di Filippo Miraglia
Esattamente quattro anni fa, a pochi metri dalla bellissima spiaggia dell’Isola dei conigli, a Lampedusa, si consumava una delle più terribili tragedie dell’immigrazione. Le immagini delle 368 bare, e tra queste molte contenevano i corpi di bambini e bambine, nell’aeroporto dell’Isola delle Pelagie, fecero in pochi minuti il giro del mondo.
Il governo italiano dopo poche settimane attivò, per la prima volta in Europa, un programma pubblico di ricerca e salvataggio, Mare Nostrum, che avrebbe portato in salvo decine di migliaia di persone in pochi mesi.
Poi, come, sempre, le solide radici razziste del nostro paese, e del vecchio continente, hanno preso il sopravvento, soprattutto nel dibattito pubblico e nell’orientamento dei governi. Chiuso Mare Nostrum, l’agenzia europea Frontex avvia al suo posto un programma di controllo delle frontiere.
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I predicatori d’odio hanno vinto. Salvare vite umane equivale, nella terrificante retorica pubblica dell’invasione, ad attrarre l’immigrazione dall’Africa. I governi europei raggiungono un difficile accordo solo nella direzione di una riduzione dei diritti.
Qualche parentesi, solo formale, di umanità si manifesta davanti ai morti. Come davanti alle immagini del corpo del bambino siriano, Aylan, sulla spiaggia di Bodrum. Ma si tratta, quasi sempre, di parole e impegni di circostanza, di lacrime di coccodrillo.
Le politiche sull’immigrazione continuano ad andare sempre nella stessa direzione: chiudere, fermare, controllare, respingere. La criminalizzazione dell’immigrazione e della solidarietà è proceduta a grandi passi, per dare solide basi di consenso alle scelte dei governi e dell’Unione europea.
In questi anni le frontiere sono state ulteriormente blindate. Anzi sono andate avanti con grande impegno le iniziative volte a esternalizzarle, scaricando su altri governi e paesi l’onere di fermare i flussi e di respingere. Ricorrendo a uno uso distorto e strumentale delle risorse per la cooperazione allo sviluppo.
Prima con la Turchia di Erdogan e poi con la Libia di Serraj, un grande dispiegamento di diplomazia e di denari pubblici.
La memoria delle vittime dell’immigrazione non sembra aver scalfito il cinismo di chi continua a considerare questo tema un’arma di distrazione di massa (le destre xenofobe e razziste) e di chi invece è convinto che per sottrarre un argomento alle destre sia necessario giocare d’anticipo e, parafrasando il comico, non lasciare il razzismo ai razzisti.
Il 3 ottobre è una giornata di lutto. Per quei 368 esseri umani sterminati dalle politiche di gestione delle frontiere e per le migliaia che sono morte dopo quel 3 ottobre: 15289 persone, secondo i dati ufficiali forniti dall’Unhcr. Più di dieci morti al giorno. Gran parte di queste persone non ha un nome e mai avrà una degna sepoltura. I loro corpi non saranno restituiti alle famiglie.
In questa giornata non è possibile esprimere una solidarietà sincera senza denunciare le politiche che hanno prodotto e continuano a produrre la strage che avviene sotto i nostri occhi. Non c’è spazio per una neutralità che non condanni le cause della strage. Per fermarla bisogna cambiare le politiche dell’Ue e dei governi europei, a partire dal nostro, e mettere in campo scelte e leggi alternative, che consentano ai migranti di rivolgersi agli stati e non ai trafficanti, di partire in sicurezza e legalità.
In Italia e in Europa c’è una parte consistente dell’opinione pubblica, non solo i militanti antirazzisti, che pensano che le vite delle persone e i loro diritti vengano prima degli interessi elettorali dei partiti. Questa parte sana della società oggi fa fatica a trovare spazio sui media, a prendere parola. Molto più spazio e visibilità è dato a chi predica l’odio, a chi criminalizza l’immigrazione e la solidarietà. Il prossimo 21 ottobre è stata lanciata una manifestazione nazionale contro il razzismo. Una grande occasione per riprendersi le piazze e dar voce a chi non vuole arrendersi alle stragi e alla cancellazione dei diritti sanciti dalla nostra Costituzione.
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