Si è conclusa la seconda stagione di Mare fuori, serie tv di successo firmata Rai che racconta le vicende di un gruppo di ragazzi e ragazze dell’Istituto Penitenziario Minorile di Nisida, a Napoli. Nel carcere si sviluppano amori, sospetti, vendette, relazioni, che mettono in contatto giovani e meno giovani, i loro ruoli istituzionali ma soprattutto i loro mondi interiori. In “Mare Fuori” si parla prima di tutto di destini giù segnati, giovani nati e cresciuti in un sistema di regole che paga la violenza con la violenza. Ma “Mare Fuori” è anche un ponte verso l’esterno, verso mondi nuovi, luoghi desiderati raggiungibili solo mettendo in campo volontà giganti e attraverso l’incontro con le proprie ferite e con l’altro, ma anche con il passaggio dall’io al noi. In modo non banale, “Mare Fuori”, che sta generando un’onda lunga di reazioni, soprattutto tra i più giovani, che chiedono di partecipare al prossimo set, è a suo modo un fenomeno sociale che parla di una gioventù nuova, non solo anagrafica, ma proprio valoriale, che non ha paura di entrare dentro le proprie emozioni, di riconoscerle, aprirle e trasformarle
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In questo secondo autunno difficile, causa pandemia, tanti e tante hanno scoperto “Mare fuori”, serie tv alla seconda stagione. “Mare Fuori” riesce a incollarti sul divano per osservare il succedersi degli avvenimenti che interessano la vita di un gruppo di adolescenti e giovani all’interno dell’Istituto Penitenziario Minorile di Nisida, a Napoli. Detta così potrebbe sembrare la solita solfa strappalacrime che cerca di impressionare il pubblico con una manciata di buonismo buttata lì a casaccio, ma sempre utile a pacificare banalmente gli animi. E invece “Mare Fuori” di facile pacificazione e di mediocre banalità non sa proprio che farsene. Scende a fondo nell’animo umano e lo indaga, nelle sue pieghe più buie e nascoste, senza fare sconti, senza omettere la verità ma mettendo le miserie nude, una di fronte all’altra, indagando la connessione tra emozioni e vissuti, tra le contraddittorie sfaccettature del sentire e la vita di ogni giorno. “Mare fuori” è un cazzotto nello stomaco, ma anche tanta dolcezza.
Nessun personaggio sembra scontato, così come avvincente e armonica risulta la trama che, anche nelle sue pieghe più dolorose, trasuda di umanità.
La serie tratta il tema della vita che si svolge in questo Ipm, ma anche le sue relazioni con il fuori, con la città di Napoli e con ulteriori contesti nazionali e internazionali, come Milano o il Brasile. Il focus però è tenuto all’interno del carcere di Nisida dove si sviluppano amori, sospetti, vendette, conoscenze, relazioni, che mettono in contatto giovani e meno giovani, i loro ruoli istituzionali ma soprattutto i loro mondi interiori, nel quale forza e fragilità si mescolano a ricordarci quanto delicata e impercettibile sappia essere a volte la vita e l’umano.
In “Mare Fuori” si parla di destini giù segnati, giovani nati e cresciuti in un sistema di regole che paga la violenza con la violenza, lotte tra clan, una “gomorra” giovanile nella quale nessuno é risparmiato e tutti sono vittime e carnefici insieme. Ma “Mare Fuori” è soprattutto una serie che parla di amicizia, di amore, della forza di sentimenti basilari, umani, dei quali troppo spesso si fa a meno perché il buono non tira più, ma in fondo è che la paura è diventata difficile ed enorme da affrontare. “Mare Fuori” invece è un ponte verso l’esterno, verso un luogo desiderato ma che può essere raggiunto solo mettendo in campo volontà giganti, che divengono possibili nell’incontro con la propria ferita e con l’altro, passando dall’io al noi.
Come non innamorarsi degli occhi grandi di Carmine (Massimiliano Caiazzo) che hanno sete di vita e di giustizia, ma che sanno anche perdonare gesti orrendi; o della vitalità di Naditza (Valentina Romani) capace di opporsi ai soprusi di un contesto familiare che la vuole a tutti i costi sposa di un marito che non amerà mai; o della genuinità di Cardiotrap (Domenico Cuomo) che trasforma il dolore della violenza domestica subìta da bambino in canzoni capaci di curare; o dell’eleganza e della forza di Filippo (Nicolas Maupas) capace di vegliare sul sonno del suo amico Carmine interferito da un’improvvisa sete di vendetta. Ci sono poi la severità della direttrice dell’Ipm, una egregia Carolina Crescentini, e la passione del commissario, Carmine Recano, che dapprima si scontrano producendo pesanti incomprensioni e dopo trovano profondi punti di incontro di cui non vediamo l’ora di conoscere gli esiti. O la caparbietà dell’educatore dell’Ipm Beppe, Vincenzo Ferrera, e la lotta tra il bene e il male che riguarda la guardia penitenziaria Lino, Antonio De Matteo. Tutti portano nel racconto il carico di vite segnate, in un modo o nell’altro, da una grande ferita che inevitabilmente si intreccia con il ruolo che sono tenuti a ricoprire dentro l’Istituto penitenziario, generando coinvolgimenti che richiedono spazio, spiegazione, tempo.
Ogni personaggio ha una crepa interiore e “Mare fuori” mostra che è possibile guarire.
Non vogliamo spoilerare la serie – anzi per chi non l’avesse ancora vista consigliamo di farsi un bel regalo di fine anno e inizio anno Nuovo – ma ci teniamo a chiarire alcuni punti per i quali la consideriamo un’esperienza televisiva ben riuscita e con degli importanti elementi di novità:
- Mare Fuori sta generando un’onda lunga di reazioni, soprattutto tra i più giovani, che chiedono di partecipare al prossimo set. Mare Fuori è dunque diventato un “fenomeno sociale”, una tendenza, che ci sta suggerendo quanta voglia di partecipare esista tra i giovani che, spesso, la narrazione mainstream considera persi. Il cinema, in questo caso, si sta ponendo come una potente occasione di incontro, confronto, spazio di condivisione, di speranze, aspirazioni, desideri, di una o più giovani generazioni accomunate dal bisogno di esserci. Anche il cast di “Mare Fuori”, molto giovane, è un esempio di come sia possibile fare lavori di altissima qualità quando si ripone fiducia nella formazione e nello studio dei più giovani;
- “Mare fuori” sta veicolando dei messaggi positivi, soprattutto tra i giovani, perché utilizza un registro linguistico che parla dritto al cuore, bypassando ogni resistenza emotiva e mentale. Ci riporta in una dimensione semplice e immediata nella quale la lotta per il bene sembra avere la meglio su quella per il male risvegliando e riaprendo la porta sul Futuro;
- “Mare Fuori” si esime dai giudizi e si apre all’inedito: senza tralasciare l’importanza della responsabilità e della scelta nella vita di ognuno di noi, specie dei più giovani, “Mare Fuori” mette di fronte all’imprevedibile, a ciò che non ti saresti mai aspettato dalla vita. Anche il più insospettabile degli uomini e delle donne può trovarsi a vivere in un carcere minorile per un periodo della vita, popolato non solo da ragazzi e ragazze con un destino già scritto ma anche da chi si trova lì “per sbaglio”, per un incidente, per qualcosa che mai avrebbe pensato di poter commettere e che non rientra nella propria normalità, eppur succede. Un “eppure succede” che può riguardare la vita di ognuno di noi e che ci invita a riflettere su quanto sia estremamente importante e imprescindibile la strada del dialogo e di trasformazione delle proprie emozioni negative, di rabbia e frustrazione, in occasioni di crescita e confronto aperto, che la società tutta dovrebbe incentivare. “Mare Fuori” entra in un carcere minorile e lo fa diventare un luogo umano, normale, non distante da noi, scardinando dunque dei pregiudizi;
- Infine consigliamo la visione di “Mari Fuori” perché è bellissimo il racconto di una Napoli brillante, nonostante le sue zone d’ombra. Crediamo che “Mare Fuori” faccia bene a Napoli perché la libera dallo stereotipo della città di camorra e la fa diventare una città qualunque, attraversata da un’umanità qualunque, che sbaglia ma che spesso viene anche lasciata sola. Un qualsiasi altro posto nel mondo attraversato da vuoti, emotivi e sociali, sui quali siamo chiamati a riflettere in quanto essere umani. E crediamo che Napoli faccia bene a “Mare Fuori”, perché ha saputo tenere insieme l’alto e il basso, il cuore e la mente, il nero e il bianco, gli opposti, come solo lei sa fare.
“Mare Fuori” parla di una gioventù nuova, non solo anagrafica, ma proprio valoriale, che non ha paura di entrare dentro le proprie emozioni, di scoprirle, aprirle, attraversarle, trasformarle; che riscopre il linguaggio del cuore, della sua forza e della sua fragilità, senza sentirsi stupido o ingenuo; che si concede il dolore della ferita perché capisce che, forse, è il solo e unico modo per potersi salvare.
Marina Mastropierro, ricercatrice sociale, è autrice di Che fine ha fatto il futuro? (Ediesse). Altri suoi articoli sono leggibili qui