“Il modo più giusto per cominciare a pensare alla struttura che connette è di pensarla in primo luogo […] come una danza di parti interagenti”
(G. Bateson)
Gregory Bateson ha suggerito di considerare l’organismo e l’ambiente come una unità evolutiva, di fatto quindi come una unità dotata di autodeterminazione. «Stiamo imparando per amara esperienza che l’organismo che distrugge il suo ambiente distrugge sé stesso» (1972, p. 483). L’ambiente sociale e biologico e le nostre relazioni sono modellati su circuiti di interazione. La distruzione dell’uno porta la nostra stessa distruzione. La teoria della complessità e dei sistemi ci aiuta a percepire il mondo come un grande insieme di individui, gruppi, società ed ecosistemi, luoghi in cui l’apprendimento e la stretta reciprocità è emergente, a tutti i livelli, e dove un flusso di informazioni che danno forma a configurazioni diverse, a strutture e cornici di significato ci insegnano che nessuno si trasforma da solo, soprattutto senza relazioni sufficientemente buone e una trasformazione del contesto si intreccia con le trasformazioni individuali. In un mondo fatto di sistemi interconnessi, l’educazione necessità di modelli per insegnare a vivere e convivere in modo modo reattivo e rispettoso del “modello che connette” (Formenti 2018) con le relazioni e le comunità cui si appartiene, e con la bellezza e l’ampiezza del mondo sociale ed ecologico. In questa vastità ricca di implicazioni etiche, epistemologiche ed estetiche, il dialogo ci aiuta a spingersi verso una connessione che arriva a una profondità condivisa dove abbiamo bisogno di essere ancorati al futuro, per dare senso e significato al presente e al passato del nostro essere.
L’ambiente educativo è luogo deputato a creare spazi di crescita e di confronto per una sfida alle ideologie che colonizzano i nostri mondi interiori, mondi che sono frutto di una “società dell’impulso”, per dirla nei termini di Biesta (2023), che non è interessata alla nostra individuazione o soggettivazione, alla nostra esistenza come soggetti, perché il suo modello di convivenza si basa su una continua oggettivazione alimentando una identificazione con i desideri piuttosto che “essere” e quindi vivere i nostri desideri, vivere le nostre aspirazioni, ponendosi nella giusta relazione, una relazione consapevole, “adulta” con esse.
In questo mondo di continue interconnessioni, l’azione educativa ha bisogno di recuperare la relazione tra educatore, educando e mondo, come suggerisce Freire (2004, p. 72) produrre “uno sforzo permanente attraverso cui gli uomini percepiscono criticamente come ‘sono in divenire’ nel mondo, con cui e in cui si trovano”, in uno scambio paritario dove nessuna delle parti domina l’altra, ma dove si definisce una concezione problematizzante dell’educazione e dove si pone nell’oggetto della conoscenza il «luogo di incidenza della riflessione sua [del docente] e degli educandi» (op.cit., p. 70). Gli educandi divengono così ricercatori critici in dialogo con il docente, e messi nella posizione di creare e migliorare, verso la finalità ultima di rendere il mondo più “umano”. È la condizione dell’essere in relazione all’interno della quale, seguendo Bateson e Morin, l’altro e l’ambiente ci parlano di noi, ci riportano verso un conoscere la nostra storia, o varie storie che ci riguardano, frutto di questo incontro, di questa connessione. Una conoscenza che ci lega all’universo in armonia con la natura (Read, 1980). Quell’aspetto che consente di sentirci all’interno di quella parte “danzante della struttura che connette” dove ogni polarità si riproduce con l’altra in maniera circolare (Bateson, 1977). Come ho scritto nel libro Pedagogia del Confine (Battista, 2024), per fare ciò è necessario un passaggio a una scuola aperta al vivere civile, uscendo dall’ambiguità dell’essere un non-luogo che vive le relazioni affidandole alla divisione dei ruoli e le gestisce attraverso lo strumento delle valutazioni sommative. A tal fine bisogna favorire, quindi, lo sviluppo di capacità trasversali e metacognitive in luogo di un apprendimento direzionato ai soli contenuti disciplinari e, ancora, promuovere una crescita di competenze che risulti metacontestuale e capace di individuare abilità e conoscenze relative alle diverse discipline. Ciò vuol dire assumere una concezione dell’apprendimento trasformativo rivolto a un approccio sistemico che possa spostare l’attenzione dal globale alla realtà territoriale di appartenenza della scuola, tenendo presente le interconnessioni e le relazioni tra i vari soggetti.
Una prospettiva che consente nuovi scambi interculturali, che va oltre l’universalismo modernista limitato da ancoraggi culturali o radicalismi storici, dove la sfera dell’apprendimento si lega in modo indissolubile a parametri mutevoli come il luogo, la storia, l’identità, il potere.
È necessario accettare quanto prima questa sfida per tradurre la teoria in prassi e riconoscersi parte del più ampio “universo creaturale”, creare quella “danza connettiva della relazione” e definire un “pensiero ecologizzante” (Bateson, 1984; Morin, 1998). È necessario far sì che il sistema educativo possa offrire agli studenti le conoscenze e le competenze necessarie per promuovere lo sviluppo sostenibile, tra cui l’educazione ai diritti umani, la promozione di una cultura di pace e non violenta, una cittadinanza globale e l’apprezzamento della diversità culturale (Battista, 2024).
Docenti, professori/esse, maestri/e educatori/trici e tutti coloro che operano nel mondo della scuola e delle Università, auspico si possano ritrovare per condividere una visione di scuola dove l’educazione sia una pratica per la libertà (Freire, 1983) dove espandere le capacità necessarie dell’agire umano per garantire un progetto che è parte integrante della democrazia stessa. Se l’apprendimento diventa una merce quantificabile fatto di conoscenze da accumulare, capitalizzare per la produzione e il consumo, si riduce lo spazio per uno scambio per un mutuo apprendimento, per la solidarietà e il riconoscimento dell’altro, per la libertà, per la democrazia. Ciò significa fare i conti con una cultura che in parte traccia confini e che porta con sé le certezze di un pensiero binario, di separazione tra bianco e nero, dell’uomo dal suo ambiente, che ti fa scegliere tra la forza e la debolezza, separa individuo e mondo, ma significa anche guardare in faccia le nostre debolezze e fragilità, le nostre incoerenze e paure, fare i conti con l’insicurezza, il silenzio e con l’oscurità dell’alterità. La formazione dei docenti quindi diventa un punto cruciale. C’è quindi bisogno di docenti che siano formati in primis a saper riflettere per trarre conoscenza dalla propria esperienza (Zeichner & Liston, 1996) e a tal fine, è necessario che i professionisti ricevano esperienze formative mirate specificatamente ad aumentare le loro capacità riflessive, in modo che possano imparare a pensare non solo a quello che stanno facendo, ma anche a ciò che stanno pensando (Mortari, 2012).
Per coltivare una visione più luminosa, di ampio respiro c’è bisogno di attribuire senso alle cose, coltivare il valore dell’essere, del sacro, riscoprire l’amore a fronte di un desiderio consumistico volto un fatuo appagamento e ad un senso di sicurezza che alza muri e mette confini. C’è bisogno di spazi per imparare ad imparare in modo cooperativo, fare un esercizio di riscrittura ed operare una nuova mappa del territorio della conoscenza attraverso nuove strade per costruire orizzonti diversi, creolizzare confini (Battista, 2024) negli interessi più ampi del riscrivere il senso dell’”educare ad essere” e dettare le coordinate di una politica culturale che crei quello che bell hooks (1998, p. 68) chiama «spazio di resistenza», un luogo dove possiamo essere capaci di «guardare, creare, immaginare alternative e nuovi mondi».
Bibliografia
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Battista F. (2024) Pedagogia del Confine. Storie di corpi in movimento per una pedagogia della relazione. Edizioni Junior Spaggiari, Parma
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Schön, D.A. (1983). The reflective practitioner, London, Temple Smith
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Professore in Teorie e Tecniche Educative Università di Romatre. e ricercatore sui temi della Danza-Movimento-Terapia in ambito educativo e nei processi migratori, Fernando Battista è coreografo e performer. È autore del libro Pedagogia del Confine. Storie di corpi in movimento per una pedagogia della relazione (Ed. Junior Spaggiari). Ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura
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