Ridare un senso alle parole. Sarà banale, ma al giorno d’oggi forse neppure troppo, ed è stato uno dei motivi per cui abbiamo scelto di scrivere «I Signori della Green Economy» (Emi). In quest’ultimo periodo, ma soprattutto dopo Rio+20, una delle più potenti campagne di green markeing degli ultimi anni, tutti ci stanno raccontando di come i mercati ed il privato green salveranno il pianeta. E’ il mantra del momento, a cui molti guardano speranzosi, ma ogni parola ripetuta all’infinito (come nel gioco che spesso si fa da bambini) perde gradualmente di significato diventando un semplice suono gutturale.
Essere a favore o contro un suono gutturale a prescindere diventa un atteggiamento ideologico, molto funzionale allo schieramento calcistico a cui ci ha abituato una certa politica, obiettivamente poco utile alla causa generale. Per questo abbiamo deciso di guardare dentro al mantra, mettendo sul tavolo i beni comuni e gli elementi naturali a rischio e gli attori che su questo rischio hanno scelto di scommettere.
Ed è così che emerge che l’ambiente e il clima, prima ancora di essere ambiti da tutelare per le generazioni che verranno, sono veri e propri asset su cui investire per i capitali che scalpitano. D’altra parte, dopo aver spremuto all’inverosimile il lavoro ed aver inondato i mercati di prodotti oramai rimasti invenduti, i mercanti hanno bisogno di altri settori da cui estrarre valore economico, come l’acqua, il clima, la terra e l’energia. In un modo a volte talmente insostenibile, che c’è bisogno di ingenti risorse per costruire campagne di marketing ad hoc, per convincere le persone che, insomma, la scelta green è oramai realtà.
E allora ti ritrovi con BP che si lancia trasformando il suo acronimo in “Beyond Petroleum”, salvo poi ricadere con i piedi per terra davanti al disastro del Golfo del Messico. O imprese nostrane come Enel e Sorgenia, che aldilà dell’immagine si consolidano sullo sviluppo del carbone. O tante a tanti piccoli capitalisti di ventura che vedono nell’accaparramento delle terre la nuova frontiera della (loro) sostenibilità (economica).
C’è bisogno di fare chiarezza, e molta, per non confondere e fare un minestrone di tutto. C’è molta buona iniziativa privata sostenibile, in Italia come nel mondo, che va tutelata. Che ha il volto del piccolo imprenditore del fotovoltaico che sceglie, suo malgrado considerato le politiche masochiste del governo, di fare impianti in modo intelligente. Lasciando che la terra produca cibo, e non energia, e valorizzando quelle abitazioni e quei capannoni che sono ancora oggi un disastro dal punto di vista energetico. O tutte quelle realtà di economia ecologica e solidale, che scelgono di essere protagoniste della transizione grazie alle migliaia di esperienze di agricoltura dal basso, a chilometro zero, o di produzione sostenibile.
Ma nonostante tutto ciò, a partire dai movimenti sociali come “quinto elemento” a tutela dei quattro elementi naturali a rischio mercificazione, pensare che possano essere i mercati, ed il privato, anche se Green a rimettere a posto le cose è pura ideologia.
La transizione, quella vera, parla di un ribaltamento completo di proprità e strategie, di regole chiare e trasparenti per tutti, di una partecipazione diretta delle comunit‡ e di una responsabilità diffusa, a cominciare dagli stili di vita di ognuno. E della consapevolezza che tutto questo non sarà una passeggiata, che i conflitti con l’attuale modello di sviluppo sono dietro l’angolo e che non baster‡ sensibilizzare ed informare, ma bisogner‡ mettersi in gioco mobilitandosi, a cominciare dai propri territori. E che bisognerà mettere in un cassetto ogni velleità di partenariato con i grandi gruppi, a cominciare da Enel o dal gruppo Riva per arrivare ad Eni, giusto per citarne alcuni, perchË gli obiettivi, usando un eufemismo, non collimano. E provare a ripensare una strategia capace di mettere assieme quelle realtà, magari piccole e diffuse, che scelgono chiaramente e senza infingimenti un diverso modello di società.
Assieme a noi provano a ricordarcelo compagni di strada come Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, e Maurizio Gubbiotti, coordinatore nazionale di Legambiente, che nelle loro prefazioni sottolineano ancora una volta come questione sociale ed ambientale siano oramai due facce della stessa medaglia.
Il conflitto è oramai passato dalla contrapposizione capitale – lavoro a quella, più devastante, capitale – pianeta. Sta a noi capire che ruolo svolgere cominciando, intanto, a ridare un senso alle parole.
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