Con la pandemia, gli studenti hanno attraversato un disagio d’apprendimento crescente: la scuola è stata strappata dal suo ruolo di luogo di ritrovo e socialità per tutti gli studenti e le studentesse. Le esperienze delle scuole aperte e partecipate offrono un patrimonio di principi e pratiche per ripensare e sostenere le trasformazioni necessarie della scuola. Il caso sperimentato da cinque anni nel liceo Righi di Roma mostra una strada per viverla oltre il suono della campanella, come spazio di studio e di incontro, gestito da ex-studenti e attuali studenti, ma anche come un luogo sorprendente di riferimento per la vita sociale e culturale del quartiere e della città
Questo articolo fa parte dell’inchiesta Aspettavamo qualche domanda
Tratta da Centro Culturale Boncompagni 22
La pandemia si è abbattuta improvvisamente sulla vita di tutti, lasciando ricordi indelebili nella nostra memoria collettiva che verranno sicuramente riportati in tutti i libri di storia. Una tra le realtà maggiormente assoggettate dalla condizione pandemica è sicuramente stata quella dove questi libri verranno studiati: la scuola.
Improvvisamente e in tutto il Paese, senza nessuna preparazione, preavviso o specifica procedura di supporto, gli istituti scolastici di ogni ordine e grado hanno dovuto adattare la didattica alla distanza imposta dalle norme anti Covid-19, generando da subito numerose situazioni di disagio, su cui solo a posteriori possiamo interrogarci più freddamente per provare a riconoscerle come opportunità di cambiamento.
Una tra le principali ferite scaturite da questo contesto sul sistema scolastico è sicuramente stata rappresentata dalla difficoltà nel mantenere la costanza, il coinvolgimento e soprattutto la qualità della didattica nello svolgimento a distanza: connessioni internet malfunzionanti, indecisione burocratica riguardo gli strumenti e i software utilizzabili, strumentazione telematica insufficiente e urgente riadattamento delle modalità di lavoro e delle mansioni del corpo docenti e del personale scolastico, uniti alla mancanza di precedenti e di esperienza per far fronte a un evento di simili proporzioni, sono state situazioni di difficile gestione da parte degli istituti di tutto il Paese.
Mentre il governo e le istituzioni di competenza collaboravano con gli istituti scolastici tentando di trovare le soluzioni migliori il più in fretta possibile, durante un contesto sanitario drammatico, gli studenti hanno attraversato un disagio d’apprendimento crescente, a partire già dai primi mesi della pandemia. Oltre alle difficoltà legate alla qualità della didattica, la scuola è stata strappata dal suo ruolo di luogo di ritrovo e socialità per tutti gli studenti e le studentesse, che hanno visto dissiparsi qualsivoglia loro abitudine, fosse questa didattica, sportiva, ludica, sociale o che semplicemente conferisse una serenità in più, in un contesto sicuramente già preoccupante.
Questi effetti sono stati pesantemente evidenziati non solo sul piano didattico, tramite numerosi lavori di ricerca[1, 2], ma allo stesso modo anche sul piano psicologico, dal registrarsi di un netto aumento di soggetti affetti da ansia, attacchi di panico, insonnia e altre psico-patologie, soprattutto in età adolescenziale e giovanile[3]. Questo contesto ha generato malcontento in particolare nella fascia di studenti liceali, attraverso tutto il Paese, andando a confluire in episodi di protesta, ma anche di iniziativa, volti a sensibilizzare verso il ritorno in presenza delle attività scolastiche.
Da quando la situazione pandemica è divenuta più gestibile gli istituti si sono riadattati per il completo ritorno alle attività in presenza, o a modalità ibride ove ci fosse necessità, ma è comunque importante concentrarsi sul ruolo che possono avere nella ripartenza degli istituti le modalità di Scuole aperte e partecipate. Tutte le situazioni precedentemente discusse, unite a un contesto storico che si presenta sempre più incerto per le generazioni di giovani studenti, hanno indotto a una riflessione collettiva, la quale può trovare nella scuola il punto di origine di problemi, ma anche di innumerevoli soluzioni. Adesso abbiamo un’idea sicuramente più chiara e delineata delle necessità più urgenti del sistema scolastico, che spaziano da competenze più specializzate a strutture e strumentazioni più efficienti, fino a una burocrazia più fluida. In particolare, rivolgendo lo sguardo al punto di vista degli studenti, appare chiaro come la scuola debba riuscire a rappresentare una garanzia: un luogo sicuro e funzionante, un luogo di apprendimento e di crescita, quasi al pari di una “seconda casa”. Per adempiere a tutti questi aspetti, la formula di Scuola Aperta può essere uno strumento utile e pionieristico per compiere un passo in avanti nel sistema scolastico, creando non solo un bacino di necessità di competenze operative e legislative che sarebbe possibile strutturare a livello istituzionale, sopperendo così anche, almeno in parte, alle difficoltà logistiche e organizzative statali, ma anche apportando agli istituti la possibilità di garantire spazi agli studenti dove questi possano implementare alla consueta didattica momenti di approfondimenti culturali, informazione professionale, corsi su materie utili come educazione finanziaria, civica e informatica, troppo spesso assenti in molti “tipici” programmi di studio, e molto altro ancora. È in questo tipo di contesto che si colloca l’esperienza dell’associazione culturale (non profit) di cui faccio parte: “Boncompagni 22”.
Il Centro Culturale Boncompagni 22, sito nell’omonima via di Roma, coincide con la sede succursale del liceo statale Augusto Righi: questo ambizioso progetto, gestito in prima persona dagli ex-studenti e attuali studenti in orario extra-scolastico, e inaugurato nel 2017, è frutto di anni di lavoro da parte della componente studentesca in collaborazione con la presidenza, il corpo docenti, personale Ata e genitori[4].
Uno sforzo sinergico da parte di tutte le componenti dell’istituto ha permesso di far vivere la scuola oltre il suono della campanella, non solo donando agli studenti uno spazio sicuro, comodo e attrezzato per poter studiare in orario pomeridiano, potersi aiutare e confrontare sulle materie e poter sostare in caso di necessità, ma anche costituendo un punto di riferimento per la città e il quartiere, dove anno dopo anno hanno collaborato e “fatto rete” sempre più personalità e associazioni per creare momenti di informazione e condivisione, fino a organizzare anche corsi ed eventi, su temi civici, culturali, professionali e di intrattenimento, rivolti non solo agli studenti ma a tutto il territorio.
L’epoca storica in cui viviamo ci impone di riflettere su quali saranno le necessità, le sfide e i nuovi contesti lavorativi di domani, e soprattutto se il sistema scolastico vigente sia in grado di preparare adeguatamente le nuove generazioni, coltivando e valorizzando i propri talenti e consentendo ai giovani di accedere alle diverse opportunità lavorative del futuro, senza necessariamente bisogno di abbandonare il proprio Paese. Viene da chiedersi se la vera domanda non sia semplicemente se le scuole siano davvero pronte a ripartire, ma se tutto ciò che abbiamo attraversato durante la pandemia possa essere un impulso a valutare una concezione nuova e più completa di riapertura: rafforzare e capillarizzare i rapporti tra le comunità studentesche, gli istituti scolastici, le realtà associazionistiche che si occupano di scuola e le istituzioni competenti, per creare un contesto di applicabilità a livello nazionale per questo tipo di modelli, potrebbe essere l’inizio di una vera svolta per il sistema scolastico italiano, che potrebbe così ancora di più valorizzare il suo elevato livello di preparazione e diventare più significativo a livello internazionale.
Fonti citate:
[1] “La generazione perduta del Covid: buchi di apprendimento del 30-50%”, Il Sole 24 Ore, 2021
[2] “Scuola-Covid, allarme Save The Children: rischio abbandono scuole”, Il Sole 24 Ore, 2021
[4] “Centro Culturale Liceo Scientifico A.Righi – Roma”, video di presentazione, YouTube, 2015
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