“Fooding – Alimenta la solidarietà” è un progetto promosso dall’Arci Torino per creare reti di solidarietà territoriali con cui contrastare la povertà alimentare e la rottura dei legami sociali. Il lockdown ha cambiato il progetto: alcune mense popolari, ad esempio, sono passate a una distribuzione take away, diverse attività si sono dovute interrompere, altre si sono aggiunte e intrecciate con la rete, a regia comunale, Torino Solidale. Oggi tanti volontari e volontarie, tra cui molti giovani, e diverse realtà, come la Fiom, continuano ad avvicinarsi a Fooding
Raccogliere e distribuire cibo per rispondere alla crescita della povertà alimentare, ma anche per ricomporre legami sociali, per creare nuove “piazze”, a cominciare dai contesti urbani. All’Arci Torino sanno bene che ci sono povertà poco visibili che il virus ha moltiplicato. Poco visibile e mal raccontata è anche l’azione quotidiana di migliaia di donne e uomini che mettono a disposizione il proprio tempo per mettere in discussione, in tanti modi diversi, quelle povertà. Il dominio del profitto ha le sue crepe. È stato evidente durante il primo lockdown, come segnalato su Condomini virali. Abbiamo rivolto a Alice Graziani di Arci Torino qualche domanda.
Il progetto Fooding – Alimenta la solidarietà di Arci Torino è diventato noto durante il lockdown, per sostenere chi vive situazioni di marginalità sociale. Quali azioni di mutualismo ha proposto?
Fooding è un progetto di Arci Torino nato in collaborazione con un’ampia rete di enti pubblici, privati e di terzo settore. In realtà è stato avviato a dicembre 2018 e nella sua forma originaria prevedeva la gestione di mense popolari per persone senza dimora e di centri di recupero e distribuzione del cibo invenduto nei comuni di Torino, Chieri, Moncalieri e Carmagnola. Fooding. dunque, nasce per creare reti di solidarietà territoriali a partire da azioni di contrasto alla povertà alimentare, coniugando la lotta alle disuguaglianze e lotta alle solitudini. Il lockdown ha cambiato profondamente il volto del progetto, molte attività si sono modificate: alcune mense, ad esempio, sono passate a una distribuzione take away, alcune attività si sono dovute interrompere, come quelle di socializzazione, altre invece si sono aggiunte. Intanto Arci Torino ha aderito a Torino Solidale, una rete di solidarietà alimentare, a regia comunale, e ha gestito due snodi di distribuzione di panieri solidali che attualmente contano 1.585 famiglie in carico.
In una città in cui al momento sono almeno 10.000 i nuclei familiari che non sono in grado di mettere insieme il pranzo e la cena, ad ottobre avete lanciato un nuovo appello: raccontate come, insieme ad altre organizzazioni, avete garantito il diritto al cibo e chiedete una mano. Come e in cosa possono rendersi disponibili i volontari e volontarie?
In questo periodo, dopo una fase di assestamento dell’attività di distribuzione alimentare, stiamo sperimentando diversi percorsi per allargare la nostra azione, oltre le consegne dei panieri. Siamo da sempre convinti e convinte che il cibo sia uno strumento, un primo aggancio per costruire dei percorsi di inclusione completi, che affrontino la povertà nella sua natura multidimensionale. Le attività di assistenza sociale e di sostegno psicologico sono le prime che abbiamo avviato, su altre ancora stiamo lavorando. Speriamo che il riaggravarsi dell’emergenza sanitaria non freni del tutto questi tentativi. All’appello citato hanno risposto in centinaia di persone, ciascuna mettendo a disposizione quello che poteva: l’auto per qualche consegna a domicilio, il proprio tempo per accogliere chi riceve il pacco, la voglia di attivare nuovi meccanismi solidali con raccolte straordinarie di vestiti e altri prodotti che oggi ci permettono di distribuire gratuitamente abbigliamento e libri alle famiglie che vengono.
Chi sono i volontari? Il progetto ha avuto modo di farsi conoscere tra i giovani?
Un po’ temevamo che la fine del lockdown avrebbe coinciso con una minore mobilitazione generale nel sostegno alla popolazione in difficoltà, la risposta alla call ci ha definitivamente smentito. Sono arrivati tantissimi giovani e tante persone ormai in pensione, persone in attesa di essere inserite nelle liste per ricevere un aiuto, italiane e non. Tanti e tante tra coloro che beneficiano del paniere si sono offerti per uno spaccato, in micro, di una comunità che non conosce barriere di età, provenienza, genere. Anche diverse associazioni, Arci e non, e organizzazioni come la Fiom hanno deciso di mettere a disposizione le loro basi e strutture per rafforzare il progetto, altre ancora si stanno proponendo giorno dopo giorno.
La pandemia sembra mostrare e accentuare ovunque le difficoltà nelle quali vivono le persone comuni. Al tempo stesso rende più visibile la capacità dei cittadini di autorganizzarsi. Cosa ne pensi?
Credo che la pandemia abbia avuto l’effetto di rendere visibili nella sua crudezza le disuguaglianze che la nostra società crea. Noi l’abbiamo visto in modo feroce sulla situazione delle persone senza dimora che si sono trovate prive di tutte le reti formali e informali di sostegno, senza che fosse prevista una soluzione strutturale per chi non aveva una casa in cui restare. Analogamente la pandemia è stata un’occasione di attivazione per tantissime persone. Se guardo alla nostra rete, abbiamo visto circoli chiusi dal lockdown mettere a disposizione comunque spazi e competenze, persone che lavorano dietro un bancone oppure nel mondo dello spettacolo diventare volontarie e volontari a tempo pieno.
C’è vita, dunque, oltre il racconto ossessivo della società della paura proposto dai grandi media?
Spesso si descrive la nostra società come abbruttita, rancorosa e individualista. Noi crediamo che esiste anche altro e che il senso di solidarietà sia molto più diffuso di quanto immaginiamo. È necessario però un cambio di paradigma: le pratiche mutualistiche e solidali e la creazione, qui e adesso, di reti comunitarie possono fornire elementi per costruirlo.
L’articolo di questa pagina fa parte dell’inchiesta TORINO HA BISOGNO DI RIPRENDERE FIATO: da “La città ai ragazzi” di quarant’anni fa alla “Scuola di quartiere” promossa da Acmos in estate, Torino ripensa la relazione scuola-città. Un’inchiesta indaga quel tema e racconta un territorio con cicatrici rimosse (lo dimostrano i fatti del 26 ottobre), ma anche energie per cambiare l’ordine delle cose. Una città che dovrebbe smettere di correre. Interventi di Diego Montemagno, Gabriele Gandolfo, Marco Arturi, Emilia De Rienzo, Marco Revelli Gigi Eusebi, Libera Piemonte, Fooding – Alimenta la solidarietà, MAG4 Piemonte, Camilla Falchetti.