un piccolo ma importante avamposto di quella sinistra diffusa e di base che oramai sembra appartenere ai tempi che furono. Veniteci a trovare, saremo felici di condividere con voi un buon bicchiere di vino e parlare male di Renzi ! tel 055 8802763
Aldo Zanchetta dice
Illich descrisse la propria vita come un pellegrinaggio assieme ad amici. Riflettendo su ciò che avesse profonda importanza per lui egli lo espresse con la sua sorprendente semplicità: perseguire un sapere disciplinato ed impegnato assieme ad un gruppo di amici che si stimavano reciprocamente.
(…) Illich affermò che: “la ospitalità istruttiva e gradevole é il solo antidoto alla situazione mortifera priva di intelligenza che é acquisita nella ricerca di una conoscenza obiettivamente protetta”. Egli la definì “conversazione attorno alla tavola” poiché cosa vi é di migliore di una tavola per permettere agli ospiti ed all’ ospitante di sedersi uno di fronte all’ altro generosamente in una ricerca comune?
La tavola è una occasione per l’ incontro di amici impegnati in serie ricerche su temi che hanno un significato diretto su come essi vivono
Dal necrologio di Samar Farage
VerdureDiStagione.it dice
Tanti complimenti per l’iniziativa!