Malgrado diversi problemi, la scuola resta uno dei pochi luoghi nei quali vivere l’educazione interculturale come processo di reciprocità e collaborazione tra persone con storie, origini ed età diverse. L’esperienza delle scuole aperte partecipate può dimostrarsi utile anche in questa direzione. Il testo di un intervento preparato per il Festival delle Migrazioni promosso in Calabria

Voglio parlare di scuola e migrazioni. Da avvocata e attivista che li attraversa entrambi, con Recosol/Rete delle comunità solidali, nelle reti per la scuola, da rappresentante dei genitori negli organi collegiali. L’intervento è dedicato ai 650 mila bambini e bambine di Gaza senza scuola da oltre dieci mesi e a tutti i bambini e le bambine vittime innocenti della follia degli adulti.
Perché parlare di scuola? Perché la scuola pubblica può tutto, come diceva Simonetta Salacone, un’amatissima preside romana che si è spesa per tutta la vita per una scuola inclusiva e aperta. Può integrare/includere, può costruire comunità accoglienti e solidali. Può a certe condizioni, prima di tutto se è costituzionalmente orientata a rimuovere gli ostacoli per l’uguaglianza sostanziale e se pratica ed educa all’inter-cultura, come cercherò di spiegare.
Comincio con un film, l’ultimo di Antonio Albanese, Un mondo a parte. Una piccola scuola dell’appennino abruzzese salvata dalla chiusura grazie ai due docenti che vanno a recuperare gli iscritti tra i piccoli profughi ucraini neo arrivati. Conoscete il tema, avete più voi da dire, ma consiglio la visione del film.
In Italia gli studenti stranieri sono circa un milione. Chi sono gli “studenti stranieri”, con background migratorio o non italofoni? A seconda di chi ci mettiamo dentro potrebbero essere anche il doppio, tra il 10 per cento e il 20 per cento degli studenti italiani (circa 8 milioni e mezzo). Citavo prima i minori ucraini: nel 2022 i “Minori stranieri non accompagnati” (Msna) sono aumentati del 64 per cento rispetto all’anno precedente, molti sono stati inseriti a scuola, nessuno si è stracciato le vesti per questo, segno che se si vuole, si può fare.


Il diritto-dovere dell’istruzione in Italia è previsto per tutti i minori, italiani e stranieri, nella fascia dell’obbligo 6-16 anni, a prescindere dalla regolarità del soggiorno (art. 38 TU Immigrazione d.lgs. 286/98, art. 45 DPR 394/99 declina le modalità dell’esercizio del diritto). La legislazione italiana in materia è tra le più avanzate nell’UE, ma un conto è l’esistenza del diritto, un conto la garanzia della sua effettività. Per affrontare i dinieghi scolastici, cioè i respingimenti opposti dalle scuole all’iscrizione che è un diritto ma pure un dovere, sanzionato per i genitori, la Rete Scuolemigranti, che riunisce le associazioni del Lazio che fanno scuola di italiano per stranieri, ha istituito il servizio Discol. La rete ha calcolato 430 casi di dinieghi (352 nella scuola dell’obbligo) tra luglio 2021 e febbraio 2024. In una prossima occasione mi piacerebbe parlare della fascia meno tutelata dei 14-17 anni, sia per la scelta della scuola (tecnico professionale) sia per i Msna (non c’è un piano di inserimento a scuola).
E poi, una volta a scuola, il minore straniero cosa fa? Nella scuola non sono previsti mediatori culturali e linguistici strutturati, la gestione dell’integrazione/inclusione e dell’inter-cultura è rimessa alla bravura o meno dei dirigenti scolastici, dei docenti, degli organi collegali, quindi bisogna essere fortunati. Ho diretta esperienza di genitori rappresentanti di classe e di istituto che si fanno carico della mediazione con la scuola in presenza di famiglie che non parlano italiano: anche qui, la società civile si organizza e supplisce alle carenze del pubblico.
Nel Piano nazionale integrazione, fermo al 2017, c’è solo qualche cenno alla scuola, ma esistono specifiche Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri adottate nel 2014, non mi risultano abrogate, quindi – al minimo – vanno applicate. Nel 2007 presso il ministero dell’Istruzione è stato creato un Osservatorio per l’integrazione e l’inter-cultura a scuola con funzioni consultive e propositive, periodicamente rilanciato dai vari ministri. Interessante, l’ultimo lavoro dell’Osservatorio del marzo 2022 intitolato Orientamenti interculturali. Idee e proposte per l’integrazione di alunni e alunne provenienti da contesti migratori, a firma del ministro Bianchi, definisce l’educazione interculturale come “un processo di interazione tra soggetti appartenenti a culture diverse al fine di promuovere, nei contesti educativi, il confronto, il dialogo e la reciproca trasformazione” e “Riguarda tutti gli alunni e tutti i livelli di insegnamento”. Attori della relazione educativa sono dunque non solo gli stranieri, ma anche gli italiani, in dialettica e reciproca costruzione. Una buona base da cui ripartire.
Un’incarnazione di questa formula c’è nella società civile nell’esperienza delle scuole aperte partecipate, diverse delle quali nate in territori fortemente interculturali (come ad esempio l’Esquilino a Roma): aperte tutto il giorno e tutto l’anno, tramite accordi tra scuole, amministrazioni locali, associazioni composte da genitori, studenti, docenti, volontari del territorio, laboratori di cittadinanza attiva per lo scambio di saperi e mestieri. C’è una nascente rete nazionale delle SAP, mentre quella romana ha appena fatto dieci anni, anche in Calabria (Cosenza, Gioiosa Ionica, Rossano) ci sono esperienze di questo tipo. Non mi pare, tuttavia, che sia questa l’idea di scuola pubblica in testa a Valditara, ministro dell’Istruzione e – ahimè – del Merito, in quota Lega: già a partire dal nome del ministero – quel merito borghese che perpetua le disuguaglianze invece che rimuoverle.
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Il MIM ha appena approvato le nuove Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica: patria, identità, individuo, decoro, azienda, educazione finanziaria e assicurativa, proprietà privata, altro che scuola aperta e inclusiva, rivelano una visione distopica del ruolo della scuola. Ricordo che in aprile il MIM ha disposto un’ispezione nell’IC Iqbal Masiq di Pioltello, in provincia di Milano, perché aveva osato chiudere la scuola in occasione della festa di fine Ramadan, mentre si trattava di una decisione perfettamente legittima e in linea con i poteri concessi dall’autonomia scolastica.
Anche quando dal MIM arrivano provvedimenti che sembrano andare nella giusta direzione, si intravede l’inganno: faccio riferimento a una disposizione di recente introduzione (art. 11 del DL 71/2024) che prevede che per le classi con più del 20 per cento di studenti che non hanno una conoscenza di base dell’italiano (< livello A2), può essere assegnato un docente di italiano per stranieri, ma la norma nasconde tante insidie, tra cui che è aleatoria, a risorse invariate e può creare l’incentivo a fare classi ghetto per aspirare ad avere docenti dedicati (che poi non è detto che arriveranno).
Ho richiamato più volte l’autonomia scolastica e mi preme sottolineare un dato che mi sembra trascurato. Tutti i genitori, anche degli alunni stranieri, e gli studenti stranieri alle superiori, possono votare per eleggere i rappresentanti di classe e di istituto e farsi eleggere. Gli organi collegiali sono importanti perché possono dare l’impronta alla scuola. Il riconoscimento del diritto di voto nelle elezioni scolastiche è (può essere) uno strumento potente di inclusione.
Ultima notazione: non ci può essere vera integrazione e inclusione senza cittadinanza. Un esempio per tutti: in una stessa classe di studenti, alcuni possono partecipare alle borse di studio e ai programmi di studio all’estero, tranne i compagni stranieri senza cittadinanza. Che educazione è se qualcuno è escluso perché non ha questo timbro sacro del cittadino? Se ne riparla per fortuna, non è escluso si arrivi anche a fare un referendum. Prepariamoci.
Quindi la scuola può tutto, ma dobbiamo lavorarci insieme.
Versione ridotta dell’intervento preparato per il Festival delle Migrazioni di Acquaformosa, promosso dall’Associazione don Vincenzo Matrangolo in diversi comuni della provincia di Cosenza
Rita Coco, avvocata, attivista per i diritti umani, collabora con Re.Co.Sol. – Rete delle Comunità Solidali e altri enti della società civile sui temi delle migrazioni e della partecipazione. Ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura