Sebbene ancora in forme sperimentali, i Patti di comunità hanno dimostrato che sono possibili nuove forme di scuola che, a partire dai bisogni dei territori, possano rispondere alle sfide educative più impegnative e urgenti. È indispensabile farlo, perché la scuola, come il respiro, è ovviamente essenziale per una società ma ne rivela anche lo stato di salute interiore, profondo. Segnala inquietudini, ansie, passioni di ragazze e ragazzi che chiedono di trasformare un “modello” in generale ancora troppo ancorato a una concezione di tipo trasmissivo, basata su contenuti e con una rigida separazione tra discipline curricolari ed extrascuola. Quella innovazione interessa tante dimensioni (dagli ambienti, all’organizzazione, alle metodologie didattiche, all’integrazione con il territorio) e richiede un accompagnamento di sistema. Intervista a Cristina Grieco, ex Dirigente scolastica del Liceo Cecioni, oggi presidente dell’Istituto nazionale di documentazione innovazione e ricerca educativa
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Apprendere dall’esperienza. A Livorno

L’occasione di questo approfondimento sulla relazione tra scuola, quartiere e città di Livorno, ci consente anche di allargare lo sguardo, proprio partendo dal nostro territorio, su qualche orizzonte più vasto. Ne abbiamo approfittato per rivolgere qualche domanda a Cristina Grieco, che di recente è stata Dirigente scolastica nel Liceo Cecioni per poi assumere un incarico molto autorevole alla guida di Indire, l’istituto che, per il Ministero dell’istruzione, è punto di riferimento essenziale per la ricerca educativa sui nuovi modelli didattici, l’utilizzo delle nuove tecnologie nei percorsi formativi e la ridefinizione del rapporto fra spazi e tempi dell’apprendimento e dell’insegnamento.
Secondo lei, qual è il ruolo della scuola all’interno di un territorio?
La scuola è il respiro della società. È con la Scuola che il Paese costruisce la sua cittadinanza e si tiene in piedi come comunità. Per questo motivo la Scuola è un “bene comune”: i soggetti del territorio condividono obiettivi e percorsi del progetto educativo che la scuola propone alla comunità e partecipano alla sua attuazione sulla base dei principi di sussidiarietà e corresponsabilità educativa.
Quali sono gli strumenti e le buone pratiche che si possono mettere in campo?
Molte sono le esperienze che sono state poste in essere negli ultimi anni, attraverso i patti educativi di comunità. INDIRE, l’istituto che rappresento, ha contribuito a realizzare un osservatorio dei vari interventi. Sebbene ancora in forme sperimentali e pilota, i Patti di comunità hanno dimostrato che sono possibili nuove forme di scuola che, a partire dai bisogni dei territori, possano rispondere alle sfide educative più cogenti come l’abbandono scolastico e l’inclusione sociale. Sarà però necessario che questo strumento possa diventare un volano di innovazione istituzionalizzato.

Una delle richieste che emerge con maggiore forza da parte dei ragazzi è quella di una scuola aperta, in cui si possano svolgere attività extra curriculari. Che cosa ne pensa?
Gli studenti ci chiedono di trasformare il “modello” scolastico, che in generale è ancora troppo ancorato ad una concezione di scuola di tipo trasmissivo, basata su contenuti e con una rigida separazione tra discipline curricolari ed extrascuola. È una innovazione che interessa tante dimensioni (dagli ambienti, all’organizzazione, alle metodologie didattiche, alla integrazione con il territorio) e che richiede un accompagnamento di sistema.
Parlando invece di ViviCecioni, vorremmo chiederle se conosce e cosa ne pensa del progetto nazionale Scuole aperte partecipate in Rete.
Ho conosciuto l’esperienza di ViviCecioni nei due anni in cui ho diretto l’istituto. E a livello nazionale ho partecipato ai tavoli di Scuole Aperte partecipate in rete. È un progetto, un movimento che mette in risalto la voglia di partecipare in modo attivo e consapevole alla proposta educativa scolastica e territoriale da parte delle varie componenti della comunità educante. Un modello utile anche per il raggiungimento delle competenze chiave di cittadinanza e trasversali (soft skills).
Quale può essere l’impatto dell’esperienza delle scuole aperte a Livorno? Lei ha avuto modo di seguire da vicino l’esperienza del Liceo Cecioni.
La scuola che immagino dovrebbe essere sempre di più il “cuore” del quartiere e/o della città. Il luogo della cultura, degli eventi, della integrazione e della partecipazione. Negli ultimi anni a Livorno molte sono state le iniziative in questo senso, che hanno permesso alle ragazze e ai ragazzi di sentirsi protagonisti della crescita del territorio, esprimendo la loro creatività e il loro punto di vista. Per esempio, all’interno del Liceo questo si è concretizzato nel progetto di rigenerazione del giardino monumentale. I ragazzi coinvolti hanno contribuito a far rivivere uno spazio che era disabitato, un luogo abbandonato. Questo ha permesso il loro coinvolgimento attivo nella gestione degli spazi e nel protagonismo all’interno della scuola, promuovendo l’espressione di una cittadinanza più consapevole e responsabile. Ora nella scuola, un domani, speriamo, all’interno della società.