La morte di Michelle Causo è uscita dal fragore della cronaca, non riempie più i programmi trash del pomeriggio né risalta nelle prime pagine dei giornali, cartacee oppure on line, stessa sorte. Ogni tanto un breve articolo ci racconta un nuovo “presunto” inquietante particolare sul movente e sulla dinamica dell’omicidio, ma è notizia secondaria, perché la fame morbosa di cronaca nera ha notizie nuove ogni giorno con cui sfamarsi.
Nonostante questo era stato ampiamente annunciato che gli amici di Michelle avrebbero fatto qualcosa per vendicarsi. Non si sono nascosti, e la loro voglia di vendetta li ha portati ad entrare a casa del presunto omicida per devastarla. Si sapeva, ma nessuno se ne è occupato.
Per carità, cosa volete che siano i danni a un appartamento, niente che avrebbe giustificato l’impegno preventivo delle istituzioni… E quindi? Quindi il problema è un altro, ovviamente. Il problema è di nuovo la solitudine di questi adolescenti di periferia.
È il problema da cui originano comportamenti devianti e rischi enormi, e che possono finire con omicidi come quello in questione, e con tanti altri irreparabili errori che ognuno di loro rischia di commettere. È il totale abbandono di questi quartieri e di queste generazioni da parte delle istituzioni. È il problema del giorno dopo. Ha a che fare con il dolore, con la confusione, con la tristezza che diventa rabbia, con un’idea distorta di giustizia. Ha a che fare con il fatto che nessuno si preoccupa di contenere questo smarrimento e questa rabbia, di accoglierli e provare a dargli una forma diversa, che forse darebbe un diverso senso alla stessa morte di Michelle.
Mi chiedo perché, nel 2023, nella capitale di un paese del G8, non ci sia una risposta istituzionale immediata a un delitto così drammatico. Perché non venga messa a sistema una squadra di psicologi e mediatori dell’emergenza, di educatori, come quelli che vanno dopo un terremoto o una catastrofe simile. Professionisti che vanno a farsi carico di quel dolore, che è di molte persone e che nei riti collettivi, spesso manipolati, diventa ulteriore violenza e dunque nuovo dolore.
Vorrei che Roberto Gualtieri, sindaco di Roma, mi dicesse che la mia città non si è limitata a spendere due parole il giorno della fiaccolata. Vorrei che mi dicesse che da ora in poi le persone coinvolte in queste tragedie non verranno lasciate sole. Vorrei che quando di parla di prendersi cura dei giovani avessimo tutti l’idea che è qualcosa di importante e necessario.
Il disagio, la violenza, la devianza, esistono da sempre, e nella vita di borgata sono più evidenti…, ma perché non siamo più bravi, e soprattutto più pronti a occuparcene? Che fine hanno fatto gli adulti, dove erano prima e dopo dell’omicidio?
Gli adolescenti che hanno agito la loro piccola vendetta ora dovranno fare i conti con le conseguenze penali delle loro azioni, senza che questo li abbia guariti dal loro dolore. Una denuncia che probabilmente si somma a quelle che già avevano. Questo conta, non i danni all’appartamento, ma ho la sensazione che conti solo per pochi addetti ai lavori, come me (che poi di fronte a queste notizie non ci dormo).
Caro sindaco, raccontaci la tua idea di città e di Comunità, perché me ne sfuggono i contorni.
Loris Antonelli, da molti anni è educatore nella periferia di Roma