Aprire una scuola non è difficile, la sfida è renderla partecipata e metterla in rete con gli attori del territorio, rendendo così tutti protagonisti. Nell’incontro promosso dal Comune di Roma con le scuole vincitrici del bando Scuole Aperte, la Rete romana Sap ha ragionato sul perché una scuola aperta e partecipata è quel tassello indispensabile per la tenuta della città educante
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Lunedì 11 dicembre l’Assessorato alla Scuola, Formazione e Lavoro di Roma Capitale ha invitato le scuole vincitrici del bando Scuole Aperte (il pomeriggio, la sera e nei weekend) 2023-24 a un incontro presso la Sala Promototeca del Campidoglio per un confronto sulle varie esperienze di Roma (un centinaio i progetti sostenuti con piccolo progetti di 15.000 euro). L’incontro ha previsto anche la partecipazione dell’Università Roma Tre, per presentare la valutazione d’impatto del progetto, e la Rete romana Scuole Aperte Partecipate (Sap, rete nata nel 2017 e a cui aderiscono 35 tra associazioni e comitati) per presentarsi e fornire alle scuole la propria visione.
Come Rete Sap abbiamo ragionato sul perché una scuola aperta e partecipata è quel tassello indispensabile per la tenuta ed efficacia della comunità/città educante. La pietra di volta del percorso formativo. E non è una metafora.
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Aprire una scuola non è difficile, la sfida è renderla “partecipata” e metterla in rete con gli attori della comunità educante, rendendo così tutti protagonisti di uno scambio virtuoso, per uno sviluppo individuale e collettivo, intorno al bene comune scuola e non solo “fruitori” ed “erogatori” di servizi: insomma, le mura scolastiche non devono rappresentare un confine valicabile solo con lo status di alunne e alunni o di lavoratori della scuola. “Interscambio” potrebbe essere la parola d’ordine: la scuola deve aprire le sue porte, il resto del mondo deve portarci entrare, chi vive la scuola deve uscire e vivere il territorio.
Avere una scuola aperta e partecipata significa dare pienezza, o meglio cambiare la prospettiva di applicazione del principio di sussidiarietà (art.118 della Costituzione) e superare l’orizzontalità e la verticalità, per perseguire il principio in maniera circolare.
La partecipazione, in generale, sta vivendo il suo peggior periodo storico. È innegabile che le radici del problema siano di carattere culturale, non pratico/realizzativo. Una scuola aperta e partecipata è la migliore risposta, una buona pratica di coinvolgimento e protagonismo dal basso, restituisce un ruolo attivo agli under 18 (non dimentichiamo che siamo tra i Paesi che fa più fatica a tutelare proprio l’art.12 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che fissa il principio di partecipazione), che vivono quello spazio anche perché solo e unico spazio territoriale per l’assenza di piazze e luoghi accessibili di aggregazione culturale, di scambio, di interazione e confronto.
La scuola aperta e partecipata è al tempo stesso una “palestra”, un bambino che interagisce in quello spazio “avverte” la presenza e il ruolo di associazioni di genitori e/o associazioni di studenti, capisce che può avere un ruolo attivo, beneficia di una attività, ma viene stimolato affinché possa anche dare beneficio agli altri e tra qualche anno possa evolversi in coorganizzatore dello spazio che ha inizialmente sperimentato da fruitore.
Quali sono le sacche di resistenza all’apertura e alla partecipazione?
In primis l’equivoco in merito al ruolo delle associazioni di genitori. I genitori vengono spesso bollati come soggetti che trovano comodo “parcheggiare” i figli a scuola, soprattutto nelle fasce d’età più basse, incuranti o con un atteggiamento di delega del proprio ruolo educativo. Le associazioni di genitori vengono anche spesso accomunate all’ingerenza di alcune famiglie nella didattica che in certi casi, non infrequenti, ostacola invece che favorire le attività scolastiche. È un pregiudizio che spesso porta a scoraggiare qualsiasi forma collettiva organizzata di genitori e studenti. Senza entrare nel merito, tali ingerenze rimangono per definizione applicabili alle attività didattiche istituzionali che restano sempre ben distinte da quelle di scuola aperta e partecipata, la cui essenza è ottimizzare l’utilizzo dei locali scolastici proprio oltre le necessità istituzionali e in particolare oltre l’orario previsto per la didattica.
Un’altra resistenza deriva dalla necessità di condividere la responsabilità, soprattutto perché si insiste su beni pubblici per cui l’istituzione scuola deve garantire servizio pubblico giorno dopo giorno. Oltre gli aspetti tecnici per disciplinare rapporti, diritti e doveri di ciascuno – per cui esistono le opportune soluzioni amministrative – va sottolineato che il comune atteggiamento burocratico su questo tema è profondamente diseducativo. Contribuisce al diffuso atteggiamento noncurante rispetto ai beni pubblici e in particolare mantiene il bene pubblico scuola distante da chi lo vive tutti i giorni invece di farlo sentire proprio e invitare a prendersene cura. Per questo non funzionano le prediche ma l’esempio. Può subentrare una certa perplessità all’idea di lasciare le chiavi agli studenti delle scuole secondarie (da 14 anni in avanti). Tale malcelata diffidenza entra in contrasto con la oggettiva necessità di responsabilizzare i giovani, che proprio in quegli anni i genitori iniziano a spingere verso una graduale autonomia: in tale ottica sarebbe utile, oltre che propedeutico, trovare un alleato nella scuola e negli enti locali.
Esistono poi delle questioni di ordine pratico che sarebbe errato definire problemi, ma possono costituire degli ostacoli alla piena, snella e celere realizzazione di una scuola aperta e partecipata: assicurazioni e personale ATA. Tali ostacoli sono superabili con un’accurata organizzazione amministrativa e logistica. Il personale ATA può essere un utile alleato per una scuola aperta e partecipata; non solo il contributo professionale può essere utile anche oltre l’orario scolastico ma può divenire altro protagonista di educazione informale anche nella scuola aperta e partecipata. Tuttavia un’eventuale loro indisponibilità non può essere ostativa: se per i servizi abitualmente erogati dal personale ATA ma necessari alle attività previste nella scuola aperta e partecipata non viene data disponibilità, cosa peraltro assolutamente legittima, gli stessi servizi potranno essere erogati altrimenti dalla comunità o da altri operatori di mercato.
Indubbiamente il bando romano Scuole Aperte è stata una risorsa e per alcune realtà un punto di partenza. Come rete auspichiamo che lo sforzo della Giunta Capitolina renda sempre più concreta la realizzazione di Roma città educante. Ma dal momento che uno dei fini è anche la partecipazione, che si superi definitivamente la logica competitiva dei bandi, a favore della logica collaborativa di co-programmazione e co-progettazione.
Yasmin Abo Loha e Roberto Orioli, Rete romana Scuole Aperte Partecipate
Questo articolo fa parte dell’inchiesta
Scuole aperte. Mettiamo in comune