Sentimento e ragione, pensiero emozionale e pensiero razionale sono sempre stati considerati in una dicotomia che li ha posizionati a degli estremi distanti e oppositivi. Ma dagli anni Settanta quella separazione ha cominciato a perdere certezze. In particolare la cultura dell’infanzia ha saputo promuovere percorsi di ricerca, sperimentazione e riflessione con cui è maturata dal basso una nuova immagine dei più piccoli e dalla relazione tra bambini/e e adulti. È ormai accertata e interiorizzata socialmente, ad esempio, l’idea che ogni processo di apprendimento si muova partendo dalla partecipazione emotiva dei bambini, dal loro coinvolgimento con il corpo e con la mente, e quindi anche dalla capacità dei territori di pensarsi come piazze educative adeguate. Il tempo che viviamo sembra aver bisogno di far saltare altre dicotomie e di avviare nuovi percorsi di ricerca e sperimentazione pedagogica. Parole/concetto come comunità educante o progettazione educativa territoriale, per fortuna, hanno alle spalle saperi ed esperienze a cui attingere
Una lezione di “Bimbisvegli“, progetto di educazione all’aperto e diffusa sperimentato da diversi anni dal maestro Giampiero Monaca nel territorio di Asti, progetto premiato al recente Festival dell’Innovazione Scolastica (leggi anche Proteggere Bimbisvegli)
Nel libro Il bambino nella rete (Marsilio), Giovanni Fiorentino, tra l’altro, scrive: “Schiacciato tra perfezione e violenza, disagio estremo e artifici del consumo, nascosto tra una dimensione estetica e un’altra etica, annullato dalle versioni forzate degli adulti e dei media, il bambino è ridotto a conduttore di emozioni, passepartout per le aspettative del pubblico, immagine inflazionata e alla fine anestetizzante che veicola qualsiasi dramma di attualità internazionale…. (mi viene da pensare alla foto del 2015, del bambino Aylan, morto annegato, sulla spiaggia di Bodrum). L’immagine dei bambini oscilla continuamente tra una visione nostalgica della memoria adulta e una costruzione ideale dell’umanità…. Un’immagine di bambino consumatore e consumato”.
L’infanzia è un arco di tempo breve, inafferrabile, imprendibile, rispetto all’età adulta e alla vecchiaia. Forse proprio perché breve, fugace e sfuggente, tendiamo a definirla, pur negandola, congelandola all’interno di un sistema che la codifica, la serializza e mercifica nel tentativo di integrarla secondo i nostri paradigmi: che siano educativi/pedagogici o economici o familiari e sociali, poco importa.
Ciò che può distinguere l’esperienza di un educatore da quella di un genitore o comunque da un adulto che ha relazioni occasionali con l’infanzia, è la sua posizione all’interno della “continuità temporale”, qualcosa che permette il ripetersi dinamico e più consapevolizzato dell’esperienza di relazione con loro, all’interno di un arco temporale lungo. Per un genitore la sua esperienza di relazione con il figlio si esaurisce di età in età, nell’attimo fuggente, che cede già quell’istante stesso alla percezione di un futuro che si fa presente. Nel momento in cui la sua età è, in qualche modo, afferrata, il bambino si trova già in quella successiva, sfuggendo alle possibilità di un genitore di coniugare, elaborare coscientemente quell’idea di un figlio mentalizzato, desiderato con quella del figlio reale.
In ogni relazione, in ogni rappresentazione o esperienza, così come nelle azioni più ordinarie, semplici e quotidiane, noi avvertiamo il bisogno di trascendere il piano razionale e logico, attraverso un nostro sentire che si identifica con i nostri sentimenti e le nostre emozioni. Sono poi queste a dare forma ai modelli culturali e di pensiero, consentendoci sia modalità di adattamento soggettivo, sia di creatività personale: entrambe (adattamento e creatività) attribuiscono significato alle nostre azioni. Ognuno di noi, come educatore o come genitore, ha sperimentato come le proprie emozioni siano state capaci di segnare un percorso in cui il “fuori” si coniugava con “il dentro”, in un processo di ricerca tra” appartenenza e riconoscimento”.
Dagli anni Settanta la cultura dell’infanzia ha attraversato una fase trasformativa, in cui i modelli storici consolidati si confrontavano con modelli nuovi di ricerca, sperimentazione, interesse e innovazione. Sicuramente, l’apertura degli Asili Nido nel 1975 ha dato un contributo e un’accelerazione a tutto questo. Ma non bastava. Non bastava a diffondere e radicare una nuova rappresentazione dell’infanzia, un nuovo sentimento sociale capace di mettere in discussione consolidati paradigmi retorici, creando lo spazio per un’idea di bambino più reale e meno fantasticato.
C’era bisogno di promuovere e di far maturare una nuova immagine di bambino, esportando quella cultura maturata e praticata nei servizi educativi, per non lasciarla recintata nelle “riserve”, come patrimonio esclusivo di educatori e insegnanti. Partendo da queste consapevolezze ho iniziato, negli anni Ottanta, una progettazione educativa territoriale che si ancorava alle nuove istanze familiari e femministe: “Prospettiva Infanzia”, che ha inaugurato questa fase articolandosi per un mese tra mostre fotografiche, tavole rotonde, seminari formativi, proiezioni di film sul tema famiglia, ludoteca, spettacoli. La partecipazione fu alta e sentita. Con le progettazioni che si sono susseguite negli anni mi ponevo obiettivi a breve e a lungo termine, con l’intento di attivare processi conoscitivi nuovi e dinamici, scardinando i pregiudizi consolidatisi nel tempo e interpretati come naturali e scontati. L’intento era di riuscire, attraverso contaminazioni di sensibilità diverse, ad aprire porte chiuse su spazi di ricerca da esplorare e conoscere, trasformando il modello affettivo popolare verso l’infanzia in un modello culturale capace di riconoscere la sua nuova identità antropologica.
L’ultimo mio progetto attuato nel 2005/2006 è stato con i giovani del Servizio Civile: “A Piccoli passi” (selezionando 6 giovani su 70 che avevano fatto richiesta di partecipazione) per lavorare sul progetto nazionale “Nati x leggere”, esportandolo nel territorio del Municipio (ex VII) di Roma, sia nelle sedi istituzionali (Asl, Consultori e Biblioteche), sia nei Servizi Educativi e nel territorio tutto. La realizzazione del progetto ha portato alla pubblicazione, da parte del Comune di Roma, di un libro di favole illustrate, grazie alla competenza e alla sentita partecipazione dei giovani. Questo è stato l’unico progetto educativo di Servizio Civile in tutto il Comune di Roma.
Pensiero razionale e pensiero emozionale
Il processo di decostruzione sociale, istituzionale, etico, politico, implica sempre un cambiamento complesso, lento e articolato dei modelli culturali intorno ai quali si costruisce, nel tempo coesione, unitarietà e solidità sociale che fatica ad evolversi e mutare. Dentro questo processo attivo e dinamico, le emozioni e i sentimenti rivestono una componente determinante.
È ormai accertata e interiorizzata socialmente, l’idea che ogni processo di apprendimento si muova e si sviluppi partendo dalla partecipazione sensibile, emotiva dei bambini, dal loro coinvolgimento. Analogamente, ritengo che le stesse consapevolezze valgano anche per noi adulti. Il sentimento, le emozioni che lo accompagnano sono un modello di pensiero e di conoscenza che consente di dare forma e significato al nostro agire, individuale e sociale.
Pensiero razionale e pensiero emozionale rimangono ancora dentro una visione apparentemente oppositivo/conflittuale accompagnata da un giudizio valoriale di tipo gerarchico. Eppure basterebbe soffermarci anche solamente sulle nostre identità individuali, comunitarie, religiose e politiche, oltreché economiche, per afferrarne la relazione di interdipendenza.
In tal senso la nostra società ha costruito contesti sociali/culturali che ruotano intorno al consumo attraverso un marketing virale che fa proprio leva sulle componenti emozionali dei consumatori. Le grandi aziende investono per la ricerca e gli studi antropologici affinché i contenuti pubblicitari siano efficaci nell’influenzare le scelte di consumo, senza alcuna distinzione tra bambini e adulti.
Il fenomeno chiamato “trans-toying”, prendere oggetti dei bambini di uso quotidiano e trasformarli in giocattoli, è ben affermato in America, così come la “age compression”, la pratica di rendere prodotti e messaggi originariamente pensati per i bambini più grandi e adattarli ai più giovani (Tweening significa, infatti, diffondere i prodotti e gli stili degli adolescenti a un pubblico più giovane).
La politica, in analogia, mette in campo le stesse strategie di mercato, usando sistemi e tattiche che attivano o risvegliano bisogni o stati psicologici intimi e personali ma al contempo popolari. Emerge, in modo visibile, come le componenti emozionali giochino un ruolo centrale nel sentimento di appartenenza, nella costruzione dei saperi e delle culture e delle ideologie politiche. La propaganda, di qualsiasi tipo, agisce nutrendo illusioni che permettono la costruzione di credenze popolari ritenute valide e giuste proprio perché appartenenti al patrimonio culturale collettivo.
La pittura, la fiaba, la letteratura, i detti popolari, le arti in ogni campo, sono rappresentative di quel patrimonio umano che sopravvive nelle menti “oltre e nonostante tutto” in ogni individuo e in ogni società e che trova le sue forme differenti per svelarsi e aprirsi al mondo come in un palcoscenico.
La favola di Pinocchio, la più conosciuta al mondo, tradotta in più di 240 lingue, così amata, studiata, analizzata e letta da adulti e bambini di tutto il mondo, forse ce lo racconta in maniera immediata e diretta; la sua potenza incantatrice sta non solo nei meccanismi chiave delle fiabe, ma nell’aver centrato il senso di ogni esistenza e del suo divenire. La favola di Pinocchio ha reso universalmente riconoscibili, legittimandoli, quella varietà di sentimenti ed emozioni che dichiarano il senso di appartenenza umana, oltre ogni confine geografico, culturale, politico, etnico. E cosa potremmo dire se non lo stesso pensiero sul Piccolo principe.
Pinocchio e il Covid
Dalla favola di Pinocchio arrivo a questi mesi di Covid che sono stati significativi sotto il profilo emotivo: la speranza, la paura o il timore, il coraggio, la creatività, l’ansia e l’angoscia si sono trasferiti in azioni e comportamenti che hanno o rafforzato e sostenuto la nostra vitalità e il senso del nostro vivere o al contrario hanno dato spazio e forma ad impulsi negativi, sia individuali che sociali. I sentimenti, traducendosi nel processo di pensiero/azione, si fanno modelli culturali, categorie di pensiero, alimentando quei meccanismi umani e sociali che regolano, appunto, le relazioni sociali, nel bene o nel male.
Paradossalmente il razionalismo e la tecnologia avanzata che hanno determinato e affermato nel tempo la ricerca di un senso di funzionalità ed efficienza collegate alla risoluzione dei problemi, oggi stanno determinando uno spazio di richiesta e di ricerca di senso, di costruzione di qualcosa che sia altro dall’oggettivamente concreto e verificabile. Una ricerca umana evidentemente mortificata e alienata che l’uomo di oggi sente di rischiare di perdere, perdendo il senso della propria identità e della propria vita.
La stabilità è messa in discussione da una variabilità che si esprime in tutte le forme e il virus ha reso più potente questa realtà e la sua percezione insieme alla velocità con cui tutto avviene e che avvicina e allontana nello stesso istante ogni fatto reale.
“Vicino e lontano”, “interno ed esterno” “vero o falso”, “virtuale e reale” cessano di essere categorie sociali opposte, favorendo quell’incertezza esistenziale che va di pari passo con la variabilità e la discontinuità oltre che con la politica di precarizzazione. In tutto questo non posso non ricordare il libro (1981) del sociologo statunitense Neil Postman La scomparsa dell’infanzia (Armando ed.), concetto che oggi estenderei ad ogni componente della nostra modernità, tendente ad espellere l’età dell’infanzia attraverso un processo diffuso di adultizzazione e di società adultocentrica. Non entro nel merito della ricerca e dell’attenzione verso questi contenuti se non per rimarcare che quando ci riferiamo ai bambini, inevitabilmente non possiamo non chiamare in causa gli adulti e la società da loro modellata.
In un modello di modernità così caratterizzata, l’educare trova il suo fine in una proiezione di adattabilità sia al presente che al futuro, mettendo fuori gioco e fuori causa l’infanzia e i valori universali di cui è portatrice.
“La sensibilità si raffina se è attenta al mondo”, scrive anche Salvatore Natoli nel suo libro Il buon uso del mondo. Agire nell’età del rischio (Feltrinelli) e ci aiuta a comprendere come l’educazione dei sensi non sia separabile dai paradigmi e dai modelli con cui si costruisce l’organizzazione educativa, sociale e politica.
La nuova chiave di lettura su ragione e sentimento, avvenuta dagli anni Novanta anche grazie ai recenti studi sulle basi neurobiologiche della coscienza, ci consente di cogliere un filo che tesse unitarietà, se pur tra forme diverse e solo apparentemente separate e distanti. Altri studi, guardando indietro nel tempo, avevano indagato nel merito: Adam Smith nel 1759 con il libro La teoria dei sentimenti morali (Bur Rizzoli) considerava il sentimento come qualcosa che teneva unita la società. Non si tratta più di distinguere due forme di modelli di costruzione sociale, dove l’uno esclude l’altro, quanto piuttosto di coglierne l’interdipendenza e la specificità valoriale simmetrica, allontanando il pregiudizio del valore gerarchico di una a sfavore dell’altra. Così come non si tratta di assolutizzare e adottare un modello di pensiero unico come misura dominante, interpretativa e valutativa.
Genius loci
Il mio incontro tra persone di “culture” differenti e il viaggiare tra paesi diversi, anche dentro la nostra Italia, è stato come un “tracciare e intrecciare” storie e vissuti personali e collettivi che hanno saputo disegnare nel tempo luoghi e territori, come avviene per un artista quando riesce a dare forma alla creazione di un’opera artistica, unica e rappresentativa. È stato un po’ questo il mio percorso e il mio sentire, il processo formativo che si è articolato nel tempo.
Mi viene in mente il piccolo borgo di Celleno (Viterbo) per esempio, nella Tuscia, dove un abitante ha aperto e gestisce con passione un piccolo museo di vecchi e antichi fonografi, grammofoni, vinili, trovati in tutto il mondo in lunghi anni di ricerca, raccolti per essere restituiti alla comunità insieme alle storie connesse. Oppure Scapoli (Isernia), nel Molise, che accoglie il festival internazionale della zampogna animando di musica e di balli ogni piccola via del paese. Cocullo (L’Aquila) dove ogni anno il rito dei serpenti, tra il pagano e il religioso, si trasforma in un evento unico e di richiamo turistico oltreché locale; Aliano (Matera) con la stagione “La luna e i calanchi” che richiama una sentita partecipazione di artisti provenienti da ogni parte del mondo. Dietro a tutto questo processo “identitario”, culturale, storico, artistico che riesce a sopravvivere incredibilmente ancora oggi e con più passione e determinazione nonostante una modernità incalzante e divorante, cosa riusciamo a leggere se non quella forte componente antropologica, umana, presente nella nostra storia di Homo Sapiens e che ci accompagna non solo nel percorso personale identitario ma, appunto, in quell’articolato processo di socializzazione, integrazione, costruzione sociale che caratterizza e rende unico ogni luogo, ogni paese con il suo impianto di verità culturali e valoriali da voler trasmettere ai posteri per costruire memoria?
Sentimenti ed emozioni che si fanno “paradigmi” culturali, volani di ricerca di saperi vecchi e nuovi, esperienza di un fare autentico e genuino, costruzione di nuove culture che nascono dalla rivisitazione creativa di quelle antiche, trasformando ma mantenendo vivo il senso di coesione comunitario anche intergenerazionale, nella sua continuità storica/temporale.
I paesi dove lo spopolamento è più marcato e più sentito, non solo per ciò che riguarda l’economia, ma soprattutto per i significati esistenziali del vivere comunitario, della condivisione di un patrimonio identitario storico, sia individuale che sociale, sono luoghi dove ho potuto constatare una sensibile attenzione e vicinanza all’infanzia, come se questa potesse rappresentare un’opportunità di riscatto e di rispetto inteso proprio come riconoscimento di ciò che si è e di ciò che si rappresenta, in quel luogo, in quel territorio.
Quanto conta l’incontro tra adulti e bambini per costruire e alimentare le nostre qualità d’essere, le qualità dell’agire e del pensiero? Per incontrarci con noi stessi e con le infinite possibilità delle nostre intelligenze sensibili che hanno solo bisogno di essere “ toccate e nutrite”? Per imparare ad incontrarci con le diversità, anche quelle dell’infanzia, oltre le reticenze o la retorica, oltre il disagio di ciò che sentiamo nella relazione con chi è altro da noi, con ciò che percepiamo non corrispondente ai nostri schemi di riferimento fondati su “definizioni e pregiudizi”? Quanto conta questo incontro per far emergere i bisogni più intimi non espressi dichiaratamente proprio perché ancora non resi visibili dallo stato di consapevolezza e soffocati da una società che non lascio spazio all’essere?
C’è un libro di James Hillman L’anima dei luoghi (Rizzoli), conversazione con Carlo Truppi, che è “un dialogo per cogliere la natura segreta dei luoghi che vive insieme all’anima del mondo e a quella dell’uomo”. Il Genius Loci, ciò che sensibilizza la nostra psiche al vedere, al sentire… È quest’anima che non possiamo perdere perché ci perderemmo come specie umana, perdendo le infanzie e ciò che l’infanzia porta con sé: il patrimonio filogenetico, storico, culturale, vitale, umano.
L’incontro con l’infanzia, restituita a noi nella sua autenticità umana e nella sua prospettiva antropologica, rimane la nostra possibilità di continuare, come un tempo lontano, a camminare come nomadi, in una nuova terra da esplorare.
Nei percorsi, i sentieri si costruiscono, si segnano passo dopo passo, si scelgono le direzioni, si osserva e si entra nel paesaggio che di volta in volta si attraversa, si fanno soste per riposare e per riprendere il cammino, si scopre la bellezza di un luogo anche se lo si attraversa di notte, con il buio, perché la luna accompagna i nostri passi ed il lento camminare, si avverte quell’autentico senso di piacere e di armonia per essere riusciti a fare una salita o per aver raggiunto una cima. Infine, quando si è sulla vetta, il respiro si fa profondo, lento, quasi silenzioso e porta con sé ciò che lo sguardo attraversa nello spazio infinito. Poi il cammino riprende perché crediamo che una società di pace si costruisca anche a partire da qui.
ABSTRACT A CURA DELL’AUTRICE
Qualsiasi mio sguardo sul mondo è filtrato dalla visione sull’infanzia, probabilmente perché questa è stata un mio focus intorno al quale è ruotata la mia esperienza professionale e personale per 40 anni. Come scrive Stefano Mancuso, scienziato e direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale a Firenze, tutti coloro che hanno un forte interesse per qualcosa, scoprono che ogni storia dell’universo è legata in qualche modo a questo loro interesse (La pianta del mondo Ed.Laterza 2020). Così mi sembra che sia. Sentimento e ragione, pensiero emozionale e pensiero razionale sono sempre stati considerati all’interno di una dicotomia che li ha posizionati a degli estremi distanti e oppositivi. Una distanza che in realtà si annulla se li guardiamo nella prospettiva della loro reciprocità e interdipendenza nel dare forma e sviluppo a modelli di pensiero e, di conseguenza, a modelli culturali. I nostri sentimenti, le nostre emozioni traducendosi nel processo di pensiero/azione, si fanno, pertanto, categorie di pensiero che regolano, nel bene e nel male, le strutture economiche, politiche, sociali della nostra società. La nuova chiave di lettura su ragione e sentimento, avvenuta dagli anni Novanta, ci consente di cogliere quel filo sottile che lega le nostre vite adulte a quelle dell’infanzia, in ogni epoca, in una composizione unica di vita intesa nel suo patrimonio e valore umano, filogenetico e antropologico. Parole chiave: sentimento, ragione, modelli culturali e modelli di pensiero, infanzia, valore umanistico, intelligenze sensibili.
Traduzione abstract
Any of my views on the world are filtered by my vision of childhood, probably because this has been my own focus around which my professional and personal experience for 40 years has revolved. As Stefano Mancuso, scientist and director of the International Laboratory of Plant Neurobiology in Florence, writes, all those who have a strong interest in something discover that every history of the universe is somehow linked to this interest of theirs (“The plant of the world” Ed.Laterza 2020). So it seems to me to be like that. Feeling and reason, emotional thinking and rational thinking have always been considered within a dichotomy that has positioned them at distant and opposite extremes. A distance that is actually canceled out if we look at them in the perspective of their reciprocity and interdependence in giving shape and development to models of thought and, consequently, to cultural models. Our feelings, our emotions being translated into the process of thought / action, therefore become categories of thought that regulate, for better or for worse, the economic, political and social structures of our society. The new key to understanding reason and sentiment, which took place in the 1990s, allows us to grasp that thin thread that binds our adult lives to those of childhood, in every age, in a unique composition of life understood in its heritage and value, human, phylogenetic and anthropological. Keywords: feeling, reason, cultural patterns and thought patterns, childhood, humanistic value, sensitive intelligences.
Bibliografia
- Bauman Z. La società sotto assedio, Laterza 2015
- Di Santo A. M. Pensieri e affetti nella relazione educativa, Borla 2002
- Di Santo A. M. e Fusacchia M. G. Il bambino al nido, Borla 2004
- Fiorentino G. Il bambino nella rete, Marsilio 2000
- Furedi F. Il nuovo conformismo, Feltrinelli 2008
- Hillman J. L’anima dei luoghi, Feltrinelli 2004
- Morin E. La via, Raffaello Cortina 2012
- Natoli S. Il buon uso del mondo, Feltrinelli 2012
- Natoli S. Parole della filosofia, Feltrinelli 2004
- Schor J. B. Nati per comprare, Apogeo 2005
- Tortolici B Appartenenza, paura, vergogna, Monolite 2003
Scritto originariamente per l’Editore F. Caggio sulla rivista “Interventi Educativi”