La conoscenza delle persone comuni sui sistemi alimentari del mondo, malgrado la messe dei dati raccolti e il prestigio dei frequenti summit internazionali, resta largamente condizionata da grandi miti e narrazioni tossiche che hanno sedimentato per decenni false quanto indiscusse convinzioni. Pochi sanno, per esempio, che l’industria alimentare sfama solo tre abitanti del pianeta su dieci ma dispone del 70 per cento della terra e dell’acqua. Quel che ancora meno si sa è che, per ogni euro che spendiamo per il cibo industriale, altri due ne spende ogni Stato – con i soldi di tutti i suoi cittadini – per tentare di porre rimedio con un sussidio invisibile ai catastrofici danni sociali e ambientali che provoca la catena alimentare dominata da una ventina di colossi transnazionali. Quei danni colpiscono, naturalmente, in primo luogo direttamente la salute delle persone, ma non solo quella. Il Gruppo ETC – equipe internazionale di ricercatori indipendenti che monitora da oltre 25 anni l’impatto delle tecnologie emergenti e delle strategie delle corporation sulla biodiversità, l’agricoltura e i diritti umani – lo denuncia a scala mondiale da molti anni. Silvia Ribeiro, giornalista e ricercatrice uruguayana che vive in Messico e dirige la sezione latinomericana dell’ETC, ne ha scritto spesso anche su Comune. In questo articolo ci racconta che quella assurda proporzione (paghi 3 e prendi 1), inversa a quel che sembra offrirci ogni supermercato, nelle scorse settimane è stata confermata, per gli Stati Uniti, da un documentato rapporto della Fondazione Rockefeller, il soggetto filantropico ultra-conservatore creato dalla famiglia dei miliardari padroni del mercato petrolifero nel Novecento
Questo articolo fa parte dell’inchiesta Tutti a tavola
Per ogni peso [valuta messicana – ndt] che spendiamo per il cibo industrializzato, ne paghiamo altri due per i danni alla salute e all’ambiente causati dal sistema agroalimentare industriale. È un dato terribile che noi del Gruppo ETC rileviamo a livello globale e che dal 2017 facciamo conoscere attraverso pubblicazioni e video didattici (si veda la traduzione italiana dell’opuscolo del Gruppo ETC: “Chi ci nutrirà?”, scaricabile in pdf; alcuni video sullo stesso argomento si trovano nel sito del Gruppo ETC, in inglese e in spagnolo). Ora la conservatrice Fondazione Rockefeller ha pubblicato un rapporto, basato su ampi dati statistici, che conferma questo dato analizzando la realtà degli Stati Uniti. (True cost of Food, luglio 2021).
Negli Usa, la popolazione spende ogni anno 1,1 miliardi di dollari in cibo. A questi si aggiungono altri 2,1 miliardi di dollari, spesi per la produzione, la distribuzione e la vendita del cibo industriale, l’assistenza sanitaria, i danni ambientali, l’erosione del suolo, l’inquinamento idrico, la deforestazione, la distruzione della biodiversità e l’emissione di gas che causano il cambiamento climatico, nonché per i costi sociali del lavoro minorile, dei salari da fame, delle malattie professionali e della mancanza di coperture previdenziali. Costi che sono pagati dall’erario, vale a dire dalla popolazione stessa. Di quel totale di 2,1 miliardi di dollari all’anno di spese generate dalla catena agroindustriale, il 99% è costituito dalle spese per l’assistenza sanitaria e i danni all’ambiente e alla biodiversità.
È un sussidio enorme e invisibile che viene dato alle imprese transnazionali che dominano la catena agroalimentare industriale perché continuino a produrre alimenti industriali e transgenici, con glifosato e altri agrotossici, a mantenere grandi allevamenti di suini, polli e mucche che causano epidemie, deforestazione, inquinamento idrico e distruzione della biodiversità nei campi, e a portare avanti la produzione di alimenti ultra-trasformati, con una quantità eccessiva di grassi, sale e zuccheri, riempiti di conservanti, emulsionanti, coloranti, aromi e altre sostanze chimiche perché possano sostenere lunghi trasporti e durare più a lungo senza mostrare marciume nei supermercati, e per ingannare i consumatori con sapori artificiali e che generano assuefazione.
Oltre a dare grandi profitti alle società transnazionali, il sistema agroalimentare industriale è strettamente legato alle malattie che sono le principali cause di morte nel mondo. Un rapporto dell’OMS pubblicato nel dicembre 2020 mostra che 7 delle prime 10 cause di morte nel mondo sono malattie non trasmissibili (cioè non contagiose). Le principali sono malattie cardiovascolari, causate ad esempio da eccesso di colesterolo, ipertensione, diversi tipi di cancro (in prevalenza dell’apparato digerente) e malattie renali. L’OMS evidenzia l’ingresso del diabete nella lista delle prime 10 cause di morte, una patologia che tra il 2000 e il 2019 a livello globale è aumentata del 70%, e dell’80% come causa di morte tra gli uomini (“La OMS revela las principales causas de muerte y discapacidad en el mundo: 2000-2019”). Tutto ciò nel contesto di una pandemia globale di obesità, denutrizione e malnutrizione di cui soffre più della metà della popolazione del mondo.
Solo il 24% delle principali cause di morte a livello globale è rappresentato da malattie contagiose. Di queste, più di due terzi sono di origine zoonotica, e per la maggior parte insorgono a partire dagli allevamenti industriali che confinano gli animali in spazi ristretti (ricordiamo ad esempio l’influenza aviaria e l’influenza suina [H1N1]). Una delle questioni che questa pandemia ha messo sul tavolo è per l’appunto lo stretto legame tra cibo e malattie. La maggior parte dei casi gravi e dei decessi con Covid-19 hanno riguardato persone con comorbilità come obesità, diabete, ipertensione, problemi cardiaci, colesterolo alto e altre patologie cardiovascolari, oltre ad età avanzata e problemi respiratori. I pochi decenni in cui il consumo di cibo industrializzato si è globalizzato hanno portato a una crisi del sistema immunitario di persone e animali, che ci ha lasciati molto indeboliti di fronte a nuove malattie infettive.
Questa situazione è ancora peggiore in Messico. L’associazione El Poder del Consumidor ha riferito che, nel 2019, l’88,8% dei decessi era dovuto a problemi di salute, con un’alta percentuale di obesità, diabete, ipertensione. Il Messico è il paese dell’America Latina in cui si vende la maggior quantità di alimenti ultra-trasformati e di bibite zuccherate (Las principales causas de muerte en México derivan de una mala alimentación).
Si tratta di una questione che non è individuale ma sistemica, e che in quanto tale deve essere affrontata. Il sistema agroalimentare, dalle sementi al piatto, genera malattie ed è una delle principali cause di distruzione ambientale; nonostante questo, noi paghiamo il triplo del costo del cibo sovvenzionando le imprese che lo dominano.
Sono imprese di questo tipo quelle che ora, per difendere il proprio diritto di continuare a mettere veleno nel nostro cibo, stanno facendo causa contro il decreto ufficiale [del governo messicano] che le incarica di cercare alternative al glifosato. Per la salute delle persone e della natura, dobbiamo rimuovere queste imprese dal nostro cibo e recuperare un sistema alimentare sano, senza sostanze chimiche, basato sulla produzione contadina, su mercati locali e diversi, con cibo che nutre invece di far ammalare.
Fonte: “El alto costo de la mala comida”, in La Jornada.
Traduzione a cura di Camminardomandando.