Contratti di responsabilità sociale, riduzione dell’orario di lavoro, patrimoniale, fiscalità più progressiva e, naturalmente, taglio della spesa militare: reinventare l’idea del lavoro e quella della società. L’articolo che trovate in questa pagina segue il dibattito proposto da Alberto Castagnola in Ripensare la società dal lavoro. Alcune proposte, sul quale è intervenuto anche Francesco Gesualdi (con Smettiamola di preoccuparci del lavoro).
di Tonino Perna
Il piano per il lavoro proposto da Alberto Castagnola presenta diversi punti critici, rischia di dare per persa qualunque battaglia politica nazionale o europea, ma merita una seria discussione. L’idea-forza che lo sorregge parte dalle pratiche sociali che in questi anni si sono sviluppate intorno alla necessità del recupero del nostro patrimonio naturale, artistico, archeologico, unitamente alle battaglie per il recupero di aree inquinati, per la difesa di Parchi naturali e aree protette dall’assalto degli speculatori, fino alle grandi lotte contro le Megaopere (dal Ponte sullo Stretto al Tav in val Susa, per citare le più note).
Come fare a recuperare questo grande Patrimonio nazionale in mancanza di politiche e fondi pubblici? Questa è la sfida che Castagnola vuole affrontare. Partendo dall’assunto di “una vana attesa di fondi pubblici”, la proposta si snoda a partire da una forte mobilitazione dal basso che, su base territoriale, individui i “beni comuni” da recuperare. La mobilitazione “volontaria” viene evocata non per sopperire alla mancanza di iniziative pubbliche, ma per innescare un meccanismo virtuoso che dimostri come sia possibile recuperare aree degradate, migliorare e valorizzare il nostro patrimonio artistico/archeologico, avviare un processo di conversione ecologica del nostro modello di produzione e consumi.
In altre parole, il volontariato potrebbe dimostrare la necessità di un intervento sostanziale in una determinata area e quindi la relativa creazione di posti di lavoro che producano beni e servizi ad alto valore d’uso sociale e ambientale. A questo punto, per rendere più forte la proposta si suggerisce di utilizzare il reddito di cittadinanza finalizzandolo ad attività di questo tipo. A parte il fatto che il reddito di cittadinanza richiede rilevanti risorse pubbliche, e in questa fase dati i rapporti di forza, difficilmente si riuscirà ad ottenere, tutta la questione merita un approfondimento.
A metà degli anni Novanta del secolo scorso, un saggio neo-keynesiano di Giorgio Lunghini – L’età dello spreco – analizzava il fenomeno strutturale della disoccupazione di massa in una società a capitalismo avanzato. Lunghini proponeva di creare, attraverso un intervento pubblico, nuovi posti di lavoro in settori nei quali il mercato capitalistico non aveva interesse a intervenire: la cura del territorio (ambiente, patrimonio artistico, ecc.) e della persona (a partire dalla cura degli anziani, delle persone con disabilità, ecc.).
La proposta di Lunghini fu fatta propria da Fausto Bertinotti che nel primo governo Prodi riuscì a ottenere un piano per assumere giovani disoccupati in Lavori Socialmente Utili (Lsu) o in Lavori di Pubblica Utilità (Lpu). Nel complesso in pochi anni furono assunti circa 80.000 giovani, soprattutto nel Mezzogiorno, ai quali venne riconosciuto un reddito di circa 750.00 lire al mese. Doveva essere un’assunzione a tempo determinato, un’azione congiunturale, ma ben presto si trasformò in una richiesta pressante, da parte degli interessati, di essere assunti nella Pubblica Amministrazione. Niente di male, a mio avviso, ma il fatto grave è un altro.
Le finalità per cui erano stati assunti non furono raggiunte. Spesso gli enti locali, a partire dai Comuni, hanno impiegato questi giovani per supplire alla mancanza di personale, dato il blocco del turnover. In breve, i “lavori socialmente utili” che dovevano servire a migliorare la cura del territorio e delle persone non si sono visti, salvo qualche rara eccezione. Da questa esperienza personalmente ne ho tratto la conseguenza che bisogna innovare nei rapporti tra pubblica amministrazione e imprese, cooperative, associazioni. Nella lotta agli incendi e nella raccolta dei rifiuti nei parchi nazionali ho potuto dimostrare (vedi Aspromonte: i Parchi nazionali nello sviluppo locale, Bollati Boringhieri, 2002) come attraverso “i contratti di responsabilità sociale” sia possibile ottenere dei grandi risultati. Sono convinto che vada superato il binomio Stato/Mercato così come li abbiamo ereditati dal secolo scorso. Nel senso che è necessario l’intervento pubblico, ma che deve creare “responsabilità” sociale e partecipazione se vuole raggiungere i risultati che si prefigge.
Riduzione dell’0rario di lavoro
Così come sono assolutamente convinto che non possiamo risolvere il dramma della disoccupazione di massa con la crescita economica (ammesso che ci sarà?) dato che è ormai un fenomeno strutturale dovuto all’aumento della produttività del lavoro a cui non è corrisposto una adeguata e proporzionale riduzione dell’orario di lavoro. E’ quasi un secolo che siamo fermi, nei paesi occidentali, alle quaranta ore settimanali!
Certo, non va sottovalutata la possibilità di una mobilitazione di massa attraverso il volontariato, come auspicato da Castagnola. Ma, questo non può che è essere un modo per fare pressione sulla classe politica e ottenere un cambio di rotta nel reperimento delle risorse finanziarie necessarie. L’alibi di Bruxelles, che blocca la spesa pubblica, e ci impedisce una politica del lavoro non tiene. Anche senza aumentare il deficit dello Stato è possibile trovare risorse aggiuntive per creare lavori socialmente utili e finalizzati all’auspicato recupero del patrimonio nazionale. Chi ci impedisce di fare una seria patrimoniale o una fiscalità progressiva che colpisca i redditi più alti? Non di certo Bruxelles, né la Merkel, né i ladroni della finanza globale. Semplicemente, abbiamo una classe politica dominante, anche a livello nazionale, che per convinzione o per interessi da rappresentare pensa solo che sia possibile uscire da questa crisi strutturale con una semplice ripresa, attraverso nuovi investimenti e una domanda aggiuntiva in prevalenza proveniente dall’estero.
In estrema sintesi, condividendo una parte della proposta Castagnola, proporrei questa sequenza:
a) Per creare nuovi posti di lavoro va varato un piano nazionale, basato su articolazioni locali, per la salvaguardia del Patrimonio Nazionale (naturale, storico, culturale, ecc.) e per avviare la riconversione ecologica del nostro modello di sviluppo;
b) Le risorse finanziarie vanno trovate, come dimostrano diversi studi in proposito, con il taglio della spesa militare, una progressività fiscale, una seria patrimoniale;
c) I nuovi posti di lavoro dovranno essere creati dall’operatore pubblico anche attraverso lo strumento dei contratti di “responsabilità sociale e territoriale”;
d) Il volontariato e le forze sociali a livello locale potranno indicare la strada e gli obiettivi territoriali, stabilendo delle scale di priorità.
Tutto ciò non deve distogliere l’attenzione su un Debito pubblico che va ristrutturato per la gran parte dei paesi europei e vada operato a livello europeo un contro-attacco alla finanza, non solo introducendo seriamente la Tobin Tax, ma anche ripristinando la funzione delle banche come mere regolatrici del rapporto risparmio/investimento, vietandone gli investimenti speculativi oggi prevalenti. Senza aspettare Godot e agendo, come abbiamo prima prospettato, anche su una qualificazione sociale delle entrate e delle spese della pubblica amministrazione.
Tonino Perna è docente di Sociologia Economica presso l’Università degli studi di Messina, collabora con quotidiani e riviste ed è autore di diversi libri (tra gli ultimi, Eventi estremi. Come salvare il pianeta e noi stessi dalle tempeste climatiche e finanziarie, per Altreconomia). Questo articolo prosegue il dibattito proposto da Alberto Castagnola in Ripensare la società dal lavoro. Alcune proposte, sul quale è intervenuto anche Francesco Gesualdi (con Smettiamola di preoccuparci del lavoro).
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