Mai dimenticare lo scenario di fondo, il neoliberismo, su cui si muove la relazione scuola e territorio. Essere consapevoli della non abitudine della maggior parte delle scuole ad aprirsi e a collaborare, ma anche delle carenze in termini di educazione all’aperto. Mettere in discussione le ossessioni, alimentate da molti insegnanti, della scuola trasmissiva, valutativa, selezionatrice. Fare della collaborazione, a cominciare dalla progettazione delle attività, un processo di responsabilizzazione non delegato a banche, fondazioni o istituzioni. Appunti di un incontro dedicato ai patti territoriali di comunità e alle scuole aperte e partecipate
Un gruppo di bambini e bambine, dopo una passeggiata esplorativa, ragiona sulla riqualificazione di un tratto del fiume Tevere, Roma. Foto Associazione Io Sono
Il quarto del ciclo di incontri (qui i resoconti del primo, del secondo e del terzo) inaugurato a febbraio sulla partecipazione a scuola – organizzato dal gruppo Scuola e partecipazione delle reti Apriti scuola!, Rete romana delle scuole aperte e Scuole per il futuro, in collaborazione con Comune-info – ha avuto luogo domenica 18 aprile 2021 (titolo “Patti territoriali di comunità, scuole aperte e comitati e associazioni di genitori”). Ad animare il dibattito alcune figure che della scuola si occupano da molto tempo da prospettive diverse: Girolamo De Michele, insegnante di scuola secondaria, scrittore, autore di alcuni libri tra cui La scuola è di tutti. Ripensarla, costruirla, difenderla, attivo partecipante alla rete nazionale di Priorità alla scuola; Sara Iannucci, educatrice, fondatrice dell’associazione Io sono, una delle più attive a Roma, soprattutto nei municipi V e VIII sul fronte della promozione dell’educazione outdoor; Andrea Morniroli, membro del Forum Disuguaglianze e Diversità, autore di numerosi articoli e pubblicazioni, impegnato da anni nel lavoro di contrasto alla povertà educativa nei quartieri più degradati di Napoli; Gianluca Cantisani, uno dei fondatori dell’associazione genitori Di Donato a Roma all’inizio degli anni Duemila, presidente del MoVI, Movimento di Volontariato Italiano, una delle persone che maggiormente ha contribuito alla creazione della Rete nazionale della scuole aperte.
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Alla base dell’organizzazione del confronto l’ambizione di superare la prospettiva antinomica, spesso pregiudiziale, tra chi ritiene – schematizzando e semplificando al massimo, con legittime motivazioni su entrambi i fronti – che la scuola debba recuperare una visione e ricentrare i propri obiettivi nella società contando su risorse proprie adeguate che ora non ci sono ma devono essere riattribuite (per esempio, per superare le classi pollaio e il precariato cronico) e chi invece si muove in una prospettiva di sussidiarietà e di integrazione necessaria e virtuosa tra istituzione scuola e territorio. Non è stato semplice, soprattutto in considerazione dei punti di partenza, in parte inconciliabili.
Lo scenario di fondo: il neoliberismo
Girolamo De Michele ha insistito sull’esigenza che la crisi della scuola venga letta all’interno di un processo più ampio, quello sostanzialmente della deriva neo-liberista che ne ha minato alla base le finalità educative e ampiamente limitato le sue possibilità, riducendo drasticamente le risorse economiche a disposizione. All’interno di questo quadro, quindi, come è possibile pensare che il rapporto tra scuola e territorio possa aprire a orizzonti virtuosi? All’interno del territorio, ha sostenuto Girolamo De Michele, non ci sono operatori neutri, ma le realtà sociali. Associazioni, enti locali, fondazioni, liberi cittadini, ma anche corporazioni, grandi cooperative che promuovono opportunità e non diritti. Il rapporto con l’associazionismo locale esiste già e spesso è coltivato dagli stessi insegnanti, in funzione complementare e di crescita. Ma che contributo possono dare alla scuola se è molto più vero che l’interesse che nutrono nei confronti della scuola è economico?
Anche oggi, proprio un certo rinnovato interesse nei confronti della scuola sembrerebbe essere legato a questo nuovo quadro e allo stanziamento di fondi che fanno gola a molti. Dietro a questa apertura si cela un’ulteriore privatizzazione del sistema educativo pubblico del nostro paese, un’interpretazione opportunista delle possibilità che l’autonomia scolastica consente nei diversi territori del nostro paese.
Scuole chiuse
Seppure non in sostanziale disaccordo con le opinioni di De Michele, Sara Iannucci ha sostenuto come nella sua particolare esperienza in realtà non ha trovato scuole particolarmente predisposte ad accogliere le realtà del territorio per co-progettare con loro percorsi educativi coinvolgenti, plurali, accoglienti. Sara ha aggiunto che dobbiamo constatare come, al netto delle osservazioni sul processo di smantellamento del servizio scolastico pubblico, oggi, in una società complessa come la nostra, è impensabile ritenere la scuola capace di garantire una offerta formativa adeguata alle esigenze dei ragazzi. Proprio riferendosi all’outdoor Sara ha insistito sulle carenze della scuola in termini di spazi e formazione.
Di un tono completamente diverso da quello di De Michele gli interventi di Morniroli e Cantisani. Entrambi nel ritenere che il processo di fronte al quale ci troviamo vada maneggiato con cura, hanno però segnalato come sia necessario cercare di non scadere in una vecchia contrapposizione, forse anche un po’ semplicistica e rincuorante, pubblico buono/privato cattivo. Non perché non ci siano esempi che confermino questa opinione ma perché la realtà presenta molte sfaccettature che oggi, forse più che in passato, siamo costretti a cogliere. Dal punto di vista educativo, per esempio, non possiamo far più finta di non vedere quanta scuola trasmissiva, valutativa, selezionatrice, escludente sia praticata con il consenso di molti insegnanti e determini molte delle condizioni di dispersione e povertà educativa sulle quali poi si chiede al terzo settore di intervenire.
Le condizioni di fragilità sociale e di emarginazione non possono essere delegate in toto al terzo settore e allo stesso tempo il terzo settore dovrebbe rifiutarsi di fornire un mero servizio. Al contrario, quando la scuola insieme al terzo settore riesce a co-costruire responsabilità invece di chiedere semplicemente di gestire i bambini irrequieti o problematici, allora si possono ottenere risultati strabilianti. Sia per Cantisani che per Morniroli una parte del terzo settore è stato collusivo con le pratiche di privatizzazione, contenimento e istituzionalizzazione dell’idea di cura. Ma ciò non toglie che il contributo che ha saputo dare in termini di coesione sociale sia complessivamente innegabile.
Se l’idea di autonomia scolastica è stata finora improntata a una logica aziendale e competitiva, è forse giunto il momento di provare a fare una proposta diversa. Raccogliendo e valorizzando anche quelle esperienze che pure già esistono, come per esempio quella messa in moto dall’assessora alla scuola di Napoli, Annamaria Palmieri. Donna del Cidi, insegnante di frontiera, l’assessora ha impulsato un processo di incontri tra scuole, associazioni di periferia, soggetti del terzo settore, per ragionare su come investire i fondi stanziati per combattere la dispersione scolastica prima di farli cadere a pioggia dall’alto. Questo modo di fare amministrazione deve diventare la norma non l’eccezione. E permettere di capire come all’interno di un patto di comunità, scrollandoci di dosso pregiudizi e preconcetti, anche attori apparentemente distanti dalla scuola, come il barista di una piazza di quartiere, l’edicolante dove i bambini vanno a comprare le figurine, possono diventare risorse utili.
Se la dirigente scolastica convoca l’assemblea di quartiere
Anche secondo Cantisani, solo così, attivando questa sinergia, implementando forme di co-progettazione sarà possibile evitare che la scuola continui a sprecare qualsiasi stanziamento riceva, non il contrario. La co-progettazione dell’utilizzo delle risorse non favorisce il privato, ma mette in moto un processo di responsabilizzazione di cui beneficiano tutti, se non lo si lascia, naturalmente alle banche o fondazioni. Se sono loro a stabilire la governance di questo processo allora certamente i problemi aumentano.
Ma la scuola della Costituzione, quella dell’art. 34, è di tutti. E bisogna trovare un luogo dove tutti si possano incontrare per parlarne. Se pensa di poter bastare a sé stessa, non solo sbaglia strategia, ma rischia di trovarsi fuori dal mandato costituzionale. Sicuramente rischia di mostrarsi inadeguata rispetto alle esigenze che oggi, in modo rinnovato rispetto al recente passato arrivano dalla società, o almeno una parte di essa, di collaborare. Proprio Cantisani, evocando quello che succede in Spagna ha citato l’esempio di una scuola di Barcellona, nella quale una volta al mese la dirigente convoca una assemblea di quartiere, perché così facendo si supera l’atteggiamento di arroccamento e chiusura e ci si preoccupa veramente di contrastare la povertà educativa, contribuendo a promuovere l’educazione degli adulti ad una cittadinanza attiva, partecipe, vero antidoto alle degenerazioni che producono dispersione ed emarginazione. Sulla stessa linea, nel corso dell’incontro Luciana Cervati ci ha riportato l’esperienza in costruzione della “Comunità dei pazzi”, docenti, genitori e cittadini che dal basso propongono un progetto di comunità educante attiva e militante alle varie scuole del quartiere romano Casal de’ Pazzi.
Per saldare il dibattito con quanto discusso in altri incontri del ciclo dedicati all’autonomia scolastica, si può richiamare una riflessione che risale a qualche decennio fa ma sempre attuale:
“Le prospettive degli organi collegiali o si collocano nel progetto di società o non si danno: la ricerca e il dibattito per una pedagogia della partecipazione si riconnettono alla ricerca e al dibattito sulla concezione dello Stato, del rapporto tra Stato e società, fra burocrazia e democrazia, fra garanzie collettive e diritto di iniziativa, sullo sviluppo della partecipazione e le condizioni di pluralismo. Lavorare a un movimento di massa per la scuola è anche rendere conto a livello di massa di questo intreccio, respingendo le posizioni regressive che bloccano lo sviluppo del movimento entro gli steccati del settorialismo” (Lucio del Cornò, Considerazioni sul movimento per la scuola, Riforma della scuola, n. 10/1977).
Ecco, anche noi, quasi alla fine di un percorso che ci ha permesso di penetrare un po’ gli arcani del funzionamento della scuola, ci auguriamo che questa prospettiva di connubio tra scuola capace di usare al meglio l’autonomia (per quanto imperfetta e ampiamente da riformare) e territorio orientato al perseguimento del bene comune sappia offrire risposte concrete al processo di costruzione di una società e di una cittadinanza globale e solidale, dirimente oggi più che mai.
LA VIDEOREGISTRAZIONE COMPLETA DELL’INCONTRO
Articolo di R. Coco, G. Castagno, F. Della Ratta, G. Foschi