Alcuni insegnanti, ormai è noto, utilizzano decaloghi deliranti per le interrogazioni in Dad, pensati soltanto per controllare. Mani visibili. Occhi solo in avanti. Visione di tutta la camera… Quei decaloghi, mentre biblioteche ed edifici scolastici restano chiusi, dimostrano che la scuola non ha saputo reinventarsi: ha solo portato se stessa dietro a uno schermo. Scrive Cinzia Pennati, insegnante: “Nessun vero investimento nell’apprendimento differenziato, gruppi di lavoro, scuole aperte il pomeriggio per far studiare i ragazzi a rotazione. Fosse stato anche solo un luogo di studio sarebbe stato un luogo sicuro… Nessuna domanda sul fatto che lezioni spesso sono decaloghi noiosi e vecchi…”

Il controllo è la strada più semplice. Inutile negarlo. Il controllo non richiede domande e spazio di incertezza. È una linea di demarcazione netta, in cui i ragazzi non hanno molta scelta: dentro o fuori. Il controllore detiene il bastone e vince sempre, la vincita non ha mai a che fare con i ragazzi a cui deve insegnare ma con il nutrirsi del suo potere. L’adolescenza ha bisogno di stare fuori, cresce anche attraverso la trasgressione. E il controllo ne è la linfa, non la contrasta ma la alimenta.
Noi docenti possiamo ancora scegliere di dare fiducia, anche a costo di perderla; la perdita è parte del gioco della relazione, ma se si raggiunge, se si conquista, possiamo insegnar loro a nuotare e a salvarsi. È dentro allo spazio della fiducia che può esistere lo spirito critico ed è solo lo spirito critico e la curiosità che muovono il sapere. Anche il dissenso lo fa, e bisogna essere insegnanti davvero capaci non per contrastarlo ma convertirlo in azioni tenaci e d’apprendimento.
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La barca fa e faceva acqua da tutte le parti, invece di tappare buchi, qualcuno dovrebbe pensare a ricostruirla.
Mi è capitata tra le mani una lettera di un docente che richiamava al “decoro” (ho usato una parolina delicata per i toni in cui era scritta) durante le interrogazioni in Dad. Sembrava un decalogo fascista. Mani visibili. Occhi solo in avanti. Visione di tutta la camera e cose del genere. Mi sono chiesta come non potesse immaginare che i ragazzi avrebbero cercato altri stratagemmi per fregarlo. Come si può pensare di interessare alla materia attraverso un atteggiamento controllante e controllore di questo tipo!
A volte si ha la percezione che lo scopo non sia quello di tenere dentro alla scuola più ragazzi possibili ma di punire, di stanare e le verifiche diventano la misura di ogni cosa. Si ha la percezione che la prossima didattica in presenza sia un richiamo alla guerra: ora non mi freghi più, ora non c’è più uno schermo dietro cui proteggersi, appena ti vedo ti sistemo con qualche quattro.
Noi con loro o contro di loro?
Come se la Dad fosse colpa dei ragazzi e non stessero subendo come noi una pandemia, in un periodo dell’esistenza fragile e di crescita con relativi isolamenti, attacchi di panico e crisi d’ansia.
Cosa si stanno perdendo? Chissene frega sono ragazzi e avranno tempo. Balle. Li abbiamo lasciati bighellonare tra bar e luoghi di ritrovo senza proteggerli, le biblioteche come la scuola, luoghi sicuri, dove ci sarebbe stato il giusto distanziamento, sono chiusi.

La verità è che la scuola ha solo portato se stessa dietro a uno schermo. Nessun vero investimento nell’apprendimento differenziato, gruppi di lavoro, scuole aperte il pomeriggio per far studiare i ragazzi a rotazione, fosse stato anche solo un luogo di studio sarebbe stato un luogo sicuro.
Il controllo ci aiuta a negare il negabile, non hai studiato, hai messo i pizzini (dal vocabolario alla parete), ti becchi un quattro meno e la storia finisce lì.
Nessuna domanda sul fatto che lezioni spesso sono decaloghi noiosi e vecchi, nessun interrogativo sulla storia di chi abbiamo davanti, nessuna domanda sul fatto che abbiamo delle responsabilità e che la pandemia porterà a delle conseguenze più o meno disastrose.
La scuola non ha saputo trasformarsi nemmeno questa volta. Alcuni di noi (e sono molti) tappano buchi con determinazione ma è una lotta disperata e sconsolante che lascia esausti.
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Non farsi domande, vuol dire ancora una voglia non cercare gli strumenti per dare risposte, non cercare risorse, lasciare alla “punizione” la risposta dell’istruzione.
E questo, a volte, non riguarda solo alcuni docenti ma persino le famiglie – quindi non chiamatevi fuori dando solo responsabilità alla scuola – che sono rassicurate dalle strade dritte, senza intoppi, domande e risposte, dei loro figli.

Chi non ce la fa, il sistema lo sputa.
La bella notizia è che possiamo scegliere che docenti e che genitori vogliamo essere. Possiamo scegliere la strada più tortuosa e senza garanzie a cui ci chiama la fiducia. Possiamo scegliere se vogliamo tenerne alcuni o salvarli tutti, anche i poveri (ops esistono!). Almeno provarci.
Se riponiamo nei nostri ragazzi e ragazze la fiducia, loro sapranno ripagarci. Lo faranno con le loro storie di scolarizzazione e di inclusione. Con la costruzione del loro futuro e magari la barca sarà più solida e i buchi non li dovranno tappare i docenti volenterosi, quelli che a mani nude cercano di non far affondare i loro ragazzi, ogni santo giorno. La scuola ritornerà al centro della nostra comunità e sarà incentivata e motivante per chi la abita. E il controllo sarà solo uno stupido ricordo e una scusa banale dei nostri governi e del nostro tempo per mantenere la solita divisione di classe. E per non cambiare niente.
Cinzia Pennati (Penny) è insegnante, scrittrice e madre di due ragazze adolescenti, tra le quali Ludovica Paglino, l’autrice dei disegno del blog sosdonne.com. Nelle librerie il suo romanzo Il matrimonio di mia sorella e Ai figli ci sono cose da dire.