Sul voto in condotta s’è discusso molto in questi mesi. Le cronache dei media sono sempre pronte a soffiare sul fuoco di comportamenti che non riconoscono l’autorità a scuola. Si tratta di comportamenti spesso sbagliati, talvolta perfino pericolosi, che però non andrebbero mai semplificati, letti fuori contesto. Il ministro dell’istruzione, che a suo tempo ebbe a spiegare che “l’umiliazione fa crescere“, non vedeva l’ora di poter annunciare la “stretta”. Il rispetto nei confronti degli altri, per chi lavora e per chi studia, è tema complesso quanto essenziale. In fondo, soprattutto a questo dovrebbe servire la scuola, a educare a stare insieme, affermando i diritti di tutti. Non è certo questione riducibile in un numero. Anche per questo fa un prezioso contrasto di grande attualità il simpatico titolo scelto per il progetto “Orto in condotta”, realizzato da Slow Food Livorno in collaborazione con varie scuole cittadine. “Le bambine, i bambini e le loro famiglie possono sperimentare in prima persona il ciclo di produzione alimentare e sviluppare la consapevolezza del consumo del cibo e dell’esistenza degli equilibri naturali”, spiega Valentina Gucciardo, mamma di uno studente del Liceo, responsabile del progetto e presidente della locale condotta di Slow Food (l’associazione ne conta ben 1500 nelle aree geografiche di tutta l’Italia). La scuola è il primo bene comune che ragazzi e ragazze di questa età possono riconoscere e imparare a difendere, soprattutto da chi, in nome del business, oggi umilia la terra condannandola al degrado e al saccheggio
Questo articolo fa parte dell’inchiesta
Apprendere dall’esperienza. A Livorno

Abbiamo incontrato Valentina Gucciardo, mamma di uno studente del nostro Liceo e responsabile del progetto “Orti in Condotta”, collegato all’associazione Slow Food di Livorno, proprio nel giardino del Liceo Francesco Cecioni, dove, ogni sabato, ci fornisce il suo prezioso aiuto e la sua esperienza nella cura delle piante e nei metodi di compostaggio.
Ci può descrivere brevemente l’associazione Slow Food?
È un’associazione, ormai dal lontano 1989 diventata internazionale, ha dunque ben più di trent’anni. È nata in Piemonte, a Bra, il paese natale del suo fondatore, Carlo Petrini, in principio per iniziativa di un gruppo di buongustai. Loro, pian piano, vedevano sparire dalle case, dai ristoranti e dalle botteghe di paesi e città molti cibi tradizionali. Così hanno deciso di reagire e associarsi per salvare le radici della cucina italiana. All’inizio, l’associazione faceva capo all’Arci e aveva preso il nome di Arci Gola. Aveva cominciato a organizzare le prime attività volte a recuperare, sensibilizzare e valorizzare i piatti della tradizione.
Con il tempo, la voce si spargeva e l’associazione cominciava a crescere uscendo dai confini regionali e coinvolgendo sia persone comuni che influenti intellettuali dell’epoca.
Nel 1986, intanto, era stato inaugurato il primo McDonald’s a Roma, in Piazza di Spagna, nella culla della nostra civiltà. L’associazione ha interpretato quell’apertura come uno sfregio alla città e alla cultura culinaria italiana e ha deciso di contrapporvisi fortemente, così ha cambiato nome ed è diventata Slow Food, proprio in netto contrasto con il fastfood e la fast life rappresentate dalla catena nordamericana. Il Manifesto di Slow Food venne siglato a Parigi e, tra le firme, oltre a quella di Carlo Petrini, spiccano quelle di Dario Fo, Francesco Guccini e Sergio Staino.
Da quel momento, Slow Food non ha mai smesso di crescere e di lottare in nome della tradizione, della cultura culinaria, del rispetto per l’ambiente e per i produttori unendo, da ultimo, anche la sensibilizzazione verso il cambiamento climatico e di tutto ciò che vi ruota intorno.

Da molti anni siete impegnati nelle scuole livornesi con il progetto “Orto in condotta”, ci può spiegare di cosa si tratta?
Il nome del progetto è stato parte della sua fortuna: un gioco di parole che tiene insieme il mondo della scuola (il voto in condotta), l’attività che svolgiamo (l’orticoltura) e il nostro territorio di pertinenza (la condotta è l’area geografica sulla quale operiamo, la nostra copre i comuni di Livorno, Collesalvetti e parte del comune di Rosignano) e che ha sempre destato molta simpatia.
Il progetto è stato ideato da Slow Food nel 2004 per sensibilizzare adulti e bambini all’educazione alimentare e del gusto, tramite la coltivazione di piccoli orti nelle scuole.
Viene adattato dal nido alla secondaria di primo grado. Le bambine, i bambini e le loro famiglie possono sperimentare in prima persona il ciclo di produzione alimentare e sviluppare la consapevolezza del consumo del cibo e dell’esistenza degli equilibri naturali.
A Livorno muove i primi passi nel 2010, l’anno successivo viene firmato il primo protocollo d’intesa e dal 2016 siamo la città con più orti scolastici legati al progetto.

Come è entrata in contatto con il progetto delle scuole aperte che si sta realizzando con ViviCecioni?
Ho sentito parlare del progetto “Scuole Aperte Partecipate in Rete” per la prima volta al momento della presentazione dei percorsi partecipativi in città.
In uno di questi incontri di presentazione, dove veniva lanciato anche quello sulla strategia alimentare al quale ho partecipato, ho avuto modo di conoscere il professor Monelli che mi ha raccontato dell’adesione di ViviCecioni alla scuole aperte.
Più avanti, in uno degli appuntamenti settimanali con i ragazzi di ViviCecioni, è emerso il desiderio di creare un orto inclusivo nel giardino della scuola, allora il professore si è ricordato del nostro incontro e mi ha contattato. Da quel momento ho cominciato a frequentare il giardino, a dare il mio contributo e sono rimasta molto legata al progetto.
Per me è davvero stimolante perché, quella del liceo, è una fascia d’età con cui, noi di Slow Food, facciamo fatica ad avere relazioni.
Con il progetto “Orto in Condotta” copriamo la fascia di età da 0 a 13 anni per poi saltare a quella di 25 anni ed oltre con i Laboratori del Gusto. La fascia dalla secondaria di secondo grado, fino agli studenti universitari, restava scoperta: da un certo momento in poi perdiamo il contatto con i ragazzi e non abbiamo più relazioni. Per la verità, stavamo cominciando a creare un rapporto importante grazie alla nascita del movimento Fridays For Future, ma è stato interrotto con l’arrivo del Covid-19.
In cosa consiste la vostra collaborazione con il progetto ViviCecioni?
Sono entrata in contatto con ViviCecioni per la prima volta lo scorso anno e ho cercato di mettere a disposizione del gruppo la mia esperienza di progettazione di orti nelle scuole. Tuttavia, dato che sono entrata quasi a fine anno, si è trattato di un apporto marginale.
Da quest’anno, invece, ho voluto partecipare da subito e sono molto felice che una delle attività da me proposte – il compostaggio – ha riscosso un bel favore e sta avendo molto successo.
Inoltre ho dato un contributo anche per la stesura del progetto “Il giardino monumentale: uno spazio in cui sperimentare il protagonismo giovanile ambientale”, che è stato presentato per “Scuola e Città”. È stato accettato e inserito nei percorsi promossi dal CRED del Comune di Livorno. Hanno aderito quattro classi del Liceo Francesco Cecioni: una quinta, due terze e una quarta di indirizzi differenti. Per questo progetto ho seguito gli incontri pratici della mattina, dove le classi si sono messe all’opera dividendosi tra lavori di falegnameria, giardinaggio e recupero di vecchi arredi.
Devo dire che le mattine sono state molto vivaci e la sensazione è stata quella di ragazzi e ragazze che avevano davvero bisogno di fare attività pratiche. Sono molto curiosa di leggere le riflessioni che verranno raccolte durante l’incontro di chiusura.
La scuola è il primo bene comune che ragazzi e ragazze di questa età possono riconoscere e imparare a difendere. Mi auguro che con questo tipo di attività possano vedere questi spazi con occhi nuovi, spazi da vivere e da rispettare…In fin dei conti, la difesa del Piacere, che è la missione di Slow Food, passa anche da queste piccole grandi cose.